Venezia, 1915.

Non passa nulla.
Venezia, 1915.

Non passa nulla.
Già è difficile normalmente, se poi recensore e recensito sono due picchiatori verbali le cose non possono che migliorare. Nel 1971 Norman Mailer pubblicò Il prigioniero del sesso, pamphlet polemico nei confronti della letteratura femminista del tempo. La «New York Review of Books» chiamò per la recensione Gore Vidal, allora i rapporti tra i due dovevano ancora iniziare e lo fecero nel migliore dei modi: Vidal definì la lettura del saggio come un’esperienza simile a «tre giorni di flusso mestruale».
Nel 1977 a una festa, Mailer stese con un diretto Vidal ma nel mezzo ce ne furono di ogni colore e gusto. Le racconta Giulio Passerini in ‘Inimicizie letterarie’.
Andata?

Dice Le Pen: «La cosa che forse le invidio – dice Le Pen – è l’enormità del piano di rilancio che ha riguardato l’Italia e che noi, la Francia, andremo a pagare. Con 240 miliardi di Pnrr ricevuti dall’Unione europea è più semplice». Come nel 2024, il sospetto è quello dell’asse Le Pen-Salvini, il presidente lui italiano si irrita, Conte titolare della pratica al tempo si sente di dover intervenire e bon, quelle piccolezze lì.
Uno studio non so quanto affidabile sostiene che il leone alato su una delle due colonne di piazza San Marco possa essere della dinastia Tang e, quindi, provenire dalla Cina.

La vicenda delle due colonne, che dovevano essere tre ma una naufragò, è nota: l’erezione delle due colonne risalirebbe alla seconda metà del XIII secolo, perché considerando i marmi di cui sono composte (marmo rosso egiziano per la colonna di San Todaro e marmo troadense per la colonna di San Marco), ampiamente utilizzati nella tarda antichità, è quasi certa la loro provenienza da Costantinopoli, visto che dopo l’impero romano nessuno ebbe la capacità tecnica ed economica per reperire colonne di quella mole e qualità. Se è quindi abbastanza certo fare risalire lo spostamento e l’erezione a Venezia al periodo dell’Impero latino di Costantinopoli, tra il 1204 e il 1261, la vicenda delle statue è meno nota.
Il leone alato è una scultura bronzea molto antica, si ritiene greca o siriaca, probabilmente in origine una chimera, cui vennero successivamente aggiunte le ali per chissà quali vie traverse. In effetti è ricciolone mica poco, ricorda il medio oriente. Almeno fino allo studio di oggi, che ne afferma l’origine cinese, sia per morfologia stilistica che per presunti studi sugli isotopi del piombo contenuto nel bronzo. Niente di più probabile, comunque, visti i traffici veneziani con l’oriente, magari è venuta a cavallo con Marco Polo. O volando, viste le ali. Ancor più probabile oggi che il leone di Venezia sia ‘made in China’, non fa una piega.
Vabbè, senza malvolenza ma mi è capitato lui, oltre all’appunto di ieri su la Breve storia dell’arte di Claudio Strinati, un paio di scivoloni dovuti veramente all’assenza di una qualche revisione pre-pubblicazione, quanto mancano gli editor nelle case editrici. Sono entrambi veniali ma, insomma, l’editore è Salani, non proprio uno da sottoscala:
“l’imperatore del Sacro Romano Impero, re dei Romani e di Gerusalemme e re di Sicilia, Federico II di Svevia Hohenstaufen, nipote di Federico Barbarossa e figlio di Costanza d’Altavilla.
Nato nel 1194 e morto nel 1251 in Italia, Federico è stato il più cosmopolita, laico, progressista, illuminato sovrano dell’Europa del tempo”.
D’accordo su tutto, per carità, ogni parola buona su Federico II è ben spesa, ma era il 1250.
“Le figure di San Clemente o dell’Arazzo di Bayeux sono concettualmente molto più vicine ai Peanuts (opere del X secolo) che al Caravaggio (autore del XVII secolo)!”.
Questa è dura, se fosse solo un refuso, mancando una X, l’ordine dell’elenco dovrebbe essere invertito: invece i Peanuts nel decimo secolo è proprio un errore, marcato ancor di più dall’essere in una frase dal tono scherzoso.
Ho l’impressione ce ne fossero di più ma già tre refusoni come questi per un testo solo sono parecchio. Peccato, perché il racconto è gradevole e istruito, ovviamente, e questo tipo di errori sono in grado di rovinare il piacere. Editor, editor, editor. E correttori di bozze, non è vero risparmio, matti.
Qualche settimana fa leggevo la Breve storia dell’arte di Claudio Strinati e a un certo punto non ero tanto sicuro ma mi pareva proprio che insomma non:
“nella direzione della cosiddetta arte bizantina, che nasce quando, seicento anni dalla morte di Alessandro Magno, l’imperatore Costantino volle lasciare Roma come sede della capitale dell’Impero e trasferire tale sede in una città sul Bosforo (nell’attuale Turchia) che fece appositamente costruire, cui dette il suo nome: Costantinopoli”.
Sull’“appositamente costruire” alcuni avrebbero da ridire, diciamo che fu più correttamente rifondata, questo sì, se con questo concetto si vuol dire una ricostruzione con una nuova direzione architettonica e ideale. Ma lo svarione vero stava per arrivare alla riga dopo (ah, la mancanza degli editor nelle case editrici…):
“Poi, secoli dopo, quella città avrebbe mutato nome in Bisanzio e da Bisanzio si sarebbe sviluppato un immenso filone d’arte che verrà sempre ricordato come arte bizantina e che si sarebbe espanso tra la Grecia e l’area corrispondente alla Bulgaria, Romania, fino all’Armenia e alla Georgia”.
Eh no, Strinati, eh no. Lo so che da storico dell’arte i bizantini vengono dopo i romani ma il nome Bisanzio è greco e la città pure, Βυζάντιον, Byzàntion, che preesiste e non di poco a Costantinopoli. Sarebbe permasto (forte, eh, il participio passato!) l’aggettivo ‘bizantino’, seppur mai utilizzato dai contemporanei.
A discolpa di Strinati, e ci mancherebbe, c’è che il nome di quella città là che noi chiamiamo Istanbul per ragioni di impero ottomano apre una delle questioni toponomastiche più difficili, per varietà e quantità. Ne accenno alcuni, e non sono mica tutti:
Complesso e sono davvero molti di più. Però il punto fermo della successione Bisanzio > Costantinopoli > Istanbul la teniamo, va bene? Altrimenti come potremmo, bestemmiando in Alamanno e in Goto, cantare Bisanzio forse non è mai esistita / e ancora ignoro e un’ altra notte è andata, / Lucifero è già sorto, e si alza un po’ di vento, / c’è freddo sulla torre o è l’età mia malata, / confondo vita e morte e non so chi è passata…?
L’unica balena imbalsamata al mondo è al museo di storia naturale di Stoccolma.


Per vendere “la possibilità di sperimentare il destino di Giona” ai visitatori, dal 1865 l’enorme bocca fu tenuta aperta e all’interno era disponibile un piccolo percorso di visita. In alcune occasioni, fu affittata a chi, per esempio, desiderava organizzare una cena all’interno del cetaceo, la cenabalena.

Poi negli anni Trenta una coppia fu sorpresa a fare sesso nel ventre della balena, esperienza-Giona al quadrato, e la cosa finì lì, bocca chiusa e basta escursioni nella balena. Ecco, come al solito, per colpa di due gli altri ciccia. Ma c’è un posto al mondo in cui a due, a un certo punto per appartenenza a un club ristretto, non gli venga il pungolo de scopà?
Tempo fa ho trovato in fondo a una scatola questo ragazzone:

Che magnifici momenti passati insieme. Più che momenti, ore, giornate, mesi, anni.
Il nostalgico ricordo a questo punto sarebbe completo con questo:
Funzionerà ancora ad attaccarlo alla rete? Risponderà qualcuno? Dal passato, magari?
Il calendario di papa Francesco.

Dell’anno prossimo. In vendita in tutti i peggiori negozi di souvenir di Cara… Roma. È pur vero che il calendario dei preti bellocci è in vendita ininterrottamente e incorrottamente dal 2005 almeno, alcuni di loro ora avranno il girello.
Nel frattempo, ancora una bella codona per entrare a Santa Maria Maggiore, basilica eccezionale in cui si entrava sempre quasi in visita esclusiva. Effetto tomba del papa.

E io che volevo verificare lo stato della crenatura, ciccia.
Madonna, ma saranno assicurati?
