il grande Bernie Sanders

È apparso a sorpresa sul palco del Coachella.

This country faces some very difficult challenges” ha detto, “and the future, what happens to America, is dependent on your generation“. Ma attenzione: “And you can turn away and ignore what goes on, but if you do that, you do that at your own peril“. Sanders ha ottantatre anni e si impegna in lotte che spetterebbero a noi, a me per primo. Quando ha citato il presidente, il pubblico è scoppiato in un enorme buuu, ha aspettato la fine e ha detto: “I agree“. Quest’uomo è un colosso in un piccolo corpo e dovremmo imparare da lui, santoddio, invece di star qui a scrivere post come sto facendo io.

com’è che da noi no? (risposta ovvia)

Negli ultimi due giorni decine, centinaia di migliaia di persone in piazza contro fascismo e razzismo. Ad Amsterdam:

A Parigi:

A Praga:

In Germania:

A Tucson con Sanders e AOC:

La domanda, quindi, è: perché da noi per portare in piazza le persone bisogna inventarsi una manifestazione – rispettabilissima, per carità – in nome dei valori europei, senza bandiere di parte, senza slogan così da non correre il rischio di offendere alcuno? Forse che fascismo e razzismo non dovrebbero essere combattuti da chiunque, destra e sinistra, perlomeno fedeli a valori costituzionali e libertari? O forse che, se si è governati da chi è complice, bisognerebbe avere più coraggio?
Il mondo, ancora una volta, è là fuori.

e avanti con l’ETA

Che no, non è l’Euskadi Ta Askatasuna, che non esiste più dal 2018, bensì l’Electronic Travel Authorisation che non è propriamente un visto ma una previa autorizzazione (elettronica) a viaggiare che, proprio, funziona quando non c’è un visto. Autorizzazione che di solito si paga. La più nota è quella americana, l’ESTA, Electronic System for Travel Authorization, ma esiste da tempo anche in Australia, Canada, Nuova Zelanda, Sri Lanka, Hong Kong e dal primo aprile anche in Gran Bretagna. Appunto. Eccola qua, la mia:

Si fa con l’app o online, vale due anni, si lega al numero di passaporto e costa dodici euri e qualcosa. Siccome a fine mese io vado, son pronto. Ogni documento in più a me spiace, di principio, qualsiasi cosa si opponga alla libera circolazione delle persone, più che delle merci, cui siamo di solito più attenti. Noto or ora che questa pratica ha un qualche legame con paesi di stampo anglosassone, coloniale o diretto, probabilmente qualcosa significa, anche se non so esattamente cosa.
E poi? E poi anche l’UE, inutile scuotiamo la testa: dall’ultimo quarto del 2026 metteremo anche noi europei un’autorizzazione per tutti i paesi cui non richiediamo un visto, la nostra sarà l’ETIAS, il Sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (European Travel Information and Authorisation System), sempre più complicato, noi. Sette euro il costo, validità tre anni, c’è già il sito. Mmm.
Potevamo essere meglio? Eh, forse sì.

un disco di policarbonato trasparente

L’otto marzo 1979 la Philips presentò ufficialmente l’optical digital audio disc, altrimenti noto come compact disc.

Leggenda voleva fosse dell’esatta dimensione di un sottobicchiere da birra olandese e che il buco fosse, alla stessa maniera, dell’esatta dimensione di una monetina da dieci centesimi di fiorino, sempre olandese vista la provenienza della Philips.
A dirla giusta, non fu merito solo della Philips, bensì andrebbe condiviso con DuPont e con Sony, che stava sviluppando un progetto autonomo. Se poi si volesse sapere quale fu il primo disco compatto stampato, di che genere musicale e come e perché e dove, allora devo rimandare a ciò che scrissi tempo fa a riguardo, «di rara bruttezza». La melodia, non necessariamente il mio.
Beh, fu un cambiamento epocale che, tra l’altro, ci costrinse a rinnovare la collezione di LP e cassette, senza sapere che vent’anni dopo avremmo dovuto rifarla tutta in digitale, per la terza volta. Il mio primo cd acquistato fu, credo, The final cut dei Pink Floyd, uscita nuova nuova, da far girare su un lettore costosissimo che, il dannato, saltava e non poco. La stabilità era ancora da venire, chi avrebbe immaginato che in breve ce li saremmo duplicati da soli a casa? Da non credersi no.

ottimo lavoro, compagno Honecker

Le elezioni di oggi in Germania sanciscono, oltre alla vittoria della CDU, l’affermazione sostanziale della destra della destra, di AfD che supera il venti per cento. Guidata peraltro da una lesbica con due figli che vive in Svizzera ma questo è un mistero che meriterà altre considerazioni. A forza di fare governi ad excludendum, e il prossimo sarà certamente così anche con i socialisti ampiamente perdenti, AfD continuerà ad aumentare il proprio gradimento, condannandoci a un ventennale antilepennismo anche al di qua del Reno.

Non è che noi si sia più bravi, perché dopo l’excludendum adesso li facciamo governare, sia chiaro.
Ora, lo so che l’hanno notato tutti e non da oggi ma la coincidenza tra il voto e la divisione tra est e ovest delle fu Germanie divise è impressionante:

Se sovrappongo è evidentissimo:

La novità di questo giro è che AfD mostra un’affermazione anche a ovest, in due collegi occidentali: Gelsenkirchen in Renania Settentrionale-Vestfalia e Kaiserslautern nella Renania-Palatinato. Non basta: in tre stati occidentali è arrivato secondo, dietro la CDU: Renania-Palatinato, Baden-Württemberg e persino in Baviera, regno del centrodestra. Il travaso è iniziato, se prima si spiegava con le distanze tra ex-DDR e RDT, vedi l’attuale differenza tra gli stipendi, adesso l’idea di destra per cui ciò che non va sia da imputare agli immigrati comincia a far presa anche di qua. E più la Germania ha difficoltà e più AfD e la destra in generale avanza, soprattutto tra le persone disoccupate e la classe lavoratrice composta da operai, manovali, braccianti, come i dati dimostrano. E vista, infine, l’affluenza notevole, non si può nemmeno affermare che sia stata la scelta di pochi, come invece in Italia. Barlumi? Pochi.