minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 24

Dopo il tempo dell’emergenza, le prime settimane, in cui gli unici pensieri erano rivolti a contenere l’onda d’urto, adesso cominciano a farsi largo i ragionamenti e qualche, seppur timida, conclusione sulla situazione e su come essa sia stata gestita finora. Perché i dati – e su quelli già c’è un enorme dibattito perché non si capisce come siano raccolti e non sono per nulla omogenei tra loro – sono molto differenti, per esempio tra Lombardia e Veneto, i due epicentri, le cose paiono molto diverse. E tra Lombardia e resto d’Italia, tra l’altro, in particolare con l’Emilia, zona che oltre a essere confinante è simile per tessuto produttivo e concentrazione di persone. Ora, assumendo che in Veneto non la raccontino giusta, questa è la conclusione più diffusa al momento, colpisce la diversità dei contagiati e dei morti in Lombardia rispetto a tutte le altre zone. Motivi? Qualcuno dice inquinamento, qualcuno dice perché fuori mentono, qualcuno invece parla di errori. E tra coloro c’è anche Harvard, che ha commissionato uno studio dettagliato sulla gestione lombarda della pandemia e ne ha considerato numerosi errori: l’ospedalizzazione spinta della crisi, lo scarso tracciamento, i pochi test non determinanti, l’attenzione rivolta principalmente ai pazienti sintomatici, il poco tempismo nel prendere provvedimenti e così via. La conclusione, in sostanza, è che è possibile commettere errori, specie in situazioni che non hanno riferimenti in precedenza, ma non bisognerebbe perseverare, cosa che la Lombardia avrebbe fatto, a danno di malati e morti. Difficile valutare la cosa per me, nella mia stanzetta ancora più angusta di prima, di sicuro posso aggiungere per esperienza diretta che è costume della regione e degli abitanti anteporre il fatturato alle questioni di salute e così, a parer mio, anche stavolta è successo: molte aziende riconvertono una parte della produzione per produrre materiale sanitario non perché sia nobile ma perché quell’unico codice ATECO consentito permette di tenere aperto tutto. Fino ai controlli che, comunque, non arriveranno. Qui attorno e mentre sono in giro per le spese, vedo molta gente che lavora e non dovrebbe. Non che questa sia una spiegazione sufficiente, ma va ad aggiungersi a quella che è, senza dubbio, una situazione di crisi dovuta a molti fattori concomitanti, tra i quali il virus è la causa scatenante. Per fare un esempio emerso in queste ore, la Regione Lombardia ha (aveva, a questo punto) un piano pronto per affrontare un’ipotetica pandemia e, tra le altre cose, questo prevedeva un fabbisogno di ottantamila mascherine per tutta la regione. Al mese. In questa crisi, la richiesta è di trecentomila mascherine. Al giorno. Quindi? È arrivata una pandemia cattivissima impossibile da prevedere o, forse, i conti sono stati fatti con una certa leggerezza? Forse alla prossima stretta mi faccio trovare in Trentino.
O, forse, la soluzione potrebbe essere quella del Turkmenistan (che infatti dichiara zero contagi): abolire la parola «coronavirus». A posto, fatto, bastava pensarci. La parola proibita sarà sostituita da, mmm, «bellezza». A causa della ‘bellezza’ non è possibile uscire di casa. Signora, non so come dirlo, ma lei ha preso la ‘bellezza’. Meglio? Molto.

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minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 23

Ecco, l’ora legale: è sempre stata una gioia, una festa per gli occhi, sette mesi di luce in più e fin dal giorno dopo ogni attività si è prolungata verso la sera, che so?, camminare in collina o giocare all’agricoltura o stare fuori, in generale. Ecco, ora no. Stavolta no. Succede uguale, viene buio più tardi ma il pensiero, non solo mio da quanto vedo, è stato: oh, quand’è-che-viene-buio? Perché non poterselo godere è peggio che non averlo. Come, direi, ogni cosa. Straziantella, a pensarci.

I dati sono in timida discesa e la cosa è rassicurante, sia dal punto di vista concreto – i malati – sia dal punto di vista dei reclusi, lo sforzo ha significato. Bene. Naturalmente non se ne parla di allentare le misure, mi pare giusto, ancor più visto che tra due settimane è pasqua e sarebbe un delirio di gente in giro con salame e uova a fare i contagi di pasquetta. Qualcuno ora dice fine aprile, qualcuno dice maggio, ipotesi, è troppo difficile fare previsioni su una situazione come quella attuale, per vari motivi: prima di tutto non esistono situazioni di riferimento dalle quali trarre conclusioni attendibili; in secondo luogo, la diffusione di una pandemia è dovuta all’intreccio di un numero così alto di fattori complessi da essere difficilmente dipanabile mentre accade. Cominciano però a circolare alcune indicazioni su cosa avverrà dopo e le riporto qui, quelle plausibili, per fare un confronto quando saranno accadute: si ipotizza una ripresa graduale, sia per età che per attività, il tutto punteggiato da test a tappeto e mascherina in ogni momento. Qualcuno, poi, si spinge oltre: uno scenario credibile ipotizza che a una riapertura graduale seguirà poi una ripresa delle restrizioni, magari non tutte, non appena il contagio ricomincerà a crescere (aeroporti e stazioni chiuse, parchi, cinema etc. chiusi, ristoranti e comportamenti sociali contingentati e così via). Attraverseremmo, quindi, diversi cicli di misure contenitive prima di raggiungere o la cosiddetta «immunità di gregge» attraverso i contagi graduali o attraverso la vaccinazione massiva della popolazione. In entrambi i casi, ci vuole tempo. Infatti, queste misure non possono portare a zero i contagi ma servono a proteggere i soggetti più deboli e a dare il tempo alle strutture sanitarie di curarli come si deve. La sfida, a questo punto, sarà trovare un punto di equilibrio tra questa esigenza e le esigenze lavorative ed economiche del paese, ed è per questo che già, in Italia, si fa un gran parlare di chi guiderà il paese in questa seconda fase. Danno tutti per escluso Conte, al momento, e il nome sugli scudi è quello di Draghi. Plausibile, vista l’esperienza specifica, io l’ho detto nell’autunno 2018, in tempi evidentemente insospettabili. Ci sono fattori, però, – tornando ai possibili scenari – che non conosciamo, per esempio se con il caldo il contagio possa recedere o meno, se per esempio alcune strategie come la localizzazione, i test a tappeto, il tracciamento dei contatti possano in qualche modo evitare il ritorno a forme di quarantena diffusa. Poi c’è il fattore farmacologico, ovvero che oggi non possediamo dei medicinali specifici ma qualora saltasse fuori un rimedio efficace, o una combinazione di rimedi già esistenti, allora la situazione potrebbe cambiare favorevolmente. Anche le ormai comprese modalità igieniche e di distanza sociale potrebbero aiutare a non ricadere in forme di isolamento così forti, difficile dirlo. Ma l’ipotesi di cicli di contenimento al momento pare la più probabile. La Corea del sud, memore delle esperienze di SARS e MERS, ha invece fatto scelte diverse e durevoli nel tempo, forniture costanti di dispositivi di sicurezza personale e aziendale, comportamenti diffusi, strutture sanitarie pronte all’evenienza e così via, ma è pur vero che il modello non è del tutto esportabile in Occidente, poiché in Corea il controllo statale è davvero ferreo.
Cosa ci aspetta? Vedremo. Nel frattempo, quand’è-che-viene-buio?

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minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 21

L’angolo di visuale è sempre più ridotto, senza il confronto con le altre persone: si dice di possibili tumulti, avvertono i servizi segreti non deviati, si racconta di qualche furto della spesa fuori dai supermercati, chissà se uno o decine?, di sicuro più aumentano le persone, le piccole imprese e le aziende in difficoltà – dato che le entrate sono ferme per molti, me compreso – e più c’è spazio per approfittarne per gente senza coscienza e più c’è spazio per casini, fomentati e non. E poi: newsletter false di richiesta di sostegno economico a nome delle maggiori ONG, finte lettere intestate al Viminale, appese in alcuni condomini, che invitano a lasciare il proprio appartamento, sono episodi o fenomeni più ampi? Difficilissimo dirlo stando davanti a un computer senza poter uscire, la certezza è che ci sono persone talmente miserabili d’animo che manco riesco a immaginare. Lo so, niente di nuovo ma constatarlo di persona mi colpisce e mi fa soffrire ogni volta.
Nel frattempo, nel resto del mondo il virus si sparge senza risparmio, in particolare in USA e Spagna, particolarmente impreparati. In Europa, l’Olanda prende una posizione particolarmente irritante sostenendo il ciascun per sé (è da tempo che lo vado dicendo: la loro non è libertà, le droghe leggere, la prostituzione, è completo disinteresse per gli altri) e Prodi, un ottantenne di classe infinitamente superiore alla quasi totalità dei più giovani datisi alla politica, risponde per le rime, unico o quasi. Bastano alcune timide righe sui giornali che ipotizzano una timida recessione del numero di contagiati (che vuol dire: diminuzione dell’aumento) e la lettura collettiva è ovviamente a proprio favore: «qual è la prima cosa che farai quando potrai uscire?», chiede Repubblica da ieri. Eh no, così non aiutate. I microbi della politica, Renzi, Meloni, dicono bestialità fregandosene delle conseguenze e bisognerebbe ricordarselo, poi. Salvini no, lui va dalla D’Urso e insieme recitano in televisione l’Eterno riposo, vivaddio senza più nemmeno il pudore della preghiera. Schifosi. Nel frattempo, arrivano trenta medici albanesi in aiuto e il presidente albanese Edi Rama fa un discorso encomiabile, per contenuto e modo, perché sa che casa è dappertutto. Ovviamente poi prende il plauso peloso anche di chi, qui, pensa che casa sia solo in una villetta in periferia in pianura padana e poi al bar dice castronerie sugli albanesi.
A proposito di bar: io è dal 7 marzo che non bevo un cappuccino. Più o meno come tutti, ne sono a conoscenza. Mi manca il bar, quel momento in cui tutto deve ancora iniziare e io mi concedo il bancone e, appunto, il cappuccino. È una cosa che apprezzo sinceramente quando la faccio, non ho bisogno di rendermene conto ora: ecco perché mi manca. Come i concerti, le partite di basket, le cene fuori, le zingarate e soprattutto i viaggi. Madonna, meglio che non ci pensi. Perché tra tutte le cose che ripartiranno gradualmente, quelle saranno di certo le ultime. Un treno? Un aereo? Un pullman? Ciao. Mi trovo a guardare le mappe, a segnarmi i posti da vedere, costruire itinerari immaginari: sì, Eisenach, poi Gotha, Erfurt e Jena, perché Weimar la conosco. Comunque, un giretto, impossibile saltarla. Sì, treno regionale perché sono tutte a un tiro di schioppo, diciamo un giorno per una. Beh, poi di sicuro tornare a Lipsia, a vedere la chiesa di Bach, o a Chemnitz, per salutare il testone di Marx. Aaaaargh.

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