minidiario scritto un po’ così di una breve ascensione euganea: tre, del modo di condurre la vita, bighellonare per ville e città murate, sapere quando basta

Ancora senza possibilità di tornare a casa, scendo a Este che dei Colli Euganei fu senz’altro il centro principale per lungo tempo. Estensi, appunto, Ezzelini, Scaligeri, Carraresi e Visconti e, data poi la salubrità del clima, cioè qualche decina di gradi di meno della pianura padana spinta, fu terra di residenze meravigliose, castelli e ville di piacere. Che piacerono poi a Byron, Shelley, Bembo e chiunque possa venire in mente. Tra essi, uno dei miei preferiti è senz’altro Alvise Cornaro, saggio possidente terriero con buon modo di stare al mondo, che qui si fece costruire una splendida residenza, equilibrata e di gusto come era suo solito. E qui scrisse i suoi Discorsi della vita sobria, di’ poco: «Non havendo adunque l’huomo miglior medico di se stesso né miglior medicina della vita ordinata, questa si debbe abbracciare».

Ma non si occupò solo di inviti alla moderazione nei costumi e nella crapuloneria, si occupò di idraulica, ingegneria, letteratura, agricoltura e architettura, scienza della bonifica e così via. Ma anche di arti e di vita armoniosa, grazie soprattutto alle capacità professionali di Giovanni Maria Falconetto, che lo supportò grandemente dal punto di vista tecnico nelle sue aspirazioni. A loro, tra le altre cose, si devono la Loggia e l’Odeo Cornaro a Padova, ancora oggi visibili, che diedero un luogo alla rinascita del teatro nel Cinquecento e alla nascita di Ruzante. Meriteranno discorsi più ampi.
Este, come dicevo, fu apprezzata anche da taluni chiamati Romanes, ci mancherebbe, che costruirono alcune ville in zona e ponti e strade, come loro solito, e che venetamente vengono mal conservati con una delle zone archeologiche più deprimenti mai viste. Ma lasciate la roba là sotto, perdio, che è meglio.

Con i trentasei gradi di Este, che se hai la villa misurata e la fontanella sobria va bene, ma se sei come me esule da casa, con sì e no due paia di pantaloni nel bagagliaio e uno spazzolino comprato al supermercato stamane, manco il dentifricio, un poco in più si sentono, mi inerpico un po’ a zonzo su per i colli a schivar la noia, come giustamente precettavano nel Cinquecento, fino ai Denti dea vecia e per valli e vallette di queste magnifiche colline vulcaniche.

Poi mi appropinquo verso ovest, lentamente che la mia amica T. con le chiavi arriverà a notte tarda. Ma qui attorno la pianura è punteggiata di meraviglie e non di rado vengo a vedere come sia. Due passi per la via principale di Montagnana e circumnavigazione delle mura, risalgo a Pojana maggiore, a Finale di Agugliaro, a Campiglia dei Berici, a Bagnolo vicentino a vedere ville palladiane una più bella dell’altra – il bello è che basta vederle da fuori, perlopiù – e tra esse villa Saraceno sopra tutto, la più armoniosa ed elegante e, appunto, sobria, casa mia per alcuni giorni tempo fa e ancora oggi col cuore. Ohibò, c’è gente, chi ha dormito nel mio lettino?
Il caldo è notevole e la stanca della pianura si vede, le persone stanno rintanate all’ombra, beati loro, io vado a Lonigo che ha un grande giardino a mangiare un ghiacciolo, a bere una birretta, a leggere sotto i platani nell’erba tirando sera. E mi addormo, pure, vedendo pian piano crescere la popolazione che col calar del sole si avventura fuori, forse anche col richiamo della finale degli Europei.

È ora, il sole sta mollando la presa, piglio su i miei quattro stracci – letteralmente stavolta – e vado verso casa, dove mi aspetta un giorno, domani, di copie di chiavi e sostituzioni di cilindri di porte blindate, colpa mia, che stridore con il dire di Cornaro, le barche placide al castello del Catajo, con Suzanne Vega che canta The queen and the soldier, con la cima del Venda, con la Lettera ai posteri di Petrarca – «Ho sempre avuto il massimo disprezzo per le ricchezze, non perché non mi piacessero, ma perché odiavo le fatiche e le preoccupazioni che ne derivano», quanta ragione -, con quel pane con l’olio che mi hanno dato a Teolo, con le scamozzate a Monselice. Beh, fosse così tutti i giorni forse l’apprezzerei meno, vada così. Alla prossima, me stesso del futuro.

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minidiario scritto un po’ così di una breve ascensione euganea: due, esistono scanner da diciotto euro, abbigliamento globalizzato, ah l’amore, apri e chiudi, apri e chiudi

Ridiscendo dalla mia “Ascensione al monte Venda”, sudato, sbracato, stanco ma felice e ohibò trovo l’auto aperta. Ma aperta bene, nel senso non forzata ma aperta con para-telecomando solo su un lato, che nemmeno saprei come fare. Ma dico, non ero io, perché ti sei aperta? Comunque, mi hanno portato via la borsa con tutti i vestiti, compresi alcuni freschi di lavanderia, tranne un panama di plastica che non capisco perché. Quindi sono così, maglietta e pantaloncini sudati e maleodoranti e basta. Manco le chiavi di casa che avevo, saggiamente, pensato di non portare sui sentieri ma di nascondere astutamente. Bravo, me.
Ma siccome non mi farò certo rovinare la fine settimana (femminile, femminile) da un accidente così, decido di restare in giro. Anche perché comunque non ho le chiavi di casa, quindi non saprei come entrare. Ma prima, il dovere civico: la denunzia alla pubblica autorità. Già sapendo come andrà.
E infatti: «Ma perché è venuto da noi?», cominciamo bene. Perché siete i carabinieri e la vostra stazione risultava aperta da gugol. «Eh, ma ce n’erano altre», molto bene. La giovane marescialla? appuntata? signora carabiniera? non so come chiamarla, non ha ovviamente alcuna voglia. La cosa, intendo la denunzia, diventa difficoltosa, anche cercare di farle capire che non esista un numero civico al quale fare riferimento, essendo un bosco, e che non ho idea in che comune il fatto sia avvenuto, potendo darle comunque il punto esatto e che dovrebbero saperlo loro, essendo della zona, sono cose semplici solo sulla carta. Tralascerò l’ora e quaranta per scrivere mezza pagina per condividere solo il momento in cui l’appuntato in borghese, intervenuto altrimenti sarei ancora lì, mi dice che – soggetto non definito, il classico «Loro» – non li lasciano lavorare – ribatto che il governo è totalmente con loro, ancora, quindi di chi parla? – e che, questa la cito: «Il papa e i buonisti d’Italia dicono che loro sono fascisti», e con loro stavolta intende lui-loro le forze dell’ordine. Se la polizia mena gli studenti a Pisa senza motivo, sì, son fascisti, dico. L’approccio è quello. «Un episodio», dice lui, e bon, vorrei la mia denunzia e trovare un posto per una doccia, almeno fino a poco tempo fa stavano un poco più zittini, con meno sponde.

Sono ancora in braghe di tela, letteralmente, e piuttosto impresentabile. Decido di ricostituire il mio guardaroba e con una puntata veloce a Padova, dieci chilometri ed è una delle caratteristiche dei Colli Euganei, vado da decathlon e in otto minuti e quaranta euro son vestito esattamente come prima. Pulito fuori, meno dentro.
La mia amica T., nonché vicina di casa, tornerà domani sera a casa e solo allora potrà darmi copia delle mie chiavi, molto bene, sto in giro. Visto che ne ho emulato le gesta ascensionistiche, vado a trovare il poeta, Petrarca ad Arquà Petrarca. Ormai in età avanzata, lasciati i libri alla futura biblioteca Marciana, desideroso di quiete e frescura dopo una vita di viaggi per l’Europa e incarichi remunerosi, negoziò con i da Carrara la concessione di un buen retiro sui Colli e ne ricevette la casa perfetta, non grande ma nemmeno troppo parva, ma molto apta come disse quell’altro, un giardinello, paesello incantevole, vista eccellente, tutte le stanze perfette e le scale e i balconi pure, vi trascorse gli ultimi anni con la figlia e il nipote o i nipoti. La figlia, chiamata Francesca con evidente poca fantasia, l’ho già incontrata: è curiosamente sepolta nella chiesa di San Francesco a Treviso. Non curiosamente a Treviso, curiosamente che nella stessa chiesa sia sepolto anche il figlio di Dante, Pietro. Scriveva invece il padre, nel 1371 in una Senilis, «Mi sono costruito sui colli Euganei una piccola casa, decorosa e nobile; qui conduco in pace gli ultimi anni della mia vita, ricordando e abbracciando con tenace memoria gli amici assenti o defunti». Costruito forse no, il resto tutto vero.

Mi rendo conto di quanto la mia percezione di Petrarca sia diversa da quella di molti dei visitatori della casa. Mentre ne colgo il professionismo, l’abilità politica, l’assoluta padronanza della versificazione, in realtà per buona parte è il poeta dell’amore. E i muri attorno alla casa sono ricoperti di graffiti amorosi, peraltro tutti nella stessa forma: il cuore con le iniziali, quello per intenderci da albero, con talvolta la data. E devo dire che non mi dispiace affatto, viene abolita la prima persona, solo l’iniziale, in favore dell’entità comune, la somma dentro il cuore, un buon modo.

Val la pena raccontare ancora un paio di cose su Petrarca ad Arquà. Conscio delle cose della vita, fece testamento disponendo che il suo corpo, «reso vile dalla dipartenza di quella eletta scintilla che forma la parte migliore di noi», fosse sepolto «senza alcuna pompa, ma con ogni umiltà ed abbiezione» in un’umile cappella attigua alla chiesa. La pompa ci fu eccome e la cappella pure ma per poco, poi fu eretto un bel sarcofagone in marmo rosso di Verona sulla piazza della chiesa. E fino al 1630 tutto restò tranquillo.

In quell’anno, una bella compagnia di «persone assai corte di mente», tra cui anche il frate domenicano Tommaso Martinelli da Portogruaro, addetto alla direzione spirituale della parrocchia di Arquà, decisero di dare una bella occhiata nell’urna e, spaccato il marmo, pasticciarono i resti asportando parti del braccio e della mano destra, notevoli per uno scrittore poeta. Saputo del reato, la magistratura avviò le indagini e per determinare l’entità delle asportazioni fece riaprire il sarcofago, introducendovi un ragazzino dalla piccola fessura. Il quale ovviamente fece più disastro che perizia: «Le ossa del poeta ebbero assai più a soffrire per la constatazione del furto voluta dalla legge che per il furto stesso». Martinelli, condannato, si diede alla macchia e con lui il braccio destro di Petrarca.
Nel 1843, il conte Carlo Leoni, storico ed epigrafista, finanziò il restauro del sarcofago e riaprendolo testò la tenuta del cranio che «non dava nessun indizio di sfasciamento, tanto che avendolo leg­germente percosso colla nocca del mio dito indice rispon­deva col suono della più perfetta adesione delle sue parti» e visto lo sforzo ben pensò di tenere per sé una costola e un pezzetto di tunica. Nel 1855 le autorità austriache ordinarono la restituzione di quanto prelevato e la tomba fu di nuovo aperta. Ma non basta: il 6 dicembre 1873, in occasione del quinto centenario dalla morte del poeta, il docente di anatomia comparata e fisiologia generale all’Università di Padova Giovanni Canestrini riaprì il sacello e dichiarò che il cranio di Petrarca andò in frantumi non appena toccato, tanto da non poterne trarre un calco, e che le ossa mancanti dallo scheletro erano due vertebre dorsali, il coccige, una costola, l’omero destro, l’ulna destra, 68 ossa piccole di mani e piedi. Ah, Martinelli. Nel 1943 l’intero corpo fu prelevato e spostato a Palazzo Ducale di Venezia, nascosto sotto lastre di marmo causa bombardamenti e, a guerra finita, ricollocato.
Con l’occasione del settimo centenario, il 18 novembre 2003 l’anatomo-patologo Vito Terribile Wiel Marin – un nome da film di Balasso – e la sua équipe riaprirono, ancora, la tomba ed esaminarono i cocci del cranio con il metodo del radiocarbonio. E vualà la surprais: un cranio antecedente a Petrarca di almeno un secolo se non due e, meglio ancora, un cranio di donna. Ottimo. Quindi? Quindi con grande probabilità il vile Canestrini sostituì il cranio del poeta con un altro, antico perché non voleva dare nell’occhio, rompendolo o avendolo già rotto, e portandosi via l’originale prezioso. Ne trasse il calco che fu poi ritrovato nei sotterranei dell’Università e che più o meno corrisponde alle misure dichiarate da lui stesso e grazie al quale noi oggi supponiamo di conoscere la fisionomia di Petrarca. Dove sia finito il cranio, nessuno lo sa. Nella tomba riposa, diciamo, quindi un ircocervo, una chimerica assurdità con corpo parzialmente del poeta e testa di donna, risultato della instancabile azione degli uomini vuoi per ammirazione, avidità, stupidità, scienza, lettera e testamento. Ma, come disse lui, è solo il corpo «vile», senza «la parte migliore».

Ciò che Petrarca vedeva dalla sua finestra

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minidiario scritto un po’ così di una breve ascensione euganea: uno, dati causa e pretesto e il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare

Io i pretesti son bravissimo a inventarmeli e così è anche stavolta: Suzanne Vega un anno dopo, però in un posto strepitoso, un’ex-cava sui monti Euganei, formalmente Monselice.

I monti Euganei sono una bignolata di coni vulcanici disseminati nella pianura più piatta, niente a che fare con morene o residui glaciali, qui si parla di un fondo del mare, una volta. Sono bellissimi e non lo scopro oggi io, i patrizi patavini e ancor più su veneziani lo sapevano benissimo, Petrarca pure, i vescovi di Padova altrettanto e gli uomini che scheggiavano selci da queste parti non erano da meno. Certo, è Veneto, quindi insieme zone meravigliose spesso sfruttate da sèmpi, senza criterio. Perché oltre a tutto, essendo vulcani, ci son pure le acque calde e con esse immensi albergoni abbandonati, testimoni di cure e soggiorni termali benefit della borghesia d’anzianità, col beneplacito dello stato nascente.

Galzignano, Battaglia, la leggendaria Abano, tutte terme. Venni una volta a vederla con mio padre, si prospettava un periodo di cure, scappammo a gambe levate, preferendo piuttosto soluzioni tentacolari col logorio. Ma sono i posti in sé, alcuni, non i colli, che vale la pena invece girarseli.
Il senso, poi, dei Colli aveva ancor più senso perché erano raggiungibili via acqua, il che rendeva non solo per i padovani facile la cosa ma, di conseguenza, anche per i veneziani, distanza breve anche da là. Una breve remata dei servitori ed era Catajo, Valsanzibio, Praglia, ovviamente Este, Saccolongo, la scamozzata delle sette chiese e avanti così, e Cornaro, Emo, Obizzi e facciamo notte. Oggi poi ci sono i veneti produttivi che, nonostante ci si siano provati con la pervicacia che li contraddistingue, non sono ancora riusciti a rovinare tutto e a musealizzare l’esistente con inserti di cemento armato e serramenti in alluminio pensando di essere Carlo Scarpa.

Sorpresa piacevole, la mattina dopo, incontro nella sala colazione Gerry Leonard, cortesi cenni del capo di saluto e gratitudine, per poi incrociare anche lei, Suzanne Vega, idem. Non è che abbia poi granché da dire, intendo io, se non una generica riconoscenza per una carriera prolifica fatta di canzoni che mi piacciono. Ma fa piacere il saluto vicendevole, così potrà dire agli amici di avermi incontrato.
Dando corso al mio progetto di fine settimana sui Colli Euganei, seguo l’indicazione della mia guida spirituale, del maestro, di colui che mi indica la via, che alla domanda su quale sia il suo rifugio dello spirito risponde: «Non riesco mai a trovarne in città abitate; per me qui è il Monte Venda nei Colli Euganei». E io su, dritto al Monte Venda, come il migliore dei discepoli. Una volta ho diviso un piatto di risotto agli asparagi con il mio maestro DDP ma questa sarebbe un’altra storia.
Al Monte Venda, presto. Spirito perché in cima, oltre a una base militare NATO e ai ripetitori che permettono di vedere ‘L’Eredità’ a tutto il nord Italia, si trovano i resti di un’importante abbazia olivetana del dodicesimo secolo e là vado, perché il maestro me l’ha detto.

Un po’ anche perché è la cima più alta di tutti i colli e io devo sempre andare nel posto più alto, più lontano, più difficile. Quindi, come Petrarca, di casa qui sui colli, nella sua familiaris racconta la sua ascensione a Dionigi da San Sepolcro, «Oggi spinto dal solo desiderio di vedere un luogo celebre per la sua altezza, sono salito sul più alto monte di questa regione, chiamato giustamente Ventoso», posso io oggi dichiarare alla stessa maniera, immodestamente, «Oggi spinto dal solo desiderio di vedere un luogo celebre per la sua altezza, sono salito sul più alto monte di questa regione, chiamato giustamente Venda». Buffoncello.
Poiché «l’ostinata fatica vince ogni cosa» e nonostante un caldo ribaldo e nonostante io non abbia un fratello virtuoso che salga per la via più impervia a insegnarmi le cose della vita, arrivo su anch’io, da solo solingo che anima viva non si coglie, tranne due coppie di civili che hanno vinto tutte le lotterie del mondo, gestendo per conto dell’esercito l’abbazia e che colgo intenti a pranzare sotto le piante belli ventilati. Due ore dopo, quando ridiscendo, il loro pranzo è ancora in corso. Chissà se c’è un futuro Vannacci tra loro, mentre l’altro disgraziato si balocca in queste ore a Strasburgo, che vergogna. A questo penso mentre scrivo queste righe, non solo. Mi godo parecchio il posto e la vista, altroché.

Piglio su le mie, dunque, e scendo per tornare nel mondo reale che più velocemente non potrei, anche se ancora non lo so. Ma questo, domani, che ancora son turbato.


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dove vivere: nuovi posti da prendere in considerazione

Dopo le europee, le elezioni politiche in diversi paesi europei, con la Francia domani, il panorama dei paesi meno ostili politicamente è in evoluzione. Se, appunto, Francia e Germania mostrano preoccupanti segni di orbanismo, e Ungheria, Italia, Paesi Bassi per dire tra i peggiori restano lì nelle paludi dove sono, ce ne sono altri che prendono pieghe diverse. La Polacchia, per esempio, che già da mesi ha svoltato, per loro e per fortuna nostra nell’UE, verso panorami più luminosi; la Gran Bretagna dopo quattordici anni ha liquidato i miserevoli conservatori e ha optato per una piena e chiara svolta progressista, a macerie ormai dappertutto.

Ora posso tornare con una certa convinzione e starci con soddisfazione, sperando che Starmer sappia il fatto suo come sembra.
Tra i paesi che hanno preso una piega sensata, aspettare per vedere ma comunque meglio dei maledetti reazionari oscurantisti, la sopresa Iran: dopo la fortunata morte di Raisi a maggio, il medico progressista Massoud Pezeshkian ha vinto le elezioni, sconfiggendo l’orrendo conservatore Saeed Jalili. Intendiamoci, si parla dell’Iran, non è che uno faccia quel che vuole. La Repubblica Islamica dell’Iran è un’accidenti di teocrazia in cui comanda tutto la Guida Suprema Ali Khamenei, politica, religione, molto militari e sicurezza, oltre ad avere dalla propria le Guardie Rivoluzionarie, forzona militare dell’accidenti anche loro. E per presentarsi alle elezioni bisogna comunque andare bene a questi, il Consiglio dei guardiani, composto da 12 membri, sei religiosi e sei giuristi, figuriamoci, esaminano i candidati e hanno comunque approvato Pezeshkian, eliminandone prima, attenzione!, 74. Quindi non è che uno adesso possa togliere Khomeini dalle aule di scuola, così debbotto.
Però è un approccio nuovo, non cambieranno gli obbiettivi, almeno ufficialmente, ma cambieranno i modi per evitare la tensione continua con l’Occidente e con i paesi mediorientali, si spera, soprattutto con quei rompicoglioni degli israeliani. Mostafa Khoshcheshm, professore alla Fars Media Faculty di Teheran, ha detto ad Al Jazeera: «Dal punto di vista strategico la politica estera dell’Iran rimarrà la stessa, ma dal punto di vista tattico potrebbe essere diversa. Andrà nella stessa direzione, ma con un’intensità e un ritmo che potrebbero essere diversi».

Comunque, grande vittoria: il dottor Massoud Pezeshkian ha ottenuto il 53,3 per cento, circa 16,3 milioni di voti, battendo l’ultraconservatore niente-di-niente Jalili, 13,5 milioni di voti (44 per cento circa). Il che conferma, specie dopo le proteste dei mesi scorsi e dal 2022, che il regime conserva il potere solo con una feroce repressione e che i giorni, per quanti siano, sono contati. Da qui ad andarci a vivere ne passa ma considero la cosa, e la tentazione si fa più forte per ogni sieg heil di fratelli d’italia o per ogni sparata di quell’altro, vedi l’aeroporto intitolato al babbione, per ogni voto olandese dal 1973 a oggi.

no other gods before me versione Louisiana

Jeff Landry è il governatore della Louisiana. Repubblicano anche se si sarebbe capito tra otto parole. Landry ha firmato una legge che rende obbligatoria l’esposizione nelle scuole pubbliche dei dieci comandamenti della Bibbia, con carattere «grande e facile da leggere» e specificando che i comandamenti sono stati «una parte importante dell’istruzione pubblica statunitense per almeno tre secoli».

Certo. Ma come funziona? E perché, soprattutto? Visto che nel 1980 la Corte Suprema aveva giudicato incostituzionale una legge simile e in molti altri stati leggi simili sono state ritirate? Notorietà. La Corte adesso è a maggioranza conservatrice, grazie alle nomine di Trump, e piccoli governatori come Landry non vedono l’ora di finire sui giornali per una qualche causa che arrivi fin là e, chissà, magari avere pure una qualche parte di concessione in questo senso. Per poi capitalizzare il tutto per chissà quale altro traguardo politico e non.

E comunque basta la polemica. Già il fatto che io ne stia parlando qui, a millemila miglia dalla Louisiana, è un risultato. Entrare nel merito è sacrosanto, sia chiaro, ma serve a poco, salvinianamente. Servirebbe spaccare qualche faccia o qualche pensionato in panda che faccia notturna giustizia.

chi è andato alla spa col bonus?

Non abbiamo vinto abbastanza le europee, evidentemente:

Cito da Il Post: «la Commissione Europea ha raccomandato l’apertura della procedura per deficit eccessivo per Italia, Francia, Belgio, Polonia, Slovacchia, Ungheria e Malta. Significa che questi paesi hanno superato nel 2023 la soglia consentita dalle regole europee per il disavanzo dello Stato, la differenza tra entrate e uscite che se negativa fa aumentare il debito pubblico», la soglia è il tre per cento. Alcuni paesi europei hanno sforato lo stesso limite, di poco, ma non sono stati segnalati per motivi validi: l’Estonia, al 3,4 per cento per esempio, deve sostenere consistenti spese militari non previste per quel problema che abbiamo a est.
Per capirci, ecco un comodo schema riassuntivo per capire dove ci troviamo:

Già, i peggiori, quasi all’otto per cento di deficit. E in buona compagnia. Naturalmente sarà colpa di quelli prima, come sempre, e avanti così fino a Remolo. Sarà un autunno difficile.

la musica delle stagioni, primavera 2024

Ventiseiesima stagione che si conclude, ventiseiesima compila.
Cinquantanove brani come al solito in equilibrio tra novità, scoperte, ascolti occasionali che a un primo momento sembravano dire qualcosa e poi dopo chissà. Tre ore e trentanove di musica da ascoltare per percorrere esattamente a piedi la distanza tra Lentignano e il Passo dello Scopetone facendo il moonwalking.

Mettere le cuffione come i due signori qui sopra e godersi la musica, ammesso che sia da godersi. Oppure fare qualsiasi altra cosa, che va bene lo stesso e forse anzi meglio. Se il vertice musicale della stagione dal vivo è stata quattro tizi con strumentazione metal e il cantante che ha interpretato le parti vocali strizzando un porcellino di gomma nel microfono, allora la compila sarà di conseguenza. Come è giusto che sia.

L’estate ha già un suo programma e chissà che porterà. Ma non sminuiamo, qualcosa c’è, a cominciare da Hella good a tutto volume, Big star, Wings, LUMP eccosivvia.

Le compile vere e proprie: inverno 2017 (75 brani, 5 ore) | primavera 2018 (94 brani, 6 ore) | estate 2018 (82 brani, 5 ore) | autunno 2018 (48 brani, 3 ore) | inverno 2018 (133 brani, 9 ore) | primavera 2019 (51 brani, 3 ore) | estate 2019 (107 brani, 6 ore)| autunno 2019 (86 brani, 5 ore)| inverno 2019 (127 brani, 8 ore)| primavera 2020 (102 brani, 6 ore) | estate 2020 (99 brani, 6 ore) | autunno 2020 (153 brani, 10 ore) | inverno 2020 (91 brani, 6 ore) | primavera 2021 (90 brani, 5,5 ore) | estate 2021 (54 brani, 3,25 ore) | autunno 2021 (92 brani, 5,8 ore) | inverno 2021 (64 brani, 3,5 ore) | primavera 2022 (74 brani, 4,46 ore) | estate 2022 (42 brani, 2,33 ore) | autunno 2022 (71 brani, 4,5 ore) | inverno 2022 (70 brani, 4,14 ore) | primavera 2023 (74 brani, 4,23 ore) | estate 2023 (53 brani, 3,31 ore) | autunno 2023 (92 brani, 6,9 ore) | inverno 2023 (76 brani, 4,5 ore) | primavera 2024 (59 brani, 3,4 ore) |

Dai che si lavora per l’autunno.

eliquizio d’estate

Alle 22:51 di oggi l’allineamento dei corpi celesti, secondo la processione che da lungo tempo regola la successione delle stagioni come le conosciamo, e stavolta abbiamo pure avuto una robusta mezza stagione prolungata, sempre a lamentarsi, secondo dicevo la cuspide azimutale da stasera è estate.

Finalmente si può rimbecillire più del solito, riposare la testa da chissà quale fatica intellettuale, lavorare col notebook in spiaggia, ascoltare i tormentoni, assumere più liquidi e vestirsi leggeri. Tra tutte, senz’altro la stagione meno interessante. Beh, ai tre quarti di mondo australe che non rompono i maroni, buona estate. Agli altri, un casso.

laccanzone del giorno: The Police, ‘Message in a bottle’

Strepitosa la parabola dei Police, sette anni e cinque dischi notevoli, pochi hanno fatto meglio. Beatles, Smiths, così al volo. Tra tutti i singoli, vale la pena pescare a mio parere Message in a Bottle da Reggatta de Blanc, anche se sembrerebbe uno dei più scontati.

Certo, il riff, l’arpeggio di Summers, certo, la sessantacinquesima tra le migliori canzoni con la chitarra di tutti i tempi, bastano tre secondi per riconoscerla. Ma è questo? Altro?
Non mi farei trarre in inganno dal fatto che suoni una sedia nel video, a parer mio il segreto del pezzo è la batteria di Stewart Copeland: più regolare di una macchina, non si ripete mai e procede libera inventando di volta in volta il ritmo, spaziando tra generi e suggestioni. Provare l’ascolto prestando attenzione alla batteria. Oppure, isolandola, per capire meglio:

Copeland è brillante e creativo, spezza lo schema che invece la canzone, e il riff, hanno. E che chiusa. Fenomenale, secondo me una delle migliori drumtrack di sempre e, di conseguenza, anche una delle canzoni da mettere in pleilista. Amen.

Trostfar, gentilmente, raccoglie tutte leccanzoni in una pleilista comoda comoda su spozzifai, per chi desidera. Grazie.