Questo è un vecchio giochino dei tempi della tregenda che mi diverte ancora, per cui perché non giocarci di nuovo? Certo, rispetto ad allora – quindici anni fa – i motori di ricerca funzionano molto meglio e, direi, le persone cercano molto meno. Alla cavolo, perlomeno, o forse trovano quel che cercano molto prima. Di sicuro si usavano molte più parole e lo spasso veniva presto. E poi non c’è più tutto quel porno di allora, fagocitato da poche piattaforme. Ma qualcuno che cerca ancora c’è. Quindi, altro giro di motoscurreggia su: le migliori chiavi di ricerca dell’ultimo mese che qualche incauto ha digitato nei motori di ricerca e per le quali è finito su trivigante. Va’ a sapere. La rubrica più babbea di tutta la circoscrizione.
Vorrei sapere:
ne sento sempre parlare: dov’è l’olanda
ah, ma se lo trovo…: porco australiano
so usare i trucchi dei motori di ricerca: itaairwayswifi
cerco uno che lo sia: tipo
non ho sentito bene ma gugol lo saprà: coniugi andolfini
ne ho passione: rettangoli colorati
ma senza fucile non si capisce: quando un uomo incontra un uomo con pistola
trentamila lire?: il mio falegname con
ti trovo: bastardello
Loro: sciolgono trecce cavalli
non lo trovo più: il mio falegname
e io la troverò in rete: la fortuna esiste
credo ciascuno al suo posto: nord sud ovest est dove sono
quella con tutti e quattro: mappa nord sud est ovest
no, senza l’est: nord sud west
gli altri non mi interessano: est e ovest dove sono
povero Brian: eno significato
conosco i remoti complessi: essi piacquero
ho un bell’eloquio: me ne compiaccio
i punti cardinali sono un problema per molti: dove è est
conosco le lingue: scherzing
amo un certo cinema francese: films pornographie
mah: la eta
che vorrei comprarlo: camion più bello del mondo
in ordine personalizzato: est ovest nord e sud
ho sentito di una favola: strega mela
non liscia: una strada piena di solchi
eh, caro, son tante: film porno categorie
io uso solo quella valuta: costo della vita a chisinau in sterline
ma quando mai?: mafalda ottimista
li sento spesso nominare: cosa sono gli obelischi
sei nel posto giusto: forza sovrumana
ovviamente sotto: paesi bassi dove si trovano
chissà che vorrebbe sapere: abbiamo fatto centro
eh, a me piacciono: maschioni
perché lei ha le connessioni con lui: flavia vento poesia leopardi
chissà che voglio: ricevo una mail da me stesso
scountryty: scampagnata in inglese
democristiana?: moro etnia
non di Nazareth: il brian che ha lanciato by this river
tu li vorresti vedere: film pornografici
è Battisti ma da me c’è solo la bestia: però il rinoceronte
Partito bene, finito male. Dico, nel senso che all’inizio c’era voglia ed energia per sentire musica, spesso nuova grazie a nuovi incontri e suggerimenti, ora le cose e i fatti che cosano nella vita mi tengono fermo, anche sulla musica. Però tutto sommato cinquantasei brani per poco meno di quattro ore di ascolto ci sono comunque, il lavoro è fatto e queste sono mie piccolezze. La durata giusta per andare ventiquattro volte da Durham a Newcastle on Tyne in treno.
Trentaduesima stagione musicale archiviata, via con la prossima. Restano qui, però, notevoli scoperte legate ai viaggi all’est, Kino (Кино), Siekiera, Neumis Rock Circus, cose nuove nate da scambi, Anna von Hausswolff, Silver Jews, Band of skulls, ritorni di cui uno in particolare per un concerto bellissimo, Boomtown Rats, in quello che è stato il mio giorno perfetto dell’anno, il completo, totale, entusiasmante perfect day. E come non citare la sempre ganzissima Liz Phair che sempre starà nelle mie pleiliste del cuore? Infatti c’è.
“Vediamo che ne esce questo autunno” mi dicevo alla penultima pleilista, eccomi. Secondo me non male, come dicevo almeno i primi due terzi, c’è anche una cosa superpop, che ha funestato tutti quanti, non solo me. Quando qualcuno, però, azzecca la melodia, il tema, la metrica, il ritmo bisogna riconoscerlo e togliersi il cappello, in questo caso diventando swifties occasionali anche qui.
Cosmonauti di tutto il mondo, appassionati di Gagarin e di quel pazzo volo, uniamoci ai Public Service Broadcasting e balliamo insieme al ritmo di questo singolo irresistibile. Il singolo ‘Gagarin’ trainò il concept album del 2015, ‘The Race for Space‘, storia musicale delle missioni spaziali americane e sovietiche tra 1957 e 1972, con svariati inserti audio d’epoca. Il video stesso è uno spasso, il coreografo ha centrato il punto, movenze disarticolate e buffe ma mai grottesche:
Stasera il duo è dal vivo a Toronto, mi sa che non ce la faccio. Ma li punto eccome. Anche ‘Go!’, l’altro singolo trascinante del disco, non è da meno.
La comoda pleilista de leccanzoni del giorno esiste ancora, è a cinquantasei canzoni e adesso è su Tidal, che son passato di là per le note vicende, Trostfar ne era stato l’ispiratore oltre che autore della magnifica copertina, grazie, ora l’aggiorno e sta qui, per chi desideri.
Da dove cominciare? Bene specificare prima di iniziare che ricevere il premio Nobel per la pace, ancor più dopo la vittoria di Kissinger nel periodo d’oro, equivale sì e no a ricevere una di quelle coppette di plastica dedicate industrialmente al “papà migliore del mondo” dal proprio figlio. Affetto, molto per carità, ma valore intrinseco pochino. Tra l’altro, ricordo che il premio viene assegnato, unico tra essi, dai norvegesi.
Dunque, la piglio dalla cima. Il presidente americano Trump, non appena eletto, ha cominciato a far smettere guerre nel mondo con la sola imposizione delle mani. Russo-ucraina a parte, nonostante avesse detto che sarebbero bastate ventiquattro ore, qualcuno dice sette, qualcuno otto le guerre terminate grazie al suo intervento: i conflitti tra Israele e Iran, Repubblica Democratica del Congo e Ruanda, Cambogia e Thailandia, India e Pakistan, Serbia e Kosovo, Egitto ed Etiopia e Armenia e Azerbaigian. Ho capito, cosa vuol dire che tre giorni fa la Thailandia abbia attaccato la Cambogia e ci siano quattrocentomila persone in fuga in queste ore e che in Kashmir nulla si sia effettivamente fermato nonostante la tregua di facciata? E che il conflitto Israele-Iran sia più che altro congelato che risolto specie dopo il bombardamento americano proprio sull’Iran? Niente, cattiverie. Grazie a questa sequela di successi, una bella teoria di buontemponi ha pensato di candidare la propria figura politica di riferimento, per tornaconto o per nettaculismo spontaneo, al Nobel per la pace 2025, cercando di affastellare successi il più rapidamente possibile in vista della votazione. Non è andata bene e il premio, si sa, è stato dato a María Corina Machado, sconosciuta ai più fino a quel momento.
Spiace, diciamo. Chiusa qui? Macché. Il presidente della FIFA Infantino, legato a quadruplo filo imprenditoriale con la famiglia Trump tra i mondiali in USA della prossima estate, la recente coppa del mondo per club sempre là e così via, si è inventato un premio mai esistito prima, il Fifa Peace Award, e l’ha consegnato in corso di cerimonia in mondovisione durante i sorteggi indoviniamo a chi? Esatto, proprio a Trump. Questo dice dando il premio: «In un mondo sempre più instabile e diviso, è fondamentale riconoscere l’eccezionale contributo di coloro che lavorano duramente per porre fine ai conflitti e unire le persone in uno spirito di pace», quello ricevendolo: «È uno dei più grandi onori della mia vita. Ringrazio la mia famiglia e la mia fantastica First Lady Melania. Oggi il mondo è un posto più sicuro». E gli amici del baretto? Che, come dice Cevoli, se volevo sentire dei coglioni, sentivo i miei.
E fin qui i fatti degli ultimi tempi. Giusta indignazione per la candidatura al Nobel, la costituzione di comitati pro Trump a questo scopo, salamelecchi e fanfaronate a non finire. E il probabile stupore dei giovani, poco avvezzi, increduli davanti a cotanta spudoratezza. Ma essi non sanno e voi, invece, che qui leggete sì, lo sapete, come lo so io. È un fatto che sta dentro di voi, sta lì dal 2009, nonostante abbiate cercato di schiacciarlo come me sotto litri e litri di alcoolici e ricordi non migliori. E allora ritiriamolo fuori: nel 2009 in Italia un bel comitatone di nettaculi umani (come li chiamai sobriamente allora) sostenne con una certa vigoria la candidatura al premio Nobel per la pace, eh sì, di Silvio Berlusconi. Oh, la cosa andò avanti per mesi e non potreste credere, cari i miei virgulti, con quale veemenza essi difesero a spada tratta la propria figura politica di riferimento, per tornaconto o per nettaculismo spontaneo, sostenendo ci avesse salvati dai comunisti, tra l’altro. Non andò bene nemmeno allora, ed è strano perché i norvegesi sarebbero pure capaci di far coteste minchiate – Kissinger, ripeto, nel 1973 – senza troppi timori.
Ma i comitati furono forti e insistenti, le letterine raccomandate (letterale) verso Oslo numerose e sentite, i peones perlopiù giovanissimi esposti nell’improbabile campagna parecchi. Tra essi, ricordo la cantante Loriana Lana – legata da parentela con Giggi Zanazzo, poeta – che nel suo curriculum ricorda come fu lei a pronosticare a Bacalov la vittoria all’oscar per ‘il Postino’, puntualmente avvenuta. Lei, in collaborazione con Pino Di Pietro, scrisse un inno dedicato a Berlusconi in cui celebrava le sue gesta (di Berlusconi) in favore della pace: “La Pace Può”, poi cantata sempre da lei con Sergio Panajia. Se non conoscete nemmeno uno di questi nomi non vi preoccupate, è normale. E io che l’inno l’avevo già salvato allora, perché trivigante sa che le cose non durano e bisogna salvarsele in saccoccia, lo rimetto qua, perché come mi sono deturpato io ascoltandolo nuovamente ora vorrei lo faceste anche voi:
Il cenno all’Abruzzo è ancora da denuncia penale o da pubblico impalamento, meglio. E l’invocazione a Berlusconi con l’inversione del verbo in fondo alla tedesca da ancora scapottare.
Non ultimo, in questa vicenda miseranda, vorrei ricordare l’epico confronto tra il grande s|a, sogliadiattenzione, meraviglioso amico e blogger di quegli anni, e tal Emanuele Verghini, non solo animatore di uno dei comitati a sostegno di Berlusconi ma, anche, figura in grado di scrivere impudentemente la seguente frase: «A Silvio Berlusconi noi guardiamo come modello. A uomini come Angelino Alfano ed a Giuseppe Scopelliti noi guardiamo come sparanza per la creazione di una nuova classe dirigente» senza cagarsi addosso. Orbene, s|a scrisse un post ironico sull’insensata candidatura di Berlusconi al premio, interrogandosi sulle dinamiche decisionali interne a Forza Italia, e Verghini intervenne nei commenti, squadrnando concetti a caso, di cui ci facemmo variamente beffe. Stanno ancora lì, sotto il post. Questo per dimostrare il clima di allora, surriscaldato da questi parecchi piccoletti cani rabbiosetti che impreversavano anche in rete sostenendo il loro capo contro ogni senso e verità.
Cosa voglio dire, dunque, caro giovane che leggi queste righe? Forse che certe cose esistevano già ai nostri tempi e che noi sì che ne abbiamo viste delle belle? Giammai. Forse che certe cose non cambiano e che dovresti dunque perdere ogni residua illusione? Maffiguriamoci. Ma che ne so, giovane, di quel che voglio dire? Anzi, vattene da qui che manco sai che fosse un blog e come ci divertissimo, allora. Va’ via, va’ dove ti pare e lasciaci qui, a riascoltare “La Pace Può”, a farci venire di nuovo il nervoso e a pensare, però, com’erano in fondo gloriosi quegli anni, in cui tutti noi eroi eravamo giovani e belli. Ma nemmeno, perdio. Viva noi, ora, oggi, viva s|a e viva tutti i superstronzi che verranno candidati in futuro al premio Nobel per la pace senza però vincerlo. Che dopo Madre Teresa di Calcutta (1979, ne ho detto il peggio qui) vale comunque come un premio per la partecipazione.
Ma è possibile che nel duemilaventicinque io debba discutare con un accademico dei Lincei – mi guarda pure con sufficienza facendo battutine, ma come li pescate? Eddai – e spiegargli che la concezione che si festeggia oggi è quella di Maria e non quella, già ovvia e intrinseca, di Gesù figliodiddio? Che immacolata, ovvero senza peccato originale, è la natura della madre – avendo quindi il Signore cominciato a svolgere il piano ben prima del tempo -, nata appunto nove mesi dopo, l’otto settembre? Ma a questi accademici non gli fate qualche test di cultura generale? Un po’ di catechismo?
La riflessione sulle città fondate sui fiumi e soprattutto alle confluenze dei fiumi è una costante per me e man mano che ne scopro di nuove me le segno. Più esplorazione che riflessione, a onor del vero. Tra le nuove viste in tempi recenti, York fresca fresca, una gentile confluenza tra due placidi fiumi di campagna inglese, e ben più in là nel tempo Ratisbona che sorge nella parte centrale della Baviera alla confluenza del Danubio con il suo affluente Regen. Da cui il nome in tedesco della città, Regensburg. Entrambe le città sono notevoli, di origine romana, placide sui fiumi circondate da campagna gradevole e rilassante, quella tedesca ha un gran ponte, dato che il Danubio, per quanto nel suo alto corso, è bello largo.
La confluenza di York tra Ouse e Foss:
e quella di Ratisbona (Dieta!), la foto non è proprio precisissima ma metto solo le mie:
Aggiornamento grazie alle mie pensatone e ai contributi ricevuti:
Confluenze di tre fiumi: – Passau: Danubio, Inn e Ilz
Confluenze di due fiumi che ne generano uno nuovo: – Pittsburgh: Allegheny e Monongahela generano l’Ohio
Confluenze di due fiumi: – Belgrado: Danubio e Sava – Bressanone: Isarco e Rienza – Coblenza: Reno e Mosella – Duisburg: Reno e Ruhr – Gand: Leie e Schelda – Kaunas: Nemunas e Neris – Lione: Saona e Rodano – Magonza: Reno e Meno – Mannheim: Reno e Neckar – Montréal: San Lorenzo e Outtawa – Ratisbona (Regensburg): Danubio e Regen – Treviso: Sile e Botteniga (sub iudice, il Botteniga è lungo due chilometri) – Washington: Potomac e Anacostia – York: Ouse e Foss
Da questi ultimi aggiornamenti, ho imparato che è bello vivere in una città con un fiume, ancor più bello se i fiumi sono due e confluiscono attorno. Non l’ho imparato stavolta, è vero, ne ho però avuto conferma, ancora. York e Regensburg sono piccoline, piacevoli, ottimi posti in cui rilassarsi e andare a spasso per sentieri lungo i fiumi, farsi passare i bollori e respirare.
Questa guida sarà meno inutile di altre, e probabilmente meno allegra, perché conterrà indicazioni precise per compiere il viaggio sull’ultimo treno sovietico d’Europa, il Prietenia. Fedele alle mie funzioni di servizio, condivido: chi vorrà cogliere e andare ne avrà congrua ricompensa. Va da sé che se qualcuno usasse queste informazioni e poi facesse il viaggio senza tornare qui e raccontarlo, allora l’ingrata peste moldava lo colga nelle parti più molli.
Il passato, anche se passa, lascia tracce, magari flebili e per trovarle bisogna saper guardare ma ci sono. Spesso anche la storia lo fa e, in questo caso, anche la Storia, nessuno si senta offeso: un paese glorioso, ricco di idee e di speranze, di tensione all’uguaglianza e alla giustizia, a lungo proiettato verso un trionfo ideologico dell’avvenire e poi crollato miseramente sotto un’affannata corsa che non poteva vincere con le matite, azzoppato anche da corruzione e potere scellerato. L’URSS ha lasciato molto e molto è stato cancellato e rifiutato, per chi ne abbia voglia serve cercare, a volte un simbolo, un edificio, una via, una statua, un relitto, un luogo abbandonato. Stavolta, un treno. Ecco come fare un viaggio nel tempo e, con calma, molta calma, nello spazio. Garantisco soddisfazione per i cuori puri.
Le indicazioni utili, perché la storia del mio viaggio l’ho già raccontata. Servono tre giorni per fare bene tutta la faccenda ma anche due, per i frettolosi, possono bastare. Bisogna prima arrivare a Bucarest. Ci si può arrivare in molti modi, c’è anche un lungo treno diretto Bratislava-Brașov per gli amanti del genere, e se no non saremmo qui a scriverne, per chi preferisce il volo suggerisco di scegliere come punto di arrivo il minuscolo, antico e magnifico nonché sovietico – quindi in perfetto pendant con il resto del viaggio – aeroporto Băneasa Aurel Vlaicu, praticamente in centro a Bucarest, bello e comodo, rispetto a quello internazionale più a nord, anonimo come tutti i non-luoghi contemporanei. Wizz air tra alcune altre vola lì.
Da questo momento in poi e come impiegherete la giornata a Bucarest non è affar mio, se sarete davvero fortunati ci saranno i Ricchi e poveri in città, l’appuntamento è alla Gara de Nord verso sera, perché il treno parte puntualissimo alle 19:10. Com’è noto, serve un biglietto per salire sul treno e, soprattutto in questo caso, è scelta saggia possederlo ben prima di arrivare in stazione. Ecco dunque il modo più semplice: andare sul sito delle ferrovie rumene, quello dei collegamenti internazionali (Bilete trafic international) perché ci sono due siti, e acquistare online il biglietto da Bucuresti Nord a Chişinău. C’è solo il treno internazionale 402, il leggendario Prietenia, il treno dell’amicizia ed è proprio quello. Ciascun decida per sé, io suggerisco cuccetta – ci sono scompartimenti da uno, due e quattro – e crepi l’avarizia anche la prenotazione, che è meglio avere un posto certo. È un treno di lavoratori transfrontalieri che, a fine settimana, finiscono il lavoro in Romania, quindi in UE, dove si guadagna molto di più, quindi ci sono anche i sedili senza prenotazione.
Ma voi, come me, siete ricchi europei in vacanza alla ricerca dell’esperienza autentica e i circa centonovanta lei rumeni per cuccetta in scompartimento da quattro e prenotazione, trentasette euro e qualcosa, ve li potete permettere. E il più è fatto. Unica attenzione particolare: il biglietto, una volta acquistato, va attivato sul sito, in un tempo variabile tra i due minuti e le ventotto ore verrà generato un pdf e da quel momento il biglietto non sarà più rimborsabile. Per il viaggio basta la carta di identità di un paese UE, purché elettronica e valida per l’espatrio.
Una volta saliti, verrete dotati di un pacchetto contenente le lenzuola, sopra e sotto, una federa e un asciugamanino dal potere assorbente pari a quello di un asse. Tutto pulito, tutto bene. In caso perdeste anche solo uno di questi oggetti di proprietà delle ferrovie moldave, verrete deportati su una piattaforma petrolifera al largo del Mar Nero. Il mio amico R. non trovava più l’asciugamanino e ha visto la sua intera vita di prima scorrergli davanti agli occhi mentre io gridavo prendetelo, prendetelo. La cuccetta è dotata di materasso svolgibile, probabilmente dell’età zarista ma è comodo e fa quel che deve. Idem il cuscino. Il treno è splendidamente riscaldato a legna e carbone, ha dei bagni funzionali, è ancora lussuoso in ambito sovietico e nulla manca. C’è anche il vagone ristorante e non ho dubbi che molti viaggiatori, per intoppi di lingua, ne abbiano fatto la sola esperienza-base, ovvero birre, vodka e snacks. In rete si possono trovare numerosi viaggiatori che consigliano di portarsi del cibo a bordo, sostenendo che non ve ne sia. Fossero comunque anche solo vodka e snacks sarebbe già comunque più che soddisfacente, consiglio birre locali di qua e di là, come Timiṣoreana e Chişinău, per non fare torti a nessuno. Ma trivigante, fedele alle proprie funzioni di servizio anche stavolta, vi offre l’occasione di una cena meravigliosa: ecco la fotografia di quello che non saprete chiedere e non sarà segnato su alcun menu, che nemmeno esiste, il piatto sontuoso del Prietenia. Vi basterà mostrare la fotografia al cuoco gestore del vagone ristorante facendo uscire appena la linguetta dalla bocca o ruotando più volte il palmo della mano sullo stomaco e vualà, buona cena.
Se il cuoco gestore del vagone ristorante è una persona gentile, solida che assomiglia un po’ al Syd Barrett degli anni finali, come ha notato l’attento R., mescolato a una premurosa massaia siberiana allora è il nostro stesso, siete stati fortunati. Si può pagare con carta, quando il treno aggancia un qualche tipo di connessione.
Durante la notte verrete svegliati più volte, sia per il controllo di frontiera rumeno che per quello moldavo: un militare o simile o anche un tizio in tuta prenderà il vostro documento e sparirà nella notte per ore e ore, lasciandovi a chiedervi dove diavolo siate già prefigurandovi una lunga camminata nella notte per la pianura carpatica alla ricerca di un posto civile qualsiasi. Tornano, la maggior parte delle volte, non mi preoccuperei più del necessario. La sveglia più interessante della notte sarà invece poco dopo la frontiera moldava: con grande stupore e l’eccitazione dovuta a mille ruspe che scavano insieme, il treno verrà sollevato di circa un metro e mezzo con voi dentro, vagone per vagone, i carrelli sfilati da sotto e inseriti i nuovi carrelli con lo scartamento russo. A quel punto, il treno verrà fatto scendere e adagiato sulle nuove ruote a passo più largo. Beh, un’esperienza notevole che sarà molto difficile fare in altre occasioni. Io ancora me la sogno di notte, essere cullato dalla forza tecnologica sovietica su un treno sospeso.
Poi, dopo qualche ora di bella campagna moldava, l’arrivo a Chişinău; previsto per le nove meno un quarto, più facile sia due ore dopo, Ma cos’è il tempo a fronte dello scorrere potente delle forze della Storia? Chi siete, voi, io, per pretendere puntualità da cose molto più grandi di voi, noi? Infatti. Dalla capitale moldava, che merita comunque del tempo, sarà poi facile prendere un volo per una destinazione qualsiasi, è un aeroporto internazionale che offre molte tratte ed è facilmente raggiungibile in autobus. Soldi? Non è mai stato necessario cambiare o usare contanti, nemmeno ai tanti baracchini del caffè per strada, né in Romania né in Moldavia, quindi senza accollarsi monete da smaltire alla fine. Unico momento: sull’autobus a Chişinău, nessuna macchinetta per i biglietti, abbiamo pagato la signora controllora con degli euro, probabilmente dieci volte il costo effettivo, per avere in cambio un pezzo di rotolino di biglietto e un’espressione infastidita. Tanto ci avrebbe considerati dei ritardati in ogni caso, già si vedeva, niente di compromesso. Pernottamento? Se volete l’esperienza postsovietica completa, e noi la volevamo, essendo i leggendari alberghi Cosmos e Național chiusi definitivamente, come tutta la catena Intertourist sovietica, la soluzione perfetta è il Chișinău Hotel, splendido esempio rimasto di ospitalità sovietica. La prenotazione dal sito non funziona, probabilmente si può anche prenotare sulle piattaforme di ospitalità, io ritengo che comunicare con la reception sia il modo migliore e così abbiamo fatto: mail all’hotel in inglese (hotelchisinau@mail.ru), vi risponderanno solo ‘OK’ a ogni domanda ma gli accordi saranno presi. Cinquanta euro a camera doppia per una radiosa, spumeggiante e del tutto soddisfacente esperienza socialista. Una cosa essenziale? I tappi per le orecchie. R., non ti ringrazierò mai abbastanza. In caso un occupante (un’occupante) di una cuccetta del vostro scompartimento abbia, diciamo, qualche difficoltà di respirazione e non ve la sentiare di sopprimerlo/a. Credo sia tutto, dopo aver segnalato l’ottimo racconto dello stesso viaggio di R., per chi avesse voglia. Più di così, vengo a casa vostra e vi cucino una plăcintă. Buon divertimento.
Vicino a Ravenna c’è un paesello di duemila e rotti abitanti, San Pietro in Vincoli.
Tra la Conad verso Forlì e il campo di pomodori verso Cesena, la chiesa di San Lorenzo in Vado Rondino, più anticamente pieve di San Lorenzo in Vado Rondino, nota anche come chiesa parrocchiale di San Pietro in Vincoli, è nota poiché contiene una delle sculture più famose del mondo, il Mosè di Michelangelo:
Migliaia e migliaia sono i turisti che ogni anno si recano a San Pietro in Vincoli in provincia di Ravenna per vedere il gruppo scultoreo della tomba di papa Giulio II, che tanti tormenti diede al suo autore Michelangelo, e ammirare la nobile ieraticità del Mosè. La raccolta di fotografie su gugolmaps, caricate dai turisti entusiasti, rende bene la curiosa relazione tra un esterno da chiesa provinciale, addirittura da diocesi più che locale, in forme romaniche e l’interno sontuoso di basilica antichissima paleocristiana rivista in forma rinascimentali magnificenti, degne di una grande basilica romana. Senza dimenticare il pomodoro, tipico frutto delle campagne circostanti.
Non manca, tra le immagini, tra la BMW del Pistozzi e la vigna dei Montanari, il palazzo dei Borgia, vera gloria locale, la teca che contiene le catene – i vincula del nome, appunto – e il trattore New Holland T7200 di Tino Benazzi, noto a tutti in paese. È proprio vero che l’Italia è un museo diffuso.
facciamo 'sta cosa
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