Buoni propositi. Mi ero ripromesso stamane un solo caffè, doppio magari ma non di più. Davvero. Poi come accade spesso a vagolare in giro, ed è un po’ il senso della cosa, vedo tre persone che si infilano decise in un vicolino a sorpresa che non avevo notato e solo allora faccio caso a un cartello: Vennels café, the quirky café in Durham, ovvio che vado. Per un caffè e basta, al massimo doppio. Poi sì rivela essere davvero quirky, cioè inaspettato, particolare, nascosto, ed è un posto così:

Mi siedo e ordino il doppio caffè, per nulla rapito dall’accoglienza del posto.

Bravo, trivigante, sempre bravo. Eh ma ho camminato tanto eh ma oggi camminerò molto eh ma ieri sera ho mangiato poco eh ma domani no. Solo un caffè. È così tutte le volte. Full english, manco un funghetto di meno. Fortuna che stamattina sono uscito presto per rivedere la cattedrale e camminare un paio d’ore lungo il fiume. O erano otto minuti? Non ricordo bene.
In dieci minuti di treno sono a Newcastle, che è detta ‘upon Tyne’ proprio per il fiumone che la attraversa, anzi la separa da Gateshead, altra città dirimpettaia a pochi metri. Come Vitruvio insegnava, non costruite le città sugli estuari dei fiumi, che si insabbiano, a Pisa non ascoltano, qui invece sì e il mare è ad alcuni chilometri. Eh, certuni chiamati Romanes. Questo permise poi di sviluppare una fiorente industria navale, il contraltare e complemento a est di Liverpool, e il centro principale di estrazione e lavorazione del carbone, facendo di Newcastle uno dei centri della rivoluzione industriale. Qui dicono orgogliosi di aver inventato la lampada di Davy, la locomotiva Rocket, la lampada a incandescenza e la turbina a vapore. Robe che ti consegnavano il dominio del mondo di allora. Il ponte sul Tyne è colossale e sovrasta i palazzi, evidentemente dovevano passarci sotto navi enormi.

La stessa ferrovia è su un viadotto molto alto che taglia a metà senza grazie né prego il castello normanno, le mura e i resti del vallo di Adriano. Che si diparte da qui dal forte romano di Segedunun, oggi lo chiamano correttamente Wallsend, e taglia obliquamente tutto il paese fino all’altro mare. Dopo Liverpool, Manchester, Leeds, Sheffield, Birmingham, quest’altra parte dell’Inghilterra industriale è altrettanto interessante e il compimento di un percorso tematico: data la vicinanza al mare e la presenza di un fiume così grande, Newcastle non ebbe bisogno delle opere di canalizzazione delle città interne e conobbe grande ricchezza, come tutto il paese nella seconda metà dell’Ottocento e nella prima del Novecento. Si vede dai palazzi e dalle istituzioni commerciali come la borsa e gli exchange markets. Geordies è il soprannome dei minatori di Newcastle e per estensione ora degli abitanti della città e dei giocatori come l’indimenticato Shearer.

Come tutte le città portuali e industriali non è che vadano tanto per il sottile, cortesi ma sbrigativi, al limite del rude. Non troppe cerimonie. E a proposito di cerimonie, visito la cattedrale di Newcastle – non la parrocchietta in periferia – e noto che sta per cominciare una festicciola per raccogliere fondi per la chiesa. La festicciola è dentro la chiesa ed è propriamente questa:

Dentro. Non è dismessa, eh. Al posto dei banchi ci sono i tavoli da birreria, nelle navate i banchi dei bar e le bottiglie, fuori una coda da qua a là che promette una grande raccolta di fondi.

Evidentemente la chiesa anglicana e l’uso di superalcolici non vanno in conflitto, meglio, un moralismo di meno. L’avevo già visto a Liverpool con il ristorante nella cattedrale e a Sheffield con il bar. Poteva mica il papa concedere il divorzio a quello là? A me il binomio gin e preghiera insieme non interessa, uno o magari l’altro, per cui faccio le cose per cui sono venuto qui, devo, e poi me ne vado al mare, a Tynemouth.

Le briciole di un castello e di una chiesa sul promontorio dominano ancora l’estuario del Tyne, oggi protetto da due lunghi frangiflutti e due fari, a segno di come il mare del Nord possa essere oltremodo aggressivo. Il sole novembrino e i colori di terra e mare e cielo sono favolosi, l’aria fresca soffia dall’interno ed è una successione di piccoli momenti estatici. È già tutto saturato senza bisogno di filtri. Non sono l’unico a saperlo, per fortuna.
Eccomi sul promontorio: un castello e un’abbazia diroccate, un cimitero a picco sul mare, il mare del Nord davanti e, non bastasse, una batteria di difesa della seconda guerra mondiale con cannoni da dodici pollici. Il me di nove anni dentro di me, ed è bello vitale, non potrebbe essere più eccitato.

Tornando in città con la metro mi fermo a Segedunun, l’attuale Wallsend, lo dice il nome: la testa, o la coda, del Vallo di Adriano, ovvero un forte da cui si dipartiva la fortificazione, un edificio termale, il miglio zero. Il Vallo va inteso non come una poderosa muraglia, a volte non è molto più che un muro, quanto più una successione di forti e torri munite, a guardia del limes (che in latino è propriamente il confine fortificato, limes, limitis, diverso dal limen). Le dimensioni del forte sono ragguardevoli, la presenza delle terme indica ricchezza, tutto quanto è in condizioni che direi pietose.

Ma son portuali e industriali, gli importa poco. E oggi gli scozzesi non solo vengono giù il meno possibile ma, anche, vorrebbero starsene per conto proprio. Costruendo forse loro, adesso, una muraglia che li separi dagli inglesi e li riporti in UE.
Se devo andare in un posto, di solito mi organizzo e dò un’occhiata a quel che c’è in città. Così è stato anche stavolta, fortuna grande, Boomtown rats, non poteva andare meglio. Tra i miei otto di sempre.