Passeggio per Torino e un giorno sbatto contro una facciata senza il resto dell’edificio.
Machecaz? Cioè, c’è un resto ma non è il suo. Facciamo subito il nome, Francesco Gioia, e le date, 1985-1989, così lo sappiamo tutti. Ma non basta, c’è anche l’altro lato, cadauno immagini esplicative non mie, dopo questa prima:
Le due facciate sono raccordate al centro proprio in un bel modo:
Ma è nei dettagli che viene il meglio. Per esempio, le finestre tagliate:
Mi permetto di insistere frontalmente:
Il Gioia trovò la soluzione talmente bella da ripeterla anche sull’altro lato, con successo:
Il senso di escrescenza cresciuta appunto dietro la facciata originaria è difficile da negare, avendo lasciato lo spessore con sensibilità che certamente al Gioia sarà stata riconosciuta in un sacco di salotti. Vien però un po’ di malessere da sovrapposizione da collage fatto da un recluso ventennale.
Risparmio l’interno, diciamo, e proseguo per la mia zonzolata, un poco più morto dentro. Vale la solita raccomandazione: ma santoddio, piuttosto tirateli giù, ’sti brandelli, abbiate pietà. Altrimenti è come strappare la faccia a un cadavere e metterselo a mo’ di maschera a una festa. Non dico non piaccia a qualcuno, per carità, ma insomma, mai che telefonino prima.
Nel frattempo a Londra si preparano per l’arrivo di Donald Trump, in visita ufficiale ai primi di settembre:
Sarà ospite di Re Carlo a Windsor. Peccato, perché dal fratello Andrea avrebbero potuto ricordare i bei vecchi tempi dal loro amico Epstein. Nine Elms è vicino all’ambasciata USA.
Il principe Carolo sotto la sua cupolona di libri, ordinati per dimensione. Che va bene la prospettiva da sotto, ma viene un po’ da ridere, questioni di spazio. Son tornato a Vienna, sai?, stavolta con un nugolo di nipoti, diciamo. Lo so, a Vienna si va da Demel, che bastianazzo, manco ti piaceva la Sacher.
È un po’ che non lo faccio, è ora: un po’ di immagini dai repertori di immagini a pagamento. Esistono dei repertori di immagini a pagamento in cui i grafici o chiunque ne necessiti può acquistare immagini ad alta risoluzione per i propri scopi, di solito volantini, slides, manifesti promozionali. Per esempio, le foto del tizio in spiaggia col portatile, la ragazza sorridente dal dentista, la gente in riunione in ufficio fico e così via. Chiunque può aggiungere e mettere in vendita le proprie foto in questi portali a patto di rispettare certi criteri di qualità. Qualità dell’immagine, per lo più, non del contenuto. E infatti.
Velata critica al consumo (non sfugga l’orientalità del soggetto):
Il manager però alla mano (sta per azienda giovane e dinamica):
Più mi sforzo e meno riesco a immaginare un contesto in cui utilizzare questa immagine:
Questa senza ormai i cd-rom la capiscono solo i vecchi:
Probabilmente per persone menomate di un braccio:
Questa non saprei nemmeno da che parte iniziare:
Per campagne sulla guida sicura, ottima (il signore ha già qualche problema di guida):
E le mie due preferite di questo giro: il manichino da disegno per artisti singolarmente appecorato che indica forse un certo poco sostegno all’arte:
E per finire la bella fatona:
Che mi ricorda Woody Harrelson. Chiaro che tutto questo con l’AI grafica sta già perdendo di senso. Ed è un peccato, perché certe vette del cervello umano, come queste immagini dimostrano, la macchina non le raggiungerà mai.
Sul vialone che passa proprio davanti al castello estense, poche centinaia di metri, e che divide il nucleo storico dall’addizione erculea, c’era una volta la chiesa di Santa Maria della Rosa. Una chiesa medievale con un bel convento e chiostro, di una certa importanza per funzione, lasciti e sepolture, fu poi danneggiata pesantemente dai bombardamenti della seconda guerra mondiale.
Deciso che la ricostruzione non ne valesse la pena, il che può anche essere legittimo, si decise di salvare il chiostro inglobandolo in un bel palazzo dell’INA, che la zona era ghiotta. Circondato e assediato.
Operazione molto ben fatta, apprezzabile anche da dentro, son rimasto estasiato da farne una foto.
Il cemento armato lambisce da vicino la struttura, soffocandola purtroppo non definitivamente. Sarebbe stato più onesto tirarlo giù, ’scoltate me. Mai che telefonino prima.
Sabato scorso in un bel parco sul Po a Cremona per sentire gli Offlaga Disco Pax dopo tanto tempo, dalla morte di Enrico Fontanelli.
Sempre loro, due almeno, un repertorio cristallizzato non solo dalla sospensione delle attività ma dal tempo e dalla Storia, mi chiedo che ne capiscano i venti-trentenni che vedo tra il pubblico, sarà come sentire Barbero che canti del medioevo.
Ma lo scopo della serata, raggiunto, era di farsi spaccare la faccia da The Bloody Beetrots.
E così è stato, quasi del tutto. Bel festival, complimenti.
‘We did not live up to our Christianity’ si scusano le suore del Buon Soccorso dell’infame Tuam Home all’apertura di quella che pare proprio essere una fossa comune con oltre ottocento bambini sepolti nel giardino della loro casa di ricovero per donne immorali. Si scusano inutilmente e tardivamente. Le Case Magdalene, attive fino a pochi anni fa, erano gestite da ordini religiosi per conto del governo inglese e irlandese, giova ricordarlo, e si occupavano delle donne non rispettabili secondo la morale, ovvero madri nubili, donne o ragazze troppo avvenenti o troppo brutte, vittime di stupro e così via, che in nome di una presunta riabilitazione venivano messe a lavorare nelle famigerate Magdalene Laundries, catene industriali di lavanderia all’interno degli istituti religiosi che procuravano grandi profitti agli ordini e grandi sofferenze alle donne e ai loro figli. Che, spesso, venivano soppressi.
E allora quando nel 1992 Sinéad O’Connor in diretta al Saturday Night Live stracciò una fotografia di Giovanni Paolo II dicendo: «fight the real enemy» per protestare contro la chiesa cattolica per denunciare anche questo tipo di abusi chi aveva ragione?
Fu massacrata, fu un coro quasi unanime di condanna, la sua carriera rovinata, lei insultata per strada – fortuna non c’era la rete – e nei suoi affetti, un vero disastro. Mi alzai in piedi quando la vidi, non ci potevo credere, e l’ammirai molto per il coraggio. Ma no, i benpensanti tutti a dire che no, la disadattata aveva parlato a vanvera. Attaccata a giudicata da quegli ipocriti stronzi che poi nel privato delle case e delle canoniche facevano le cose più immorali e indegne, furono devastati i suoi affetti, le sue opere, il suo lavoro e la sua vita privata. Ci vollero nove anni, nove!, da allora perché Giovanni Paolo II riconoscesse gli abusi sessuali all’interno della Chiesa, maledetti, Madonna non perse occasione per guadagnare visibilità alle sue spalle, ipocrita pure lei con quel tanto di nome. Lei sì, oscena. Sinéad O’Connor disse poco tempo dopo: «Everyone wants a pop star, see? But I am a protest singer. I just had stuff to get off my chest. I had no desire for fame» e io la elessi a mia guida. Se mi avesse detto di lasciare tutto e andare a guidare una tribù di Ubangi nel deserto, probabilmente l’avrei fatto. Poi disse che quel gesto così contestato in realtà la rimise sulla giusta carreggiata: «I feel that having a No. 1 record derailed my career and my tearing the photo put me back on the right track». E allora, stronzi? Chi diceva il vero?
Raoul Hynckes, Self-portrait, olio su tavola, 1928. Si trova al Museum MORE di Gorssel, in Nederlandia. Un magnifico autoritratto, a parer mio, che ho scoperto per caso andando a vedere una mostra stupenda sul realismo europeo del Novecento e i suoi movimenti a Chemnitz un mese fa. Hynckes, pittore olandese di origine belga, cominciò come impressionista per poi virare su temi classificabili nell’ambito del realismo magico, non solo, e su paesaggi e marine apprezzabili. L’autoritratto, in generale, è uno dei soggetti più interessanti dell’arte, come lo è l’autobiografia, ed ebbe un periodo di particolare successo tra le due guerre in Europa di cui la mostra, peraltro, dava conto (oggi mi è arrivato il catalogo, ecco perché). I colori, il taglio, le ombre e le luci sono particolarmente riuscite in questo autoritratto di Hynckes che dà di sé una rappresentazione pacata e realistica, quasi tridimensionale. Secondo me è molto bello. Butto lì, tra i tanti contributi sul tema: Laura Cumming, A Face to the World On Self-Portraits, 2009.
facciamo 'sta cosa
Questo sito utilizza dei cookies, anche di terze parti, ma non traccia niente di nessuno. Continuando la navigazione accetti la policy sui cookies. In caso contrario, è meglio se lasciamo perdere e ci vediamo nella vita reale. OccheiRifiutaCookies e privacy policy
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.