Già nelle prime ore di apertura dei varchi di confine migliaia di cittadini della Repubblica Federale Tedesca hanno compiuto nell’entusiasmo generale i primi passi nel nostro paese. E sono in molti a voler restare alla ricerca di un’alternativa all’insensata lotta per la sopravvivenza a cui si ispira il sistema capitalista, desiderosi di un mondo che rifiutando il carrierismo sfrenato e la schiavitù del consumismo, metta nel dovuto risalto i più autentici valori dell’umanesimo. Queste persone vogliono una vita diversa. Hanno compreso che automobili, videoregistratori e apparecchi tv non sono tutto e sono giunte qui per realizzare il sogno di una società fondata sul lavoro, sulla volontà, sulla speranza.
I tedeschi dell’ovest che scavalcavano il muro verso est alla ricerca degli autentici valori dell’umanesimo, finalmente liberi di abbandonare quel mondo pieno di prodotti e plastica, senza verità, questo fu Goodbye Lenin, il meraviglioso film di Wolfgang Becker del 2002, il suo picco artistico. Pieno di dolcezze e di umanità, di politica e di ironia («La sera del 7 ottobre 1989 svariate centinaia di persone si radunarono nel centro di Berlino per sgranchirsi un po’ le gambe. Rivendicavano il diritto di passeggiare senza muri fra i piedi»), di riferimenti cinematografici, Kubrick molto, una colonna sonora formidabile, di battute spiritose e commoventi («Ma la mamma non si svegliava. Neppure le soavi note del concerto tenutosi davanti al municipio di Berlino Ovest la svegliarono. Né si accorse della compravendita di mattoni usati più lucrosa della storia»), di Sigmund Jähn, di pisellini Globus, di marchi scambiati a due, è certamente tra i miei tre film preferiti di sempre.

Perché era così, io c’ero, me lo ricordo: «Venti di cambiamento soffiavano sulle polverose rovine della Repubblica Democratica. Venne la primavera che fece di Berlino il posto più bello dell’universo. Ci sentivamo al centro del mondo, dove tutto era sul punto di accadere e ci abbandonammo alla corrente», i nostri vent’anni, fu proprio quello il sentimento, un mondo aperto e libero, finché non ci sbattemmo la faccia, come tutti. Ma se Sigmund Jähn, il cosmonauta tassista presidente, diceva: «Questo non è certo il migliore dei paesi, ma i valori in cui crediamo continuano ad entusiasmare uomini e donne di tutto il mondo. Spesso abbiamo perso di vista i nostri reali traguardi, è vero. Ma ora ne siamo coscienti. Il socialismo non è nato per innalzare muri. Socialismo significa tendere la mano agli altri e insieme ad essi convivere pacificamente» era esattamente così, era quello. E uno stronzo dell’ovest si inventava che tutto ciò non aveva più valore.
Alex: Mocca-Fix?
Commessa: Fuori commercio.
Alex: Cracker Fillinchen?
Commessa: Non la vendiamo più quella roba.
Alex: Cetrioli Spreewald?
Commessa: Ma dove diavolo vivi, sulle nuvole? Moneta nuova, vita nuova, non mi dire che hai ancora lo stomaco di mangiare quelle porcherie!
Wolfgang Becker è deceduto a metà dicembre, accidenti di nuovo. «Mia madre sopravvisse alla Repubblica Democratica esattamente tre giorni» e «Il paese che mia madre lasciò era un paese nel quale aveva creduto e che io ero riuscito a far sopravvivere fino all’ultimo respiro. Un paese che nella realtà non era mai esistito, che per me rimarrà sempre legato alla memoria di mia madre».

Anna Schäfer [leggendo]: “Il maglione da voi contrassegnato taglia 48 ha una larghezza di una 54 e la lunghezza di una 38”.
Christiane [dettando]: “Riesce difficile capire i criteri da voi usati per misurare le taglie. A noi non risulta che a Berlino vivano esseri umani di forma rettangolare”.
Anna Schäfer [ridendo sotto i baffi]: “Questa si che è davvero buona!”
Christiane [dettando]: “Forse è proprio questa la ragione per cui sinora non siamo riusciti a portare a termine l’attuazione del piano quinquennale. Pertanto vi preghiamo di scusarci. Vorrà dire che, in futuro, cercheremo di essere rettangolari come richiesto. Saluti socialisti”.