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trivigante 2006

trenta

Talvolta la democrazia e la libera espressione generano mostri: parte cinque.
Le altre quattro aberranti puntate del viaggio all'interno del corpo elettorale sono più sotto oppure nel costruttivo indice nella colonna di sinistra, in fondo.

cap. 4: dritti alla meta.
Capitolo quattro e quinta parte, dedicata alle liste che dichiarano un obbiettivo chiaro e identificabile. Cioè, piano, voglio dire che, a differenza delle liste oscure, se non altro in questi casi si identifica uno scopo, una direzione, una finalità. Ovviamente il tutto resta un poco fumoso, essendo sintetizzato in uno slogan, nulla è detto sugli strumenti per raggiungere la meta e ancor meno è detto riguardo il pensiero retrostante. Ciò fa sì che le liste di questa categoria assumano un tono un filino oltranzista: voglio la variante di Mestre, la voglio, la voglio, la voglio. Per fare un esempio. Procedo.

Voglio. Perché cazzo devo andare a Senvensànt o a Venezia tutte le volte che ho voglia di giocare alla roulette non russa? Perché non posso avere un casinò sotto casa mia, a Prato? Domande legittime, in effetti. E pressanti. Io ho un'idea piuttosto laconica dei casinò, più che altro mutuata da Fantozzi: impiegati frustrati la cui ambizione massima è diventare audaci come l'audace Calboni che vanno al casinò in una botta di emancipazione sociale. Immaginaria, visto che anche Montecarlo è un posto orrendo.
Ma i casinò sono un investimento lucroso, si sa. Portano la morte nel territorio ma rendono.
Disapprovo ma il tondo a mezza fiche o roulette non è tra le cose peggiori viste finora.

Difendo. Questi sono i City Angels della famiglia, girano in squadroni organizzati e laddove qualcuno attenti alla famiglia, per esempio spargendo polvere di divorzio negli acquedotti, loro intervengono. Qualcuno ha messo in discussione l'onorabilità della vostra mamma? Chiamateli. I Corleonesi sono minacciati dalle forze di Polizia? Loro intervengono e difendono la famiglia corleonese. Utili.
Dimenticavo: vista l'immagine di sfondo nel simbolo, vorrei segnalare che Giuseppe non è il vero padre.

Non voglio. Devo dirvi una cosa: i PACS non esistono. E non sono nemmeno in calendario né in programma di nessuna forza politica. Vista la situazione attuale, le possibilità che un disegno di legge di questo tipo arrivi all'approvazione sono pressoché a zero. Per cui, presentare una lista di questo genere è una specie di puntiglio, testardo e rompiballe. E allora, perché non fare una lista "No ai meteoriti", piuttosto che "No all'avvento di Satana"? Le probabilità sono le stesse, l'utilità pure.

Non in Campania. Questa lista è l'equivalente elettorale dei personaggi del presepe in vendita a Napoli in via san Gregorio Armeno. Voglio dire, niente come l'attualità colpisce l'immaginario napoletano, in un misto di libera fantasia e opportunità di lucro. Barak Obama si candida? Eccolo subito tra i personaggi del presepe. In Campania sono sommersi dalla monnezza? Ecco la lista. Naturalmente non si capisce nulla sulle soluzioni proposte, vien quasi il dubbio - visto il nome della lista - che abbiano intenzione di portare la monnezza in Basilicata o in Calabria...

50.000. Tanto per chiarire: cinquantamila è il numero di firme necessarie per presentare una legge di iniziativa popolare. Suppongo, dunque, che "50.000noi" significhi cinquantamila cittadini (noi). Ma se noi (cioè, voi) vi candidate in Parlamento e, fosse mai, venite eletti, allora noi diventa voi. Cioè, noi restiamo noi, ma noi-voi diventate voi. E, quindi, non siete più parte dei cinquantamila noi. Giusto?

Boh. Diceva Pasolini negli Scritti corsari: "Ci sono due parole (...) chiave dei nostri discorsi. Queste due parole sono «sviluppo» e «progresso». Sono due sinonimi? (...) Il «progresso» è dunque una nozione ideale (sociale e politica): là dove lo «sviluppo» è un fatto pragmatico ed economico. (...) La Destra vuole lo «sviluppo» (per la semplice ragione che lo fa); la Sinistra vuole il «progresso»". Dunque?

Chi ci ama ci segua. I dipendenti pubblici, giustamente o ingiustamente, stanno sulle balle a tutti coloro che non lo sono. Luogo comune o meno, è un fatto, inutile negarlo. Il passo successivo del ragionamento è che se una lista di dipendenti pubblici si presenta alle elezioni, riceverà il voto dei soli dipendenti pubblici, senza possibilità di pescare in altri bacini elettorali.
Però, momento: secondo l'Eurispes nel 2004 i dipendenti pubblici erano 3.377.918. Se votassero in massa compatti, lanciati verso la vittoria di categoria, con il furore che contraddistingue un impiegato delle Poste, vorrebbe dire un bel 7,16%, su base 47.160.244, cioè gli aventi diritto alle politiche 2006 (Camera). Percentualona. Non so perché ma immagino non succederà, la flemma dell'impiegato statale avrà la meglio sulla corsa elettorale di categoria (luogo comune).

Uff, trentasette liste finora, meno di un quarto del totale. Ma non le farò tutte, anzi, siamo quasi alla fine.
Per il resto, alla prossima: "Talvolta la democrazia e la libera espressione generano mostri: parte sei".

ventinove

Intervallo: "Donne" per l'Italia.
Non posso lasciar cadere un articolo strepitoso di cronaca politica di Concita De Gregorio su Repubblica di oggi. L'eroica inviata si è dovuta sorbire le deliranti scemenze di Berlusconi di ieri, tutte indirizzate alle donne (fallisce la replica al commento della Santanché "Berlusconi vede le donne solo orizzontali, mai verticali") e ha scritto un articolo eccellente, commentando affermazione per affermazione. Anzi, "donne".
Povera, ha tutta la mia comprensione, a doversi sorbire una camionata di cretinate offensive, tratte dalla più grande raccolta di stereotipi sulle donne, depositata nel cervello del settantenne suonato.
L'articolo è notevole, scritto davvero bene, lo riporto integrale, evidenziando le frasi del mona.

Un repertorio anni Cinquanta: le donne sono splendide madri, mogli capaci di aspettare e perdonare. Intuitive, diligenti, affidabili. Supporti preziosi. Soprattutto cuoche eccellenti e difatti: «Signore, per i giorni del voto ho una missione speciale per voi: cucinate». Portate dolci agli scrutatori ai seggi. «Cose dolci e squisite, mi raccomando». Crostate, per esempio. Le più ardite possono osare uno strudel. Le più esperte un profiterol. Ovazione in sala: con sguardi indulgenti per la debolezza del capo (si sa che gli uomini vanno presi per la gola, del resto) le signore applaudono intenerite. Cucineranno, se è questo che Silvio vuole. Sono pronte. Toglieranno i bracciali pesanti e gli anelli per impastare. Si comporteranno per quello che sono: regine del focolare.
"Le nostre padrone: tra le mura domestiche le padrone siete voi. Fini ed io lo sappiamo bene". Urla di "bravo Silvio", sguardi di tenera comprensione e complicità. Ah, gli uomini: che bambinoni. Del tutto incuranti dell'ora e mezza di ritardo con cui Berlusconi si presenta all'appuntamento, niente per la "leggendaria pazienza femminile", le donne del Popolo della libertà accolgono con sventolio di bandiere (solo una della Lega) le consegne che il leader è venuto ad assegnare loro per gli ultimi quindici giorni di campagna elettorale.
La missione è chiarissima: convincere le casalinghe d'Italia a votare per lui giacché, come mostrano i sondaggi-totem, un'alta percentuale di indecisi si annida proprio fra le donne, in specie fra quelle che per amore o per forza lavorano in casa. Il ragionamento che ne consegue è elementare: se dalle donne dipende il risultato è sulle donne che bisogna puntare.
"Rassicurarle, tranquillizzarle", tutti verbi così, consolatori e docili. Alcuni consigli pratici: convincete tutte quelle che potete a non votare i piccoli partiti e specialmente Udc "che tanto sono voti regalati alla sinistra, al Senato sono proprio voti persi perché tanto nessuno raggiungerà l'otto per cento".
"Ma non voglio stancarvi con questioni tecniche", si premura paterno Berlusconi. Piuttosto: andate a vigilare ai seggi "perché il pericolo di brogli è altissimo, sono un'antica professionalità della sinistra".
Voi dovete procacciare il cibo agli scrutatori. "Noi allestiremo un servizio catering ma voi potete fare di meglio". Forza quindi: cucinate.
Si dipana da qui un fenomenale estratto in pillole del pensiero di Berlusconi sul senso della presenza femminile in politica, nella società e nella vita. Premette che gli hanno "raccomandato di non far battute sulle donne" (persino Bossi: "meglio che di donne Silvio non parli"). Uno sforzo vistoso, la tentazione della battuta è irresistibile: "Vedo che c'è una delegazione dell'Alitalia. Scusate ma preferisco le donne". Pazienza, andiamo avanti.
Si parte dalle inspiegabili virgolette messe nel titolo della manifestazione: "Donne" per l'Italia. Solo la parola donne è fra apici. "Le virgolette sono mie", proclama orgoglioso il leader.
E dunque? Che significa? "Donna, come voi sapete, deriva dal latino domina: padrona. Dunque donne come padrone: padrone per l'Italia". Brusio di confusa approvazione. "Quando voi entrate nel vostro dominio, nella casa, noi uomini diventiamo sudditi". Il vostro dominio: la casa.
"Voi siete le nostre padrone, fra le mura domestiche". Che soddisfazione. "Vi assicuro che quando torno a casa sono le mie donne a comandare". Risate, qualche "esagerato". Ma no, dice sul serio.
Ecco un elenco di pregi femminili: "Voi arrivate alle soluzioni per istinto". Ecco, le donne sono l'istinto gli uomini la ragione. "Voi siete più brave a scuola", precise nello svolgere i compiti, "siete più affidabili in ufficio", efficienti ad eseguire. "Siete più coraggiose nella vita", sempre per via dell'istinto evidentemente e della naturale inclinazione a difendere la prole. "Sapete dare un apporto di concretezza e sensibilità". Un apporto. Per tutti questi motivi "ho deciso che nel nuovo governo quattro ministri su dodici saranno donne". Un terzo: non un grande avanzamento.
Nessun cenno alle attività individuate come idonee per le ministre. Cucinare al governo non serve.
In prima fila proprio sotto il palco Mara Carfagna maestra di cerimonie. Berlusconi le si rivolge soave: "Sono venuto qui ad eseguire il compito che Mara mi ha assegnato, è lei la padrona. Mi ha chiesto di spiegarvi che cosa dovete dire per convincere gli indecisi". Un capolavoro: obbedisco all'ordine di dirvi cosa dovete dire. Segue breve spiegazione semplificata del funzionamento del sistema elettorale. Esecrazione dell'"idiota legge sulla par condicio" che impedisce alla politica di fare il suo corso naturale, qui illustrato come quello della Coca Cola: "La Coca Cola ha il 35 per cento di mercato delle bevande gassate e investe il 35 per cento in pubblicità. Un aumento di 5 punti di pubblicità - share of voice - per tre mesi porta un punto in più di vendite. Con la propaganda politica è uguale, purtroppo ci impediscono di farlo". Share of voice suscita in platea un momento di smarrimento ma il senso della missione è lampante: "Chi sa far la spesa meglio di voi? Chi sa meglio di una casalinga quanto conti un consiglio di consumo dato a voce?".
Andate, dunque, e siate operose. Valido supporto. Diligenti cuoche sopraffine.

ventotto

Talvolta la democrazia e la libera espressione generano mostri: parte quattro.
Le altre tre mortali puntate del meraviglioso viaggio all'interno del corpo elettorale sono più sotto oppure nel comodo indice nella colonna di sinistra.

cap. 3/b: il significato è irrilevante (il lato oscuro).
Seconda parte della carrellata delle liste oscure, categoria inquietante che getta il mio animo nelle segrete del vivere comune. Opportunità politica? Incapacità di qualunque grado di comunicazione? Scemenza congenita? Sottovalutazione del concetto di "elezione democratica"? Forze oscure che si nascondono dietro un simbolo elettorale? Tutto può essere, agli elettori la misera sentenza. Proseguo.

Please. Lo sconcerto regna in me sovrano. Iperproduzione di slogans programmatici in questo caso: si spazia vorticosamente dal nome della lista, motto della repubblica francese, che all'interno del simbolo è addirittura riportato in ordine diverso (!!) all'incredibile "yankee go home please" (sarcasmo malriuscito? PLEASE?) a rivendicazioni bizzarre sul T.F.R. E lo slogan in alto? Che sono, agenti di recupero crediti?

Se non sono massone, lo sembro. Ho cercato e ho trovato la spiegazione. Nelle intenzioni dell'autore, tale Battista Mazzetta «dilettante podista», il significato del simbolo e del nome sarebbe il siffatto: "III M", alla latina. Sempre secondo l'autore, l'indicazione numerica significherebbe "terzo millennio", perché lui è proiettato nel futuro. Peccato che "III M" significhi "tremila", così tanto per riportarlo al presente.
E nucleo rimanda a infelici esperienze terroristiche, devo dire.
Complimenti al grafico che è con evidenza lo stesso del Grande Oriente d'Italia.

Premio font. Pane, amore e fantasia? No, PPL: pane, pace, lavoro. E c'è anche la zatterina che ci salverà.
Siamo tutti molto ma molto più tranquilli.

Flipper porta il Galak. Questo è palesemente berlusconiano o finiano, direi. Scartando l'ipotesi (è una speranza) che il candidato si chiami Delfino (e che, di conseguenza, sia l'ex generale fascistoide), immagino che il programma della lista sia eleggere il primo portaborse del Re Nano.

Gli altri siamo noi. Dopo l'Altroconsumo, l'Altromartedì, l'altroieri, l'altroscontro, ecco finalmente anche l'alternativa a noi stessi:

Tautologia.
In logica, una tautologia (dal greco ταυτολογία, composto di ταυτό lo stesso — τα lo e αυτό stesso — e λογία per λόγος discorso) è un'affermazione vera per definizione, quindi fondamentalmente priva di valore informativo. Le tautologie logiche ragionano circolarmente attorno agli argomenti o alle affermazioni.

Il bene. Almeno qui c'è una parvenza di senso del vivere collettivo, di comunità, di condivisione.
Certo, il problema è che quello che è bene comune per te, non sempre lo è per me, il che è un aspetto irrisolto del vivere democratico. Per esempio, a mio parere, lo sfondo arcobaleno per indicare l'appartenenza alla vita sociale dei movimenti e la distanza da quella dei partiti non è bene.

Alvaro Lissa. Prima ho pensato che, solitamente, la qualifica di poeta mal si concilia con l'azione, anche se il poeta è giovane. Sia per la ricerca e la contemplazione, sia per il luogo comune che vuole il poeta un poco privo delle vitamine fondamentali. Poi mi sono chiesto chi siano questi "Giovani poeti d'azione", così sono andato sul loro sito. Alla terza riga mi conquistano così: "Averci raggiunto per te è una fortuna e un privilegio perché visitare ed esplorare questo sito è un'esperienza che ricorderai e ti farà crescere (...) divieni sempre più curioso e interessato a conoscere e comprendere le Verità che abbiamo da offrirti".
Allora ho pensato: ma andate a cagare.
Soprattutto tu, D'Agostini, poeta di cui segnalo l'imbarazzante "Ode al lampione". Ma per favore.

I vincitori. E l'ambito trofeo di migliore lista del giorno, va alla lista di Carlo Magno, Francesco Giuseppe, Ottone I il grande, Carlo V e Francesco II. E io che mi pensavo che il tutto fosse tramontato nel 1806...
E invece no: come suggerisce il sito, finissima la scelta musicale, il Sacro Romano Impero è tra noi e ha sede a Casalpalocco. E ha la sua alfiera in Mirella Cece, che faceva la ragioniera alla FIAT.
Ah, come sono lontani i tempi di Vienna e di Schönbrunn...

E anche oggi mi son stremato i didimi a sufficienza, mancavano solo i ragionieri del Sacro Romano Impero.
Mi apparto alla ricerca di cantucci di tranquillità e gentilezza nei quali la campagna elettorale non arrivi, pigliando pausa fino alla prossima iperfatica: "Talvolta la democrazia e la libera espressione generano mostri: parte cinque". Se prima non me moro.

ventisette

Talvolta la democrazia e la libera espressione generano mostri: parte tre.
Le avvincenti parti uno e due del meraviglioso viaggio all'interno del corpo elettorale sono più sotto.

cap. 3/a: il significato è irrilevante (il lato oscuro).
Terza ammorbante puntata della speculazione immane tra le 177 liste candidate alle prossime politiche e terzo capitolo della saga elettorale cretina, che si apre oggi - dopo gli uomini-lista e i nomi balenghi - con le liste dal significato a dir poco oscuro.
Intendo dire, tutte le liste candidate delle quali non solo non si intuisce la collocazione politica ma non si comprendono nemmeno la missione, lo scopo predominante (non dico il programma), gli obbiettivi piuttosto che il leader, il motivo della nascita e così via. L'incomunicabilità più completa, vuoi per incapacità manifesta dei titolari vuoi per calcolo politico. Avanti, dunque, con il trionfo di simboli.

Intero è meglio. Più che integri, questi sono interi. Son talmente interi che il loro programma è: "Permettere ad ogni persona e comunità presente e futura, e ad ogni altra realtà esistente nel raggio di azione umano, di sviluppare a pieno, e di esprimere a pieno, ogni sua propria capacità e potenzialità reale, quali che siano le fedi-leggi-culture-istituzioni di ciascun popolo e Paese".
Universalistico 100% e simbolo formato discount.

Dio, l'aggettivo... Il fantomatico gruppo San Francesco si inventa un partito che punta a unire, finalmente, "milioni di volonta’ coese nel seno della GRANDE MADRE, la RETE". 'Azzo, figli della rete? E' anche peggio che essere figli della serva o di gran baldracca...
Ah, dimenticavo: hanno un sito che fa cag... ehm, un sito basilare, brutto quasi quanto il mio.

Attenzione, trivigante! Prima di mettermi a sbertucciare la prossima lista, sono andato a vedere il sito del partitello (che non ha nemmeno un sito ma un blog). Ho scoperto che Non Remare Contro, oltre che filo-berlusconiano, gode del supporto dell’Associazione Poliziotti Italiani e del sindacato di Polizia COISP. Oh, oh, mi sono detto, qui bisogna andarci coi piedi di piombo, caro mio, son pulotti.
Ecco, dunque, il mio savio commento: lo slogan è l'ulteriore semplificazione di un elementare pensiero di Berlusconi, il che rasenta lo zero quoto di senso e profondità; il simbolo, con tanto di onda per esplicitare, fa schifo a chiunque abbia vista multicromatica e il labirinto in ordine. Fatto.

Abbiamo visto Cocoon tredici volte. Noi chi? La strumpallazza luminosa ci salverà e ci guiderà nelle notti oscure della politica. Oppure è il partito dei detentori del superpotere Dragon Ball di sparare palle di fuoco nel ventitreesimo torneo Tenkaichi. Comunque sia, il potere è nelle loro mani.

Chi è contro chi? Questi sono una casta contro chiunque, a prescindere?
Sono forse una casta italiana contro l'Europa? Forse Laetitia Casta si nasconde dietro questa lista?
Se il messaggio è, indovino, che siete contro la casta dei politici perché avete letto Stella, allora non si capisce tanto, l'ordine soggetto-verbo-predicato un suo senso - di solito - ce l'ha.

Getta l'ancora. La pacifica rivoluzione dei rimorchiatori e dei pescherecci invaderà democraticamente tutte le piazze d'Italia, purché siano dotate di almeno un metro d'acqua o di piscine gonfiabili.
Anche nella vasca di casa tua, se la tieni piena.

Dice il saggio Ten. Questa stlada va cambiata / o succede una flittata! Oppure: chi va in gilo a folleggiale / la sua mamma fa stal male! Ancora: se si talda nel flenale, / ci si va a spiaccicale! E, infine: qua noi ci disidlatiamo, / se qua l'acqua non tloviamo!

Ho letto Dante. E verrà il veltro che scaccerà la lupa.
Nel partito che al mercato mio padre comprò.

Sapevo che il terzo capitolo sarebbe stato il più arduo, per consistenza e materiale.
Mi tocca spiaccicarlo in più parti, altrimenti il gusto si perde, per chi ha ancora la forza di seguitare a leggere. Nemmeno io ho letto tutto quello che ho scritto, quindi capisco benissimo.
Questo paese continua a essere al di sopra delle mie capacità. Devo frapporre anch'io qualche momento di svago a questo rovescio di allegria elettorale o rischio di non uscirne vivo.
Esco, dunque, a schernire vescovi e continuerò ne la prossima avvincente puntata del dramma elettorale, "Talvolta la democrazia e la libera espressione generano mostri: parte quattro".
Certo che, vista la mole, potrei anche togliere il "talvolta" dal titolo.

ventisei

Talvolta la democrazia e la libera espressione generano mostri: parte due.
L'avvincente prima parte del meraviglioso viaggio all'interno del corpo elettorale sta nel post di ieri.

cap. 1: Un uomo, una lista, un voto.
Proseguendo l'amena rassegna delle liste candidate, è evidente che non tutte le liste si presentano alla Camera e al Senato, come è evidente che non tutte le liste si presentano in tutte le regioni e, altrettanto, che spesso vale la bizzarra equivalenza una lista=una persona.
Ecco, dunque, il primo punto interessante: cosa spinge una persona singola a costituire una lista che, di fatto, è mono-rappresentata? Alcune ipotesi: desiderio di solitudine; voto di scambio; ego ipertrofico; tradimento degli amici al momento della sottoscrizione; modulo consegnato all'ufficio sbagliato; rivincita sui dispetti ricevuti dai compagni alle medie; pene sottodimensionato; desiderio frustrato di superpoteri; delirio da notorietà, ancorché minima; demenza precoce; incapacità di aprire un blog.

A dimostrazione di quanto teorizzato, i due pietosi casi di Mario Zarlenga e di Giuseppe Quaranta.
Il primo, balengo da competizione, mette dei palloncini da calcio (suppongo, eh, ma è dura!) su alcune circoscrizioni elettorali estere, azzecca la peggiore combinazione cromatica possibile e conia uno slogan che nemmeno Cincinnato. Il secondo sfonda il muro del colore e, con il suo cognome, offre un giochino che non si è visto nemmeno sui diari delle medie e sbrodola slogan a ripetizione. Sud libero da che? Si spieghi, 40.

Più particolare il caso di Stefania Ariosto, la teste Omega nel processo a Previti, che ha svernato per anni nei salottini berlusconiani finché non si è offesa (o stufata, non so) e li ha trascinati a processo.
Interessante il simbolo, come dice lei: "una rosa e sotto la rosa una V rappresentante il simbolo sessuale femminile". Una V? Anvedi, che contessa. Non che io corra il rischio, ma spero ardentemente di non guardare mai nelle mutande della signora. Buffo che una che si è fatta costantemente umiliare per anni da Berlusconi e dai suoi compagnucci fascisti, i quali non hanno certo una gran considerazione del cervello femminile, ora si atteggi a post-femminista battagliera alla riscossa.

Suppongo leggesse Eco, quando ha deciso di presentare la lista "Nel nome della donna" con una rosa.

cap. 2: Inventarsi un nome.
Scegliere il nome della lista è il primo passo e non è dei più semplici. L'unica analogia calzante che mi viene in mente è con la scelta del nome di un gruppo musicale, tant'è che esistono un sacco di band con nomi imbarazzanti. Qui è lo stesso: lunghi pomeriggi e serate nelle quali gruppi di intelligenze accecanti cosano di cervello fino a farselo fumare nello sforzo dell'uso, finché uno salta su gridando eureka e gli altri, entusiasti, sono tutti una pacca sulle spalle e sorrisi di ammirazione per il genio.
Il problema sorge quando i risultati di cotanto sforzo sono a dir poco imbarazzanti. Il che la dice lunga lunga sulla qualità dei cervelli sottoposti a improvvido utilizzo. Ma benedetti ragassi, non è che potete tutto di un botto ripescare il cervello dalla cantina e tirarlo a mille giri, se sono anni che stava raffermo. Dovete fare le cose in modo graduale: prima colorare qualche illustrazione, poi provare a memorizzare una filastrocca, poi giocare con le costruzioni e così via, insomma, con calma. Vi fate male, altrimenti.

Che dire, dunque, dei genii della L.I.R.A. che in un colpo solo boicottano l'euro e sostengono l'amore rispettoso nella libertà indipendente? O che dire dei lealisti de LeAli?

Se il nome non viene, la soluzione migliore è copiare. Basta un plurale al posto di un singolare, qualche piccolo dettaglio e vualà, il gioco è fatto. Mi resta il sospetto della malafede per raccattare i voti di qualche elettore disattento che non fa troppo caso al simbolo. Il sorrisetto tricolore sotto il simbolo di destra mi pare un indizio piuttosto lampante.

Oppure, ma qui non c'è malafede, le idee scarseggiano davvero ed è meglio copiare di brutto il nome (il simbolo no, complimenti al grafico depresso):

Un caso particolare di nome: la Rosa Bianca di Tabacci.
Chiunque abbia letto un minimo di storia, sa che la Rosa Bianca (
Die Weiße Rose) è stato un movimento di opposizione nonviolenta al nazismo: cinque studenti dell'Università di Monaco (Hans Scholl, sua sorella Sophie Scholl, Christoph Probst, Alexander Schmorell e Willi Graf) e un professore (Kurt Huber), tra il 1942 e il 1943 si opposero a Hitler distribuendo opuscoli e volantini che sostenevano un'Europa federale fondata sui principi cristiani di tolleranza e giustizia. I sei furono catturati dalla Gestapo e decapitati nel 1943. La Rosa Bianca divenne il simbolo di una delle forme più pure di opposizione alla tirannia.
Ora, vorrei sapere: cosa c'entra Tabacci con tutto questo? Come si permette di appropriarsi di un nome che è del tutto indegno anche solo di pronunciare? A quale tirannia si oppone? Non prova vergogna?

Tabacci è uno stronzo conclamato e io lo odio, presuntuoso idiota senza rispetto per chi ha pagato di persona per inseguire un'idea di libertà. Che schifo, mi viene da vomitare.

Su questa nota sgradevole, purtroppo, si chiude la seconda parte dell'avventuroso viaggio.
Fanculo a Tabacci e rimando alla prossima avvincente puntata del dramma elettorale, "Talvolta la democrazia e la libera espressione generano mostri: parte tre".

venticinque

Talvolta la democrazia e la libera espressione generano mostri: parte uno.
Finora ho tergiversato, lo ammetto, cercando di evitare l'argomento elezioni, ché ho già i didimi fluttuanti al solo pensiero. Allo stesso tempo mi rimorde la coscienza, però, di sprecare una simile occasione per incazzarmi ancora di più con questo splendido paese e con la meravigliosa gente che lo abita.
Perché, dunque, gettare al vento luminose occasioni di sfogo e rancore? Infatti non c'è ragione, visto che prendersela con gli idioti costa meno di un analista, o di pasticchine colorate, piuttosto che della marjuana, ed è efficace come una seduta giornaliera in una palestra di ti-spacco-la-faccia.
Forse è meno bello, divertente e rilassante, concordo, ma questo ci tocca, vivendo in cotesto paese.

Con l'aiuto del sempre utile Ministero dell'Interno (son spiritoso!), vado dunque a iniziare un viaggio periglioso e lungo nei meandri delle liste candidate alle prossime elezioni.
Solo dati ufficiali, dunque, perché carta, per una volta, canti davvero. Via, allora.
Ecco un elenco di categorie politiche: seconda repubblica, maggioritario, bipolarismo, rinnovamento, voto utile e inutile, partito unico, coalizione, raggruppamento. Se dal 1992 in poi, vi siete bevuti come reale almeno una di queste categorie, non avete la minima idea del paese in cui vivete e, presumibilmente, non siete pronti per andare a votare. Forse non dovreste, chissà.
Se, al contrario, siete più o meno consci di cosa vi aspetta, non rimarrete sorpresi alla notizia che, alle prossime elezioni politiche del 13 e 14 aprile 2008, sono candidate 177 liste.
Centosettantasette sono le liste ammesse alla competizione elettorale, purtroppo non è dato sapere quante se ne siano presentate, forse dieci volte tanto, forse centosettantotto, chissà, resta un mistero.

Prima di qualunque altra considerazione, però, voglio procedere all'assegnazione di alcuni premi, fuori categoria. Sono quindi onorato di presentare la vincitrice assoluta tra tutte le liste, per meriti incontestabili di incoerenza, assurdità intrinseca, beotaggine e balorderia:

Presentarsi alle elezioni con una lista che invita a non votare o è un colpo di genio clamoroso, che farebbe l'invidia di Breton, Max Aub e di qualunque altro surrealista, oppure è un'incongruenza colossale e ridicola.
Non so perché ma propendo per la seconda che ho detto. Se la lista raggiungesse il suo scopo, evidentemente non prenderebbe nemmeno un voto. Vale a dire, se vi sono dei militanti, di certo non andranno a votare per la propria lista. No? Complimentoni vivissimi, comunque.

Il premio furbizia, invece, all'UDEUR:

Infatti, come è noto finora, Mastella non si candida. A questo punto, su un simbolo elettorale ci si può scrivere, che so, "Power Rangers" o "Vendo Panda Blu", l'effetto è garantito comunque. Un po' stronzi, direi.

Un altro premio, ma non so bene di che categoria, è invece per il Partito Impotenti Esistenziali:

Il dottor Giuseppe Cirillo è senza dubbio uno spiritosone. Se le racconta e poi si capotta dalle matte risate. Io non capisco bene cosa significhi essere impotente esistenziale, ci penso e non trovo soluzione. Per fortuna il suo leader, nonché fondatore, nonché finanziatore, nonché candidato premier, dottor Giuseppe Cirillo, spiega: "sono impotenti esistenziali i cittadini che non hanno forza e coraggio di esternare le proprie insoddisfazioni esistenziali e i propri malumori". E lui farà da megafono. Ci mancava, proprio.
E poi, chi cavolo voterà una lista che ha scritto "impotenti" grosso come una casa? Io no, ah no.

L'ambitissimo e ultimo premio, la coppa "Rientro dal cesso mentre non guardate", va a Emanuele Filiberto che, zitto zitto, si candida all'estero, in qualche circoscrizione di emigrati che pensa ci sia ancora il Re:

Non voglio nemmeno lontanamente pensare alla possibilità che il figlio della biscottaia e dello sparatore possa venire eletto. Non posso, non posso, sono già stremato da Pallaro l'ultima volta, qualcuno faccia qualcosa, qualcuno dica qualcosa, per favore. Va ben pur tutto, ma Emanuelefiliberto no, per carità!

Ora che ho assegnato i premi honoris causa (avrebbero potuto essere molti molti di più), mi predispongo spiritualmente e corporalmente al vaniloquio sugli altri simboli e liste candidate.
Per questo, però, avendo già dato pacchi di simpatia con questo post e avendo sudato anche sulla camicia del dottor Cirillo, rimando alla prossima avvincente puntata del dramma elettorale, "Talvolta la democrazia e la libera espressione generano mostri: parte due".
Sto seriamente pensando, però, di cambiare nome a questo spazio, magari "Io non scrivo" o "Io non leggo", insomma qualcosa del genere... Forte, no?

ventitre

Sessantaquattro.
Sessantaquattro anni fa, l'attacco partigiano di via Rasella a Roma. Il giorno dopo, 24 marzo 1944, la rappresaglia: dieci uomini rastrellati a Roma per ogni soldato tedesco morto, senza badare alla precisione del conto, condotti in una cava delle Fosse Ardeatine, fuciliati e umiliati con le mine. Furono 335, tra detenuti politici, civili di religione ebraica, detenuti in via Tasso, parenti rastrellati con furore spietato.
Un esempio per tutti: Mosè Di Consiglio fu ucciso alle fosse e con lui suo padre Salomone, i suoi tre figli, Marco, Santoro e Franco e suo fratello Cesare.
Non esistono parole per spiegare.
I tre maggiori responsabili dell'eccidio alle Ardeatine ebbero sorte molto più felice di quello che avrebbero meritato:
Albert Kesselring scampò alla condanna a morte, si fece sì e no tre anni di carcere in Germania e poi ebbe l'impudenza di associarsi a un'organizzazione di reduci neonazisti, liberamente, fino alla morte; Herbert Kappler si fece alcuni anni di carcere in Italia, ricevendo una pensione dal governo tedesco e dedicandosi all'allevamento di pesci ornamentali e suonando il violino, finché il 15 agosto del 1977 fu lasciato fuggire dal carcere del Celio e finì i suoi giorni da uomo libero in Germania; Erich Priebke, si sa, fino allo scorso novembre scorrazzava tranquillo in libertà vigilata per le strade di Roma, con la scusa di recarsi al lavoro (anni novantacinque, giova ricordarlo), libertà poi revocata in favore degli arresti domiciliari, la cosa era troppo sfacciata perfino per noi italiani. Come se fosse differente.
Due film: Rappresaglia (1973), di George Pan Cosmatos con Marcello Mastroianni e Richard Burton; Dieci italiani per un tedesco (1962), di Filippo Walter Ratti con Gino Cervi.

ventidue

I monumenti (ai) caduti.
I caduti del lavoro di Montichiari. Un'altra tappa nella catalogazione dei monumenti ai caduti che hanno sorpassato la soglia di guardia.
I monumenti in onore dei caduti sul lavoro son sempre cosa complessa,
perché in via teorica si esula dalla retorica patria ma - nonostante l'altissimo numero di caduti sul lavoro - per fortuna non esiste ancora una retorica e un'iconografia apposita.
Ovvero, se l'amministrazione opta per il monumento e non per la comoda lapide descrittiva, si chiama un artista locale, possibilmente rinomato, e si sfanga l'ostacolo in nome della creazione artistica.
In questo caso, faccione alieno con occhio chiuso e, presumo, dolente e sdegnato, sormonta basamento cuboidale con targa avvitata, che dà il senso a tutta la cosa. Altra targa, altro senso. In generale, meglio farli che non farli, i monumenti ai caduti del lavoro, anche se il significato è sfuggente.

ventuno

G8 2001: la relazione di maggioranza.
Il 2 agosto 2001, Camera e Senato stabilirono l'istituzione di una Commissione paritetica (18 deputati e 18 senatori) con l'incarico di svolgere indagini e redigere una relazione in merito ai fatti di Genova di pochi giorni prima. Carlo Giuliani, Bolzaneto, Diaz, Pertini, via Tolemaide e così via, era il momento giusto per raccogliere più elementi possibile. Fu nominato presidente Donato Bruno, di Forza Italia, avvocato, in parlamento dal 1996 (lo è tuttora), qui a destra (metto la foto per vedere che faccia ha uno così).
La Commissione, in poco tempo, produsse due relazioni, una di maggioranza e una di minoranza (in realtà, furono tre, Rifondazione ne produsse una propria, in disaccordo con le altre due).
Ora: a oggi, la relazione di maggioranza resta l'unico documento politico del Governo italiano in merito ai fatti del G8. Sono disponibili i documenti giudiziari, certo, i verbali, le trasmissioni radiofoniche e le riprese video, i documenti delle organizzazioni e di alcuni partiti, i resoconti dei giornali, le fotografie, i racconti delle persone, certamente.
Ma nessuno di questi è un documento ufficiale del Governo.
E, poiché la Commissione di inchiesta del Governo Prodi, come da programma, è stata affossata nel modo che sappiamo e, inoltre, sarà difficile che con il prossimo Governo, quale che sia, ne venga istituita una apposita, nonostante gli sbraiti di qualche furbetto in campagna elettorale (Amato, l'ultimo), ho pensato di riportare qui il documento ufficiale, di metterlo a disposizione.
Infatti i documenti spariscono, o vengono dimenticati, o mutilati; sebbene questa relazione non contenga alcuna informazione utile, anzi piuttosto brilli per servilismo e per opportunità politica, resta un documento ufficiale agli atti del Governo e della nostra storia.
Ed è perfettamente in linea con i fatti successivi, anche di questi giorni, come l'insulsa richiesta di pene per gli imputati del massacro a Bolzaneto, la mancata codifica del reato di tortura nella giurisprudenza italiana, la prescrizione per i reati ascritti, le promozioni sistematiche degli ufficiali coinvolti nelle operazioni di quei giorni, gli esiti del processo Giuliani, la mancanza della volontà politica di giungere all'accertamento definitivo, storico e giuridico, dei fatti. Siamo sempre italiani, in questo genere di cose.

Per citare alcuni passaggi salienti (le evidenziature sono mie), la relazione si apre con una constatazione sconcertante sulla positiva riuscita del vertice sotto tutti gli aspetti e, spudoratamente, addossa alcune responsabilità al Governo precedente (Amato, ancora):

Il capitolo su Bolzaneto è a dir poco imbarazzante:

E le conclusioni lo sono altrettanto:

In definitiva, mi spiace constatarlo, non ci si poteva aspettare null'altro di diverso, perché l'osservazione obbiettiva e ragionata dei fatti non fa parte del costume nazionale. La rilevanza di questo documento, però, sta appunto nel suo essere unico, vale a dire il solo documento ufficiale agli atti delle Camere del Parlamento in qualità di inchiesta governativa.
Se non è stato prodotto altro, in questi sette anni, non c'è stata alcuna spinta politica, per quale motivo la magistratura, i movimenti d'opinione, le associazioni, le persone, i giornali, i testimoni dovrebbero da soli e con le proprie forze, non coordinate, riuscire a stabilire una verità duratura e condivisa?
Amato, ancora lui e ora in veste di Ministro dell'Interno, interrogato oggi sul "silenzio della politica sui fatti di Genova", risponde: "Non parlerei di silenzio. Parlerei di indifferenza, o meglio di ritrosia". Ministro dell'Interno, bravo, davvero. Su, non fate i timidi e andate pure a quel paese.
Ecco il documento originale e integrale:

Commissione paritetica di inchiesta sui fatti di Genova - relazione di maggioranza

parte uno

parte due parte tre parte quattro parte cinque

quindici

Case, non lifestyle.
Tra le professioni attualmente di moda, secondo i dati Isfol 2006, vince su tutte l'agente immobiliare, perché il mattone tira più del materasso, specie nei momenti di crisi finanziaria e di basse rendite.
Sarebbe a dire, secondo definizione, "un mediatore specializzato nella conclusione di affari aventi per oggetto lo scambio di beni immobili o aziende", che è una cosa differente dall'immobiliarista, altra professione molto in voga almeno fino a qualche mese fa, che è un tizio che utilizza l'acquisto di immobili come leva finanziaria per altre operazioni. Gli immobiliaristi, che io ricordi, sono tutti molto belli, hanno dei capelli stupendi e, prima o poi, scappano da qualche parte.
Molti agenti immobiliari tendono alla bellezza ma non sempre la raggiungono, anzi, più che altro raggiungono una super-tinta fintamente rilassata, esibiscono un fare disinvolto e grandi macchine, battute spiritosissime e uffici con signorine dalle gonne molto corte. Tutto questo perché non vendono case ma modi di stare al mondo, vendono estensioni delle nostre meravigliose e irripetibili personalità. Hanno riviste specializzate, si intendono nei minimi dettagli di moda e costume, sanno esattamente cosa è adatto a ogni individuo che incontrano, sono dei fini interpreti delle tipologie umane. E, di solito, hanno anche un gergo segreto, fatto di real estate, retail, due diligence, disintermediazione e così via. Ci dev'essere anche una parola per "parcella in nero" ma io non la conosco.
Una volta era più semplice. L'agente immobiliare conosceva quasi tutti nel quartiere o in città, metteva in contatto le persone tra di loro, consigliava l'acquirente e trattava in modo da raggiungere un accordo soddisfacente per le parti, garantiva con la propria presenza l'onestà della transazione e i termini del contratto, suggellava come valido quanto detto. Insomma, un professionista rispettabile e autorevole che svolgeva una funzione importante. Pochi si sognavano di atteggiarsi a stilisti dell'esistenza. Mediavano e trattavano le case per quello che sono: case. Ecco com'era e come dovrebbe essere anche ora:

Io vi voglio bene, agenti immobiliari, abbandonate il lato oscuro e perverso dell'house-lifestyle, smettetela di armonizzare ciò che non dialoga, lasciate perdere gli eventi e i monolocali in Costa Azzurra, false illusioni, dimenticate gli aggettivi "esclusivo", "raffinatissimo" e "prestigioso" e gli anni Ottanta tutti interi, tornate a fare quello che sapete fare: trattare case. Che la forza sia con voi.

tredici

Breve ma intenso viaggio tra qualche Re danese dal bel nome (901-1137).
In principio fu Olof lo Sfacciato, il condottiero svedese che conquistò la Danimarca in principio del secolo X. Egli ebbe due figli, Gyrd e Gnupa, che regnarono con lui come era costume sulla Danimarca; Asfrid la gravida diede un figlio a Gnupa, il valente Sigtrygg, che fu a sua volta re. Il valente Sigtrygg lasciò il regno al lieve figlio Harthacnut, che lo lasciò a sua volta al venerando figlio Gorm il Vecchio, che anche da piccolo fu macilento. Il suo erede, Aroldo I Dente Blu (Blåtand, oggi lo chiameremmo Bluetooth), fu re e fu ucciso da suo figlio Sweyn Barbaforcuta, che volle essere re prima del tempo. Egli si scontrò molte volte con Ethelred l'Irresoluto, lo sconfisse e divenne re d'Inghilterra. Alla morte di Sweyn Barbaforcuta, divenne re di Danimarca e Inghilterra suo figlio, Canuto il Grande, che fu sconfitto da Ethelred l'Impreparato (che tanto impreparato non era). Canuto il Grande non si perse d'animo e cercò l'alleanza con Thorkell l'Alto, il forte condottiero, e insieme riconquistarono l'Inghilterra, sconfiggendo Edmund il Coraggioso. Canuto l'Ardito, figlio di Canuto il Grande, diventò re di Danimarca dopo di lui. Egli non volle moglie e figli e alla sua morte divenne re di Danimarca Magnus I Bellachioma di Norvegia, detto il Nobile. Egli lasciò il regno a Sweyn II Estridsson Ulfsson, che ebbe 19 figli tutti illegittimi: furono re Harald III Hen, poi Canuto IV il Santo, poi Oluf I detto "Fame" per la grande carestia che colpì il suo regno, poi Eric il Semprebuono e, infine, Niels di Danimarca, tutti figli di Sweyn II Estridsson Ulfsson. Niels di Danimarca fu sconfitto dal nipote Erik il Memorabile, che a sua volta fu ucciso da suo nipote Erik III l'Inetto. Era il 1137. Così si conclude, per ora, la meravigliosa cronaca di Trivigante il Pelabroccoli, che osò ridere dei nomi di Re.

dieci

Vocali, vocali, vocali.
Questa fine settimana sono stato a un seminario internazionale di studio a Trieste, nel quale ho imparato una cosa importante: "a, e, i, o, u" in italiano sono dette "vocali", tutte le altre lettere "consonanti".
L'informazione, di cui non ero in possesso prima, fa sì che la frase del post qui sotto, "
Oslo ha un bel nome, di solo quattro lettere, che comincia e finisce con la stessa consonante", diventi - molto più opportunamente - "Oslo ha un bel nome, di solo quattro lettere, che comincia e finisce con la stessa vocale". Imparare cose è entusiasmante e io, ora, sento la conoscenza che scorre forte dentro di me.
A? Vocale. T? Consonante. Z? Consonante. Le so tutte, ora.
Tornando dal seminario, riflettevo sul concetto di errore, che può essere di natura varia, tra cui anche di tipo creativo. Il mio preferito. Per esempio, mentre guardavo fuori la stazione di Cervignano, ho pensato ancora alla Norvegia e mi son detto: "ma non dovrebbe chiamarsi Nordvegia?". Promuoverò un movimento di opinione al riguardo, più avanti, nel frattempo pensavo che a dire stupidate talvolta non si va lontani dal vero. Nordvegia, appunto. E in questo mio cosare di cervello mi è venuto in aiuto Gianni Rodari.
Nella sua Grammatica della fantasia (Einaudi, 1973) parla anche dell'"errore creativo", che balza fuori inaspettato e fa partire per tangenti insospettabili le menti fantasiose. Rodari, per esempio, spazia anche lui nelle lande del nord estremo e immagina che meraviglioso paese sarebbe la Lamponia, se esistesse, terra di ghiacci che san di frutti di bosco. Che meraviglia quando le cose appaiono al momento giusto.
E ora, il migliore esempio di errore creativo di cui io sia mai venuto a conoscenza (lo racconta Thompson in La fiaba nella tradizione popolare): Perrault, scrivendo Cenerentola, arrivò al punto cruciale del ballo, quando la protagonista inseguendo la zucca perse la scarpetta e il principe rintronato la trovò, dando inizio alla grande selezione di Miss Principessa. Bene, ecco il colpo di scena: Perrault scrisse che la scarpetta era di "vaire", che sarebbe una specie di pelliccetta pregiata, ma il caso era in agguato e un tipografo maldestro stampò "verre", di vetro. Mooooolto più evocativo e suggestivo, no? Da allora, la scarpetta è di cristallo e non di pelliccetta un po' cafona, per fortuna. Viva gli errori, dunque, se producono idee migliori e proseguimenti inaspettati. Viva le deviazioni improvvise e viva tutto ciò che non è in agenda.

cinque

Le allegre nonché inutili guide di trivigante.it: cinque pro e cinque contro.
Oslo. Secondo quello snob di Enzensberger, lo scopo del turismo è in sostanza andare a vedere di persona se le piramidi sono davvero come appaiono nelle cartoline. La deduzione logica di quello snob di trivigante, in vena di turismo, è stata di andare a vedere di persona se il legno norvegese è davvero buono come si dice ("So I lit a fire isn't it good, Norwegian wood?"). O, più precisamente, il legno oslota (oslico? osliano? oslonitico?), visto che sono stato solo a Oslo. Ne consegue che questa è una guida sulla sola Oslo ed è, come al solito, una guida parziale e tendenziosa, dato che per il resto oggettivo c'è la lonliplanet.
Poiché, a due giorni dal rientro, sono ancora preda di sentimenti contrastanti su Oslo, ho deciso di sbrodolare questa guida in dieci punti, cinque pro e cinque contro, così da essere abbastanza al sicuro da rappresaglie manesche dell'ente turistico oslota (oslianico?) e dei norvegiani tutti.
Pro uno. Oslo ha un bel nome, di solo quattro lettere, che comincia e finisce con la stessa consonante e che, opportunamente anagrammato, può dare anche "Loos", "Solo", "Sloo", "Ools" e così via.
Contro uno. Esiste un indice internazionale per stabilire con buona approssimazione il grado di benessere di ogni singolo paese e si chiama Indice di Prodotto Interno Lordo pro capite per Parità dei Poteri di Acquisto (PIL-PPA). Quello della Norvegia (43.574 dollari nel 2006) è il terzo del mondo, quello italiano (30.732) è il ventunesimo. Ne consegue, dati finanziari alla mano e testati in loco, che in Norvegia: l'indice CCS (caffè-cornetto-spremuta, significativa foto a lato) si attesta sui dodici euri secchi, quando va bene; il parametro BSN (birretta-senza-niente) sui 7,64 euri per una birra bionda pisciazza; l'indicatore BAVUO (biglietto-autobus-valido-un'-ora) è a 2,80 euri; il fondamentale indice turistico CDF (calamita-da-frigo) si schianta a 6,24 euri; il titolo PUCPSB (piatto-unico-carne-o-pesce-senza-bevanda) si flette tra i 17,83 e i 28,01 euri in ristorante medio; infine, l'indicatore CDLN (cappello-di-lana-normale), fondamentale per la sopravvivenza, si attesta a 26,74 euri. Tutto ciò ha fatto sì che Oslo, dal 2006 a oggi, abbia fregato a Tokio la palma di città più cara dell'universo. Ora capisco perché non vogliono l'euro.
Sono davvero molto lieto di averlo scoperto anche io.
Pro due. A Oslo ci sono, insieme, il mare e la montagna, gamberetti e funghi (foto a lato con trampolone). Ma la mari-e-monti non l'hanno inventata loro. E poi non fa freddissimo perché, come si sa dalle elementari, c'è la corrente del Golfo.
Contro due. Gli orari. Questo sarebbe un pro per i norvegiani ma è un contro per me. Qualunque luogo, pubblico o privato, museo o ufficio, chiosco o show room, negozio di lanterne o di orologi, parcheggio, chiesa, fruttivendolo, lanificio, armaiolo, apre alle dieci-undici del mattino e chiude alle tre o alle quattro del pomeriggio. Non esiste deroga, tranne qualche centro commerciale grosso grosso, e il sabato è anche peggio. La domenica? Non se ne parla, il luteranesimo della Chiesa di Norvegia lo proibisce seccamente. Unica possibilità dall'ora della merenda in poi: rinchiudersi a bere da qualche parte, pub o bar, per qualche ora ancora, oppure andare a mangiare qualcosa prima che le cucine chiudano (alle nove, in orario infrasettimanale). Spero d'estate sia diverso...
Pro-Contro tre. La Galleria Nazionale di Oslo. Non ho annotato sindromi di Stendhal alla vista della pittura autoctona, che pare peraltro esista da due soli secoli (l'Ottocento tutta natura e scoperta del Nord, il Novecento - un poco più interessante - a tratti espressionista e decadente); le tre sale di arte non-norvegese, invece, hanno l'aria di ospitare ciò che sono riusciti a raccattare tra gli scarti avanzati dagli altri musei europei (e così, probabilmente, è). E così, se volete vedere il Monet più brutto del mondo, un Van Gogh dipinto dall'artista a sei anni, un Dal Piombo cascato accidentalmente nel fuoco, siete nel posto giusto. A onor del vero, un El Greco e un Modigliani sono piuttosto belli. E fin qui sarebbe un punto contro, se non fosse per una Madonna di Munch che riporta il tutto in parità, tanto è laica e sensuale (a lato). Pari, dunque.
Pro quattro. Le navi. Facevano navi bellissime, dai vichinghi in poi, e ci andavano dappertutto, come dimostra anche Amundsen in tempi recenti. Senza preoccuparsi troppo se fossero scoperte o troppo piccole, pigliavano e partivano. Una navona vichinga a lato, a dimostrazione di questo luminoso pro.
Contro quattro. Le statue e i monumenti. Sono pazzi i norvegiani. Ci sono sculture a ogni angolo di strada e in ogni parco, tutte incredibilmente assurde dai significati per nulla metafisici, anzi. Per documentare quanto vado dicendo, ho predisposto una mini-galleria fotografica qui a fianco: un gigantesco pugno che esce dal porfido con una rosa, monumento che farebbe la gioia della Bonino; un luminoso monumento alla tarchiataggine delle signore avanti d'età (e ho pure il sospetto che sia una presa per il culo di tutte le mamme meridionali di fianco largo); tutto il parco Vigeland, che contiene 192 statue che rappresentano tutte le umane passioni (ne riporto una, in cui - credo - sia rappresentata la passione che

lui vuole uscire e che lei non vuole che lui esce con gli amici per una birretta a dir cazzate); infine, non contenti, i monumenti se li fanno anche regalare (l'omino di sassi in fondo è dono del Canada in nome della reciproca amicizia). Lo ammetto, questo non è un vero contro, almeno non del tutto. Meglio Garibaldi o la vecchia inquartata? Meglio il monumento ai caduti della Grande Guerra o l'omino di sassi che vive nell'onestà? In effetti, la questione è aperta.
Pro-Contro cinque.
Gli osliani sembrano tutti buoni e sono, sul serio, piuttosto gentili, cordiali e molto rispettosi. Sono anche discretamente belli, le donne molto più degli uomini. E fin qui il pro. Il contro è che non parlano molto. Cioè, sono socievoli quanto un alce nei boschi: da lontano tutto va bene, a primavera sorridono nei prati, da vicino non c'è verso di scambiare più di due parole di circostanza. Enzensberger, sempre lui, quando andò a vivere in Norvegia, vi rimase alcuni mesi e furono mesi terribili, dato che racconta di non essere riuscito a stabilire nessun tipo di colloquio permanente con un abitante del luogo (credo ne parlasse in "Ah Europa!", a memoria). Nel dubbio che fossi io a stare sui maroni ai norvegiani, decreto un altro pareggio, si sa mai. Però non ho mai visto due osliani parlare per strada o un manifesto di una conferenza o un seminario qualunque. Comunque, l'Urlo l'han dipinto loro, mica io. Forse è la poca luce.

Ora, in conclusione di questa guida, l'unica informazione utile: l'indirizzo di una affittacamere che, con il senno di poi, si è rivelata economicissima e veramente gentile, perfin ciarliera per gli standards.
Fatene buon uso, come delle mie foto e, magari, se proprio proprio, andate d'estate.

quattro

Io tengo per Meucci.
In breve: quei cretinetti di Google ieri hanno messo la faccina di Bell sulla homepage, celebrandolo quale inventore del telefono. Non è così, ovviamente, perché il telefono l'ha inventato Meucci, il quale, vivendo in estrema indigenza, non poté depositare il brevetto, perché gli toccava prima mangiare. Dopo un secolo, è un fatto.
Bell ebbe onori e trionfi, il povero Meucci se ne andò anche a Cuba, pur di lavorare, e perse anche la causa che intentò a Bell, per mancanza di soldi e di un'adeguata difesa. Ora, la domanda retorica: a chi tra i due va la preferenza di trivigante? A Meucci, manco a dirlo, e mica per ragioni di campanilismo. Viva Meucci. Infatti, si dovrebbe dire "please ring the meucci" e non "please ring the bell", ingiustizia canaglia. E se la storia avesse un senso della giustizia, Mike Olfield avrebbe suonato "Tubular meuccis", mica quell'altra roba.
Di tutta questa faccenda se ne è accorto gimmi che ha lanciato l'idea del "Meucci blog day": il 13 aprile, domenicaccia di elezioni, si celebrerà la festa di Meucci e chi ha un blog aderirà postando parole d'onore per l'inventore dell'ET-telefono-casa. E a Bell nemmeno una fetta di torta, che ne ha già avute tante.

tre

Due enti pubblici interessanti del Ministero della Difesa: una proposta.
Arturo Parisi, ministro della Difesa del defunto governo Prodi, al momento della stesura dell'ultima finanziaria, quando gli venne chiesto - come a tutti i ministri - di dare un corposo taglio alle spese pubbliche per gli enti inutili, fece il diavolo a quattro non solo per mantenere intatta la spesa del suo (?) ministero ma, anche, per mantenere vivi e vegeti alcuni enti pubblici interessanti.
La ragione di tale squisita sensibilità è forse da ricercarsi nel suo cursus studiorum, che lo vede diplomato alla Scuola Militare Nunziatella di Napoli (peraltro fondata da un suo parente) oppure, forse, per le sue vicende familiari, non saprei, fatto sta che fece un gran casino pur di non sopprimere, per esempio, l'O.N.F.A., che sarebbe l'Opera Nazionale per i figli degli Aviatori; gli orfani in questione, ne dichiarano circa 350, vengono fatti studiare e, cito, "dimostrano amore per la divisa azzurra e un notevole spirito di corpo; sono molto benvoluti e seguiti con particolare simpatia nell’ambiente scolastico di La Spezia". Stesso attaccamento per l'U.I.T.S., Unione Italiana Tiro a Segno, ente fondato nel 1861 per "coordinare l'addestramento all'uso delle armi da fuoco dei giovani delle nuove regioni annesse al Regno d'Italia". Sono esempi, naturalmente, la lista degli enti pubblici ridicoli è molto lunga, qualche sibilla mormora siano trecento (cito per bellezza intrinseca l'"Opera Pia per la Cura Balneare Marina" di Milano e il "Consorzio Idraulico di Terza Categoria per i Corsi d'Acqua" di Bergamo); gli è che oggi mi andava di sbuffettare Parisi ed eleggerlo a emblema di uno stato di cose. E non dico nulla sul fatto che sia membro del Comitato nazionale per il PD...
La cosa buffa è che esiste un ufficio apposito per gli enti pubblici inutili, disciolti e cadaveri putrescenti: l'I.G.E.D., Ispettorato Generale per gli Affari e per la Gestione del Patrimonio degli Enti Disciolti, poi confluito nell'ufficio V dell'I.G.I.C.S., Ispettorato Generale per l’Informatizzazione della Contabilità di Stato, dipendente dalla Ragioneria di Stato. Costume italico permanente: costituire uffici per la risoluzione dei problemi secolari i quali, invece che sbrogliare, cristallizzano e sanciscono a tempo indeterminato la situazione di emergenza. Rimando per questo a una sostanziosa puntata di Report.
La situazione ha aspetti paradossali, esempio: quanti dipendenti ha l'I.G.E.D.? Trecento. Quasi un dipendente per ente inutile, vien quasi da immaginarli come pubbliche badanti premurose per enti che paiono morire ma non schiattano mai, anzi. E Parisi uguale, tanto premuroso anche lui.
Lancio una proposta per la riduzione di uno tra O.N.F.A. e U.I.T.S.: che ne direbbe, signor Parisi, se ai tiratori dell'U.I.T.S. facessimo sparare agli orfani dell'O.N.F.A.? I classici due piccioni-piattelli con una fava-proiettile. Ma non se ne farà nulla. Putroppo, si sa, quando sono al governo diventano irragionevoli e sordi alle buone proposte, anche quando ne hanno una davanti al naso...

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