minidiario scritto un po’ così al di là de «il discendente»: due, mettiam su il gruppo, a sud, a ovest

La prima collisione è con Mamdouh, simpatico e spiritoso autista-guida che aggancio con facilità mai vista prima. Si vede subito che i turisti si sono dissolti da un anno a questa parte, dai fatti di Israele. E me lo conferma subito, dai cinque viaggi al mese che faceva di media, adesso ne fa a malapena uno, è a mia disposizione e mi accompagnerà ovunque io voglia. Mai vista una cosa così, l’offerta è evidentemente troppa per una domanda molto scarsa, vengo addirittura disputato tra due autisti ma per fortuna la spunta Mamdouh, ex portiere professionista e padre di sei figli perché, volendo una femmina, ha avuto prima cinque maschi. Forte, già chiacchieriamo come amici grazie al suo inglese migliore del mio. La stessa R., altra collisione fin dall’aeroporto, viene accaparrata da un altro autista e per andare nello stesso posto facciamo una specie di corteo presidenziale fino al centro di Amman. Poi naturalmente si aggiunge subito il giordano che ha vissuto trent’anni a Napoli facendo il pizzaiolo e sposando una di lì con figlio annesso che ciacola con buffo accento partenopeo di come italiani e giordani una fazza una razza, mi diverto molto. E che poi scende in mezzo al niente, chissà. La guerra incombe, l’instabilità che procura danni a tutti, ci tengono tutti a dire come qui sia sicuro e a garanzia specificano convinti che se fosse pericoloso se ne sarebbero già andati, che non è un granché come motivazione. Turisti zero o quasi, gli immancabili giapponesi che non si spaventano di fronte a nulla, qualche francese, profughi molti, la stessa Giordania si fonda sui profughi palestinesi fuggiti nel 1948, e ancor più indietro al 1921, quando la Giordania è nata dalla Palestina, tutto per ora appare tranquillo. Ci sarà tempo per parlare di politica più seria.

La terza collisione è Samir, architetto al Politecnico di Milano e qui guida, che si aggiunge a me e Mamdouh per un giro di qualche giorno della Giordania. Mano alla mappa, mai stato così facile e immediato, la ragione che adducono entrambi è che “a casa si stufano”. Beh, allora andiamo. Ci muoviamo verso sud, a Madaba, città storica da sempre, nota per una clamorosa mappa a mosaico del sesto secolo che rappresenta, quel che resta, città e territori dal delta del Nilo fino alla Siria. Salendo sulle alture, dal monte Nebo son più emozionato a vedere Jericho, le sue possenti mura crollate al suono dei corni, il mar Morto e Gerusalemme al di là della valle del Giordano che per il luogo in cui morì Mosè, per carità. Vide la terra promessa di là come la vedo io ora e poi morì. Io no, credo. Un monastero francescano ricco di bei mosaici greci e di pietre miliari romane ne custodisce la memoria. Ma il discorso torna sempre sul vicino ingombrante, ritenuto a torto o a ragione l’espressione colonialista americana ed europea nella macroregione della Grande Siria, Israele ovviamente. Che ha sì un trattato di pace con la Giordania tanto solido quanto sbilanciato, per esempio sulla gestione delle acque del fiume Giordano che scorre ai piedi delle colline dove sono ora e che viene diverto in maniera ineguale per ragioni di agricoltura. In effetti le colline di qua sono desertiche con qualche rara oasi qua e là, di là sono abbastanza verdi di ulivi e coltivazioni. La strada e la cosiddetta strada del deserto, va giù dritta ad Aqaba, l’unico porto giordano, e fu costruita dall’Iraq ai tempi della guerra con l’Iran per poter usare lo stesso porto. Tre corsie per carreggiata, dritta tirata con un filo, attorno deserto deserto che se parlo con Mamdouh è meglio che magari mi resta sveglio. Per movimentare la cosa qualcuno supera a destra, qualcuno buca, la polizia ferma a caso. Samir ne ha per tutti, ha espressioni colorite per chiunque, paesi, figure politiche, governi, salta pure fuori che condusse una trasmissione sul mondo arabo su radio Popolare nei primi anni Ottanta. Io abbonato, vediamo se riusciamo a combinare un viaggio, allora.

Per quanto Samir provi a darsi un tono, dura poco: colpa di Israele, colpa degli americani, degli inglesi, a volte dei tedeschi, a volte degli europei tutti. L’ho detto degli israeliani? Poi, per carità, ci si può ragionare, più dal punto di vista storico, interreligioso, umano ed etico ma se si tocca appena uno tra i circa diciottomila argomenti sensibili, e non è che proprio su tutti abbia torto, risorse più che altro, allora riparte: israeliani, americani, inglesi e così via. Mamdouh è più serafico ma parla anche meno. Parliamo parecchio, attraversando il deserto e la Giordania verso sud, poi pranziamo con altre persone, di cui uno mi viene presentato come facciadiculo, piacere caro, poi deviamo verso ovest, attraversiamo villaggi abitati e non, qualche fabbrica di cemento e, in questa zona, di fosfati, tra i migliori mi dicono; poi salendo sulle colline pecore, pastori, resti di fortezze crociate e ben più antiche, si aprono gole e valli di roccia, mi mostrano i sistemi di raccolta e conservazione dell’acqua, perlopiù antichi perché la gente si sposta in città a fare il terziario avanzato, e poi ciao, mica è un diario vero, questo. Un ottimo formaggio molto salato e, come sempre in questo posti, pani e sfoglie strepitose.


L’indice di stavolta

uno | due | tre | quattro | cinque | sei |

minidiario scritto un po’ così al di là de «il discendente»: uno, perché e percome, avvicinamento, colpa degli aerei

Non si può dire che sia un fiume grande o, meglio, lo è per certo visto che scorre nel deserto e per ciò che costituisce per le terre che attraversa. Un tempo era però molto più grande, miliardi di metri cubi, oggi oltre il novanta per cento dell’acqua viene deviato per bagnare i campi seminati e così i suoi laghi, o mari come il chiamano qui, pian piano scompaiono. Niente di nuovo, ho visto accadere lo stesso al Nilo e all’Amu Darya, per restare ai mesi scorsi, si potrebbe estendere a tutti i corsi d’acqua della terra. Ma è la storia che fa grande questo fiume, l’Eden stava senz’altro sulle sue rive, Mosè lo attraversò per raggiungere la terra promessa, per non parlare dei battesimi di Giovanni, e per quanti millenni, fino a ora, ha fatto da confine tra le nove tribù, al di là, e le due e mezza di qua, fino a oggi, tra Siria, Israele, Giordania e Cisgiordania. È il Giordano, ovviamente, già di per sé toponimo dei paesi circostanti, che affluisce e defluisce da nord tra il mar di Galilea, il vecchio lago di Tiberiade dei pani e dei pesci, il mar Morto e il mar Rosso alla fine, a sud. Tutto attorno, terre promesse da molti dii e profeti, che Federico II stupor mundi ancora se la ride: “Allorché vide la Terra promessa che Dio tante volte aveva esaltata chiamandola la terra dove scorrono latte e miele e terra di tutte la più pregevole, Federico affermò che Dio non doveva aver visto la terra del suo regno, ossia la Calabria, la Sicilia e la Puglia, perché altrimenti non avrebbe lodato in questo modo la terra che promise e diede ai Giudei”, racconta fra’ Salimbene da Parma. E mica sbaglia, a parte il verde attorno al fiume il resto son sassi.

Perché sono qui? Perché ora? Perché voglio vedere e voglio capire, capire anche se e cosa io possa fare di utile. La Giordania è il posto sicuro più vicino al tragico carnaio che sono la striscia di Gaza, il Libano, la Cisgiordania, la Siria, l’Iran e l’Iraq da decenni, da un anno a questa parte in modo crudele, in una spirale demenziale di affronti e vendette che si perde nell’Antico Testamento. Non ho ricette per questo, non ho soluzioni, se non che butterei a mare gli uni e gli altri, senza remore. Ma questo è un minidiario non un confessionale per cui alcune cose non vanno raccontate, vanno fatte. Il resto sì, ciò che vedrò in questi pochi giorni sì, lo racconterò, perché comunque certe cose andrò a vederle, in compagnia di persone che mi spiegheranno ciò che non so e non comprendo. Ne verrà fuori un minidiario turistico? Non saprei, può darsi, serve rispetto e pudore anche nei racconti, non sono un corrispondente, ce ne sono molti e bravi. Vediamo che ne verrà, io mi atterrò al mio, qui.

Nonostante attorno ci si spari a vista, quando va bene, il fiume resta sacro, ancora oggi gli eredi della corona inglese vengono battezzati con acqua del Giordano, figurarsi. Mentre sono qui a scrivere queste righette, in attesa del pullman per Amman, ho a fianco tre agenti di Frontex, la guardia di frontiera e costiera europea, lineamenti mediorientali, inglese fluente, mangiano una specie di lasagne con calma, probabilmente devono prendere un aereo. Il che mi porta già in una delle dimensioni attuali, la gestione dell’immigrazione, qui declinata in particolare sui profughi, in fuga da Gaza, Libano e Cisgiordania in uno dei pochi posti sicuri di tutta la macroregione. Che distanza, poche ore fa facevo colazione seduto a fianco di Anna Foglietta – il colpo di culo del giorno – in un baretto del rione al sole caldo e se mi avesse detto fuggiamo a Formia ci sarei andato e, ora, il contrasto è davvero stridente, brandelli di un mondo complesso che mi passano a fianco come meteore dirette chissà dove, alla ricerca di chissà cosa. Come sono io, del resto, è una faccenda di collisioni occasionali.


L’indice di stavolta

uno | due | tre | quattro | cinque | sei |

la signora Pelicot l’ha fatto

La signora Pelicot, Gisèle Pelicot, 71 anni, è protagonista di una delle vicende più aberranti che io abbia mai sentito: con la complicità del suo ex marito Dominique Pelicot, che la narcotizzava, cinquantuno uomini l’hanno stuprata a sua insaputa nel corso di dieci anni. L’uomo, il marito perdio, le somministrava di nascosto farmaci per consentire a uomini contattati online di entrare in casa e abusare di lei mentre era in stato di incoscienza, mentre lui filmava il tutto. Fin da quando qualche settimana fa è emerso il caso non riesco a farmi una ragione di tanta crudeltà, ci penso spesso sgomento.

In questa storia che di decente non ha nulla, Gisèle Pelicot ha deciso non solo di affrontare il processo e tutti i connessi a testa alta, assistendo a tutte le testimonianze degli imputati, guardandoli in faccia – e questo sarebbe già ben più che ammirevole – ma ha deciso di fare del proprio caso un esempio, «per cambiare la società»: «Voglio che tutte le donne vittime di stupro – non solo quando sono state drogate, lo stupro esiste a tutti i livelli – dicano: la signora Pelicot l’ha fatto, possiamo farlo anche noi». Non basta: «Quando vieni stuprata provi vergogna, e non spetta a noi provare vergogna, spetta a loro».

Ecco. Si tratta di stupri, certo, sì. Ma si tratta anche di giustizia, di rispetto, di rettitudine, di morale e di etica e di coscienza. Ecco perché il «la signora Pelicot l’ha fatto, possiamo farlo anche noi» dovrebbe valere per tutte le giuste cause, lei sta affrontando l’inaffrontabile, perdio ce la posso fare anch’io nelle mie piccolezze. E tutti gli altri, se ce l’ha fatta lei. Incredibile, questa donna.

un altro film, stavolta su telepatie, barzellette, corna sparse in ogni dove e l’occhio non della madre

In un’epoca successiva ad una guerra atomica che ha annientato buona parte degli esseri umani e ha provocato la nascita di uomini e animali mutanti affetti dalle radiazioni, un gruppo di persone, tra cui un geologo, il criminale Tony e la sua fidanzata ex spogliarellista Ruby, cercano di sopravvivere tra le montagne al riparo delle stesse radiazioni in un rifugio costruito da Jim, un ex militare.
E fin qui, tutto bene: ci sono un criminale, un geologo, una spogliarellista, un militare in un rifugio antiatomico, tutti gli ingredienti sono a posto. Ma cosa potrà andare mai storto?

Ovvio. Ad un certo punto si troveranno ad affrontare un essere mostruoso che riesce ad entrare in contatto telepatico con Louise, una sopravvissuta del gruppo. Ma chi sarà? Ma chi? Forse, dico forse la spogliarellista? Ma no, che vado a pensare. Niente niente male. È “Il mostro del pianeta perduto (Day the World Ended)” del 1955 diretto da Roger Corman, grande classico. Il mostro è stato creato ed interpretato dall’esperto di effetti speciali e make-up Paul Blaisdell ed è qui che volevo arrivare, perché il mostro suscita eccome la mia meraviglia e non posso non riportarlo qui:

Naso aquilino che denota intelligenza, occhio frontale che, si sa, suggerisce saggezza e perspicacia, occhio pallato che infonde bontà, cucciolone. Si capisce che ha un cuore grande anche se fa un sacco paura. Obbiettivo pienamente raggiunto, capo.

un film d’amore, mistero, indagini e morti, no, morsi assassini

Una breve sinossi della spericolata trama: a New York City, il detective gay Luigi Mackeroni viene chiamato ad indagare su alcune strane cose accadute all’Hotel Quickie: i clienti maschi dell’hotel sono stati tutti morsicati al pene. Mentre si trova sul luogo del crimine, decide di usufruire dei servizi concessi da Bill, un bellissimo giovane gigolò.

Fin qui il mistero e la distrazione, poi che succede? Siccome fino a pochi anni fa nessuno aveva paura degli spoiler, chissà come ci è venuta poi, andiamo avanti con la clamorosa e appassionante vicenda: poco prima che i due abbiano un rapporto sessuale, vengono interrotti da un preservativo assassino che morde i testicoli di Mackeroni. Deciso a vendicarsi, il detective inizia la sua indagine intenzionato a porre fine all’invasione nella città di questi profilattici assassini.

Udo Samel è Luigi Mackeroni, il fumetto e la sceneggiatura di Killer condom, originale Kondom des Grauens, di Ralf König, ovviamente c’è dietro la Troma Entertainment, per chi desiderasse approfondire, imperdibile il saggio di Otto Sander, “When Condoms Go Bad: From Safe Sex to Five Microns to Killer Condom“.
Seratona garantita per chi si fida.

resistenza: il munuocchin’ uorldbag men contro il fassista che salta fuori all’improvviso

A Gattatico – dove se no? – il 25 aprile il m.u.m., ovvero l’uomo che tenta di fare moonwalking nel mondo sempre con la stessa borsa, l’uomo che con la danza porta la giustizia e sconfigge i malvagi, attraversa i pericolosi campi annidati di fassisti pronti a saltar fuori quando il m.u.m. meno se lo aspetta.

Ma nulla lo può fermare, nemmeno il fiero alleato Musolesi, nessuno può. E il fassismo sarà sconfitto, di nuovo. E anche se il video è di dieci anni fa il senso non cambia, e della danza e della lotta. Grazie m.u.m.


Tutti i m.u.m.

australia | autogrill | bagnacavallo | basiglio | berlino | bologna | bologna-due | bologna-tre | branzi | budapest | budrio | castenedolo | castenedolo-due | chiaravalle della colomba | gattatico | lingua | lucca | medesano | milano | mombarone | montichiari | motta baluffi | trezzo d’adda | udine | velleia | vigoleno | wiesbaden |

«se qualcuno vuole sapere quanto grande io sia e dove giaccio, superi qualcuna delle mie imprese»

Due giorni fa era il giorno, IL giorno. Quello in cui il sole entra nel tempio di Abu Simbel e illumina il volto del sovrano Ramses II e poi quello di Amon e quello di Ra. Ptah no, essendo la divinità che ha a che fare con il regno dei morti e delle tenebre, lui resta in ombra a sinistra.

Che civiltà, che tecnica, che raffinatezze. Il raggio di sole che entra nel tempio, ovvero dicendola più sofisticata l’allineamento solare, avviene due volte all’anno. Dal 1968, quando il tempio fu smontato e spostato circa 210 metri più indietro e 65 metri più in alto, per salvarlo dall’innalzarsi delle acque del lago Nasser dovuto alla costruzione della diga di Asswan, l’allineamento avviene sfasato di un giorno, avendo gli ingegneri comunque preservato l’orientamento rispetto agli astri e al sole, il 22 febbraio e il 22 ottobre.

L’Egitto, nonostante Al-Sisi, la dittatura teocratico-militare, le condizioni di povertà fuori dal bacino del fiume, tutto quel che si voglia, resta uno dei viaggi della vita, da fare una volta almeno. Lo consiglio a tutti, è rivelatore di quanto ampio sia il nostro debito nei confronti di quella civiltà evoluta – a scuola ci portano ai greci e lì ci fermiamo, colpevolmente – ed è appassionante per bellezza e complessità della cultura egizia e delle sue espressioni evolute. Magari, se possibile, il viaggio, farlo con alcuni crismi, navigando sul fiume con imbarcazione appropriata e non proprio con uno dei tanti mangifici galleggianti. Se possibile, ecco.