minidiario scritto un po’ così di un giro sul limite naturale tra Europa e Asia: zero, azero, entro da lì

Il sospetto è, solitamente, un «uomo, bianco, caucasico», armato o non, altobasso, diceva il comunicato via radio. Che poi, quando lo prendono, il «bianco caucasico», significa semplicemente dalla pelle chiara. È un ridicolo residuo ottocentesco delle classificazioni antropologiche di allora che resiste tra noi, specie nei verbali della polizia, caucasoide ed europoide erano troppo complessi. Qualcosa di più interessante: dopo aver donato all’umanità memoria e intelligenza, il titano Prometeo – allorquando Zeus crudele tolse loro il fuoco – incurante delle conseguenze lo rubò e lo restituì agli uomini, ormai sprofondati nelle tenebre della paura e della fame. Come andò si sa, Zeus fece incatenare Prometeo a una rupe, incastonandolo a una colonna, e inviò poi Aithon, una mostruosa aquila, perché gli squarciasse il petto e gli dilaniasse il fegato che, disgraziato, gli ricresceva durante la notte. Prometeo, secondo Eschilo, fu liberato molto tempo dopo da Eracle, che trafisse l’aquila. Il punto, però, è che Zeus decise di incatenare Prometeo nella zona più alta e più esposta alle intemperie e una zona così in Europa vuol dire – e ancor di più lo voleva dire allora – Caucaso, lo raccontano tutti i miti prometeici: con sette cime sopra i cinquemila metri, dall’Elbrus di 5.642 metri al Picco Puškin di cinquemila e qualcosa, la catena del Caucaso è decisamente il sistema montuoso più significativo del nostro continente, lo scoprirono gli alpinisti poco dopo aver inventato la disciplina, vedere Le mie scalate nelle Alpi e nel Caucaso di Mummery.

E allora una zona così, il Caucaso, io la devo andare a vedere. I greci la conoscevano bene perché ci facevano commercio, tra mar Nero e Caspio, e quindi non per caso Giasone dovette andare a recuperare il vello d’oro in Colchide, la regione appunto tra le odierne Russia, Georgia e Turchia, conosciuta ma abbastanza remota per mandarci un eroe a compiere un’impresa memorabile. Poi romani, persiani, bizantini, il “Curopalatinato di Iberia”, figuriamoci, arabi, mongoli, timuridi, ottomani, russi, sovietici, come al solito sono passati proprio tutti tranne uno, io. Devo proprio andare.

Mercatore, mi pare di leggere pure un Neapolis, ottimo. Russia sopra, Iran sotto, Turchia a lato, due mari chiusi a est e ovest, la zona promette meraviglie e i reciproci rapporti tra i tre paesi maggiori, Armenia, Azerbaijan e Georgia, che definirei non proprio idilliaci, risentono della compresenza di cristianesimo ortodosso, Chiesa apostolica armena, islamismo sunnita e sciita, con una predominanza qua e là del sufismo, una consistente comunità ebraica, tradizioni religiose locali e forme di sincretismo religioso, oltre cinquanta etnie. Il tutto mescolato rende le frontiere – metaforiche e reali – poco permeabili, per esempio in Azerbaijan non si entra dai confini terrestri, si esce e basta, quindi devo partire da lì. Se si è in possesso di un cognome armeno, anche avendo visti e documenti regolari, si può essere fermati e respinti in ogni momento. Spero non vedano il timbro libico sul mio passaporto. Per restare ai fraterni e sereni rapporti tra confinanti, posso calare sul tavolo, oltre a Russia, Iran e Turchia, come detto, anche Cecenia, Ossezia Settentrionale-Alania, Ossezia del Sud e i territori disputati come Nagorno Karabakh e le exclaves come la Repubblica Autonoma di Naxçıvan. Non sono sicuro di avere esaurito le entità territoriali e statuali, trovo la situazione vagamente intricata.

Dunque, vado. Entrata da Baku, la città sotto il livello del mare, poi si vedrà. Vediamo quanta oltranza riesco a strappare, meno di ferragosto non è negoziabile. Esim, mappe scaricate, visto per l’Azerbaijan, passaporto, carta, due pastiglie-che-sai-mai ed è tutto, bagaglio a mano e via leggeri che meno impicci, fisici e soprattutto emotivi, mi porto da qui e meglio è, finisco stasera Gli armeni di Gabriella Uluhogian e sono pronto al clima steppico semi-arido freddo. E al museo nazionale del tappeto, che si capisce fin da fuori.


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