→ Un po’ di notizie alla rinfusa. Chirper è il primo social network gestito dalle AI, nel senso che a parte l’iscrizione, la creazione di un profilo, poi non è più richiesto intervento e si sta a vedere come interagiscono: «no humans allowed. Create yourself, or any character you want, and see what they do!». Un po’ alla The Sims.
↓ La legge sulla proibizione della, ehm, carne coltivata del governo Meloni suscita svariati dubbi, il governo vieta infatti qualcosa che l’Europa non ha ancora neanche autorizzato, perché nessuno oggi può produrre e vendere carne coltivata; dal punto di vista scientifico, di fatto si azzoppa la ricerca sugli alimenti da coltivazioni cellulari in Italia; infine, le norme attivano un blocco che ostacolerebbe gli scambi commerciali tra Paesi europei. I dubbi di costituzionalità e rischi di procedura d’infrazione sono molteplici, Mattarella ci ha pensato su un po’ e pareva rimandasse poi, però, ha firmato. Forse lascia la grana alle corti d’Europa.
↓ In questi giorni si stenta a decidersi sulla sede della prossima conferenza sul clima del 2024, la COP29. Già quella di quest’anno parte con un fallimento annunciato, la prossima per l’opposizione della Russia a qualsiasi paese dell’est Europa non trova nemmeno una sede. Figuriamoci le decisioni sul clima.
↓ È morto Elliott Erwitt, uno dei migliori fotografi che finora quell’arte abbia espresso. «All photographers strive for that special moment that transcends the subject and transcends the place», ne dicevo qualcosa qui.
↓ Sporcaccione. Già settimana scorsa lo scambio di incarichi tra Gasparri e Ronzulli, vicepresidente del Senato e capogruppo di Forza Italia, aveva destato sospetti, si mormorava di notizie riguardanti il primo e così è stato. Gasparri dal giugno del 2021 presiede la società Cyberealm Srl senza però averlo dichiarato al Senato come si deve. Bravo. Non contento dell’illecito, ha anche presentato due emendamenti sulla cybersicurezza, principale business dell’azienda. Le scatoline cinesi pare siano state approntate con la consulenza dello studio Tremonti, dalla visura non risulta alcun dipendente e un fatturato complessivo di ottocentomila euro, quindi pochino. L’impressione come al solito è che facciano sporcacciate per cifre davvero risibili o quasi. Senza decenza, che novità.
→ Pare che Amazon si stia riempiendo di libri scritti da intelligenze artificiali, ovviamente autopubblicati utilizzando il servizio di Direct publishing di Amazon stessa. Sono perlopiù guide di viaggio o manuali ma non detto, uno dei libri recenti che ha avuto più successo è lo sgrammaticato wait you love me di una certa Quynh Ti. Non sempre l’apporto delle AI è dichiarato e le stesse intelligenze provvedono alle recensioni positive, tra l’altro. Per restare all’italiano, la guida BUDAPEST GUIDA DI VIAGGIO 2023. La guida definitiva e i consigli su cosa fare, dove andare, cosa mangiare a Budapest e molto altro ancora di Noah Leo ne è un esempio, commento autentico: «sembra una ricerca su Budapest fatta da un bambino delle elementari». Noah Leo scrive più o meno una guida al giorno.
↓ Per i crimini di Kissinger vale ancora l’articolo di Hitchens del 2001, tradotto qui.
↑ È aperta la selezione per il posto di Direttore delle Residenze Reali Sabaude, contratto di lavoro subordinato a tempo determinato e inquadramento dirigenziale, le candidature dovranno pervenire entro il 31 gennaio 2024 (ore 12), con curriculum e progetto culturale e manageriale/organizzativo. Poi, se si passa, l’orale.
fatti
la disuguaglianza sociale vista dall’alto






Tembisa, Durban e Johannesburg in Sud Africa, Mumbai in India, Nairobi in Kenya, Città del Messico. Le fotografie sono di Johnny Miller.
e ci risiamo, maledizione

Negativo ma l’accerchiamento è evidente, positivi dappertutto. Anche in ospedale qualche giorno fa la mascherina è tornata obbligatoria. Per carità, sintomi ragionevolmente contenuti ma la contagiosità è evidente: parenti, amici, nemici, conoscenti e non, davvero parecchi. Io e la mia amica E., che non abbiamo mai preso il covid, almeno non consapevolmente, proseguiamo la gara per vedere quale uno ne resterà. Ma il cerchio si fa stretto, di questi tempi, e lei di certo prima o poi se lo beccherà.
alcune cose da intelligenza artificiale
Che vengono a cascata, di questi tempi. Ma ne raccolgo tre che per motivi diversi mi hanno colpito negli ultimi giorni. Prima la Marvel fa uscire l’ennesima serie, ‘Secret Invasion’, la cui sigla è per la prima volta interamente disegnata da un’intelligenza artificiale, per la gioia del reparto di CGI dell’azienda. La musica no, perché è la parte fondante su cui si regge la sigla che, nonostante l’origine, è più che rispettabile, perché il tratto grafico ben si sposa e con il contenuto della serie e con le capacità attuali dei softwares. Poi qualcuno pubblica il primo magazine online interamente compilato – ‘scritto’ sarebbe eccessivo per questo caso – da, appunto, un’altra intelligenza artificiale, 10 consigli, dieci consigli quotidiani raggruppati per scopi come “guidare un’auto come Dominic Toretto della serie Fast&Furious” o “costruire un impero come i romani”. Appropriati, al limite un filo noiosi, se proprio. Infine, più inquietante, il discorso di Salvini che si rivolge in francese ai conterranei di Le Pen invitandoli al raduno annuale della Lega a Pontida. Il punto è che Salvini non ha girato il video in francese, bensì in italiano, poi è stato dato in pasto a HeyGen che ne percepisce il discorso, lo traduce in un certo numero di lingue, lo interpreta e, nel frattempo, codifica la voce uguale all’originale, poi doppia a tempo il discorso e modifica il labiale di modo che sembri naturale. E il francese d’esito pare essere piuttosto buono. Tralascio gli sproloqui, innumerevoli, come quello di Casellati che ha proposto in questi giorni di far regolare da un’AI l’insieme dei codici giuridici italiani, così da fare ordine dove un milione di legislature di professoroni non sono riuscite.
Cadauno l’immagine per le slides di Powerpoint, per comodità, da mettere nella cartella con la scimmia al pc, il tizio col notebook in spiaggia eccetera.

Poiché gli innegabili vantaggi delle intelligenze artificiali ricadono su tutti, dall’imbelle politico che non conosce le lingue a chi illustratore non è e può produrre immagini a proprio piacimento a chi ha bisogno di un catalogo still life senza spendere una fortuna in fotografo a chi si fa fare il lavoro-base di compilazione di codice da una macchina, per dirne alcune banali, è evidente che non si potrà che andare avanti e i posti di lavoro persi e le professioni che diverranno obsolete avranno rilevanza solo per i casi singoli. Che, a loro volta, avranno qualche vantaggio economico-produttivo da un modesto abbonamento a un’AI. E questo per restare a utilizzi di basso livello e con intenti onesti, da qui in su serve normare tutta la faccenda e, per fortuna anche in questo, l’UE sta provvedendo. A margine, un contributo non marginale sul tema.
Ci servirebbe un altro Rodotà, questo sì, spero si stiano formando.
mille novecento ottanta quattro
L’otto giugno 1949 Secker & Warburg pubblicarono la prima edizione di 1984 di George Orwell.

Stampato in 25.575 copie, ne vennero immesse sul mercato altre cinquemila l’anno successivo. Sei giorni dopo la pubblicazione in Inghilterra, 1984 uscì negli Stati Uniti per Harcourt Brace, & Co. Lì il successo fu ancora più istantaneo, alle prime ventimila copie ne seguirono diecimila il primo luglio e altre diecimila il sette settembre. Nel 1970, ne risultavano vendute più di otto milioni di copie nei soli Stati Uniti e da allora il titolo è sempre nelle classifiche dei libri più venduti.
Questo però, purtroppo, George Orwell non lo seppe mai, poiché morì pochi mesi dopo la pubblicazione, nel gennaio 1950. La moglie Sonia Bronwell vendette per beneficenza l’unico manoscritto esistente nel 1952 per cinquanta sterline ed è, a oggi, l’unica testimonianza manoscritta del lavoro dell’autore.
La stupidaggine detta a scuola che il titolo sarebbe l’inversione dell’anno di scrittura, 1948, è, appunto, una fola e il titolo sarebbe dovuto essere The Last Man in Europe, fu poi su consiglio dell’editore Warburg che venne adottato 1984. Tra l’altro, ed è rilevante, il titolo corretto dovrebbe essere nella sua versione estesa, ovvero Millenovecentottantaquattro, Nineteen Eighty-Four, come riportato nella prima edizione. E come, scaduti i diritti nel 2019, anche molte edizioni italiane ora preferiscono titolare.
A proposito delle prime edizioni, né l’edizione inglese lasciava trasparire dalla copertina il genere del testo, né la prima edizione italiana, tradotta da Gabriele Baldini per Mondadori, adeguò in modo appropriato la lingua e il registro al contenuto, pubblicando una versione eccessivamente elegante e sostenuta.
Soltanto nel 2021 e in Italia ne ho contate tredici nuove edizioni e ristampe, spesso con nuove traduzioni: Feltrinelli, Newton Compton, BUR-Rizzoli, Bompiani, Giunti-Barbèra, Einaudi, Sellerio, Garzanti, Fanucci, Chiarelettere, My Life, Urban Apnea Edizioni, GOODmood. Per dire del successo persistente ed è un testo senza dubbio che è meglio avere in catalogo, specie se gratis.
che mangino la sovranità
I pomodori in Inghilterra in questo momento.

Perché non si trovano e quelli che ci sono vengono, eheh, da Narnia. Secondo alcuni, è solo l’inizio.
«persone grigie e timorose, caute e pronte a spendersi soprattutto per una rivalità»
Non ho votato e non voto alle primarie perché non credo sia lo strumento adatto per la scelta del segretario di un partito, credo che la decisione debba venire dall’interno. Altrimenti, la scelta verrà effettuata da cittadini più o meno consapevoli delle dinamiche interne al partito e alla politica e perlopiù sulla base di indizi, preferenze personali e caratteristiche che tendiamo tutti ad attribuire arbitrariamente ai candidati e senza tenere conto di elementi essenziali. Capisco molte delle motivazioni contrarie, condivisibili, favorevoli alle primarie, ma resto sul mio.
Bene, vince Schlein. Donna, giovane, attenta ai diritti. Questi i fatti e proprio in virtù di essi, perché è giovane e donna, elementi nuovi nel PD, le si attribuisce la carica di novità, la capacità di dare una svolta al partito e di rompere l’immobilismo che regna al suo interno da molto. Però buona parte dell’estabilishment del partito e in particolare l’area socialdemocratica e cristiano dem, i democristiani, ovvero quei capibastone delle correnti che l’elezione di Schlein si spera elimini, appoggia la nuova segretaria ed esulta per l’elezione. Bettini, Orlando, l’orrendo Franceschini che io identifico come emblema di tutti i mali, Zingaretti, Gualtieri, tutti quanti belli contenti nonostante, va detto, alcuni mesi fa la osteggiassero vivacemente. E allora?
Per lo stesso principio, ma è teoria, immagino che le votazioni degli iscritti al partito, che hanno preceduto le primarie, siano avvenute sulla base di una maggiore consapevolezza della natura dei candidati, delle reciproche posizioni nel partito, delle opportunità future, rispetto alle primarie cui poteva partecipare qualsiasi cittadino consapevole e non. E loro hanno scelto Bonaccini, nonostante non appartenga ad alcuna corrente. Che per carità, la sua sbandata renziana l’ha avuta e non è esente da critiche, però il fatto resta.
Ha vinto Schlein, viva Schlein quindi. Incarna il nuovo e la svolta, i prossimi tempi diranno se si tratta di realtà o di proiezione delle aspettative degli elettori, di sicuro però con questa elezione non cambia molto all’interno del partito, anzi alcune aree ne escono enormemente rafforzate. Che è un po’ il problema. Fin da settembre si diceva, l’ho detto anch’io, che si sarebbe dovuti partire dalle tesi per arrivare al congresso e non dalle persone e così, ancora una volta, non è stato. Vediamo, al momento viva Schlein, speriamo non sia la solita delusione PD.
spiace, non lo posso credere

Che errate convizioni si hanno, nella vita.
(Più una di Helen Seinfeld, però, davvero magnifica).
UE: i blu e i rossi

La cosa interessante, tra l’altro, è che tra i più ostinati oppositori all’Europa unita ci sono le nazioni che ricevono più soldi, ovvero hanno il saldo più favorevole tra quanto dato e quanto ricevuto. L’Irlanda, voglio dire. Le ragioni sono molteplici e parecchie di abbastanza facile comprensione ma ciò nulla toglierebbe al piacere di prendere un po’ a calci nel culo gli euroscettici polacchi e ungheresi. E anche i belgi, ma quella è una cosa mia.
l’invasione, giorno sedici: quanto dura la mia compassione?
Facile dire facciamo fuori Putin. E poi? Perché gli errori madornali sono già stati fatti, per restare in tempi recenti, con Saddam e Gheddafi, appuntarsi la medaglietta di liberatori per poi consegnare i rispettivi paesi al caos, generare l’ISIS, le guerre tra bande, lo sfruttamento dell’immigrazione e la detenzione illegale e tutto ciò che ne consegue. Bisogna sapere con precisione da che padella ma soprattutto in che brace si vuole cadere. E questo vale anche per questa invasione, nel senso che la frattura all’interno del popolo ucraino – qualche iddio pietoso mi perdoni per le generalizzazioni – è ormai del tutto consumata da decenni di dipendenza prima e di guerra dal 2014 ora, e sarà difficile ricomporre la distanza tra filorussi e filoucraini senza che sfoci essa stessa in una guerra civile. Come mi faceva notare un amico, con il quale peraltro concordavamo sul fatto che si dice NATO ma si intende UE, se non politicamente almeno per tipologia di vita e sviluppo, lo spostamento a occidente dell’Ucraina – libertà economiche e civili, politiche, di dissenso, tenore di vita e così via – mette in crisi l’esistenza stessa della Russia, ne mina alle fondamenta la natura stessa. Almeno della Russia putiniana, se questa non è una lettura che risente di schemi di analisi vetusti.
Comincio a temere che sarà lunga.

Alcuni giorni fa, questa cosa non voglio lasciarla cadere, il Corriere è uscito in edicola allegando una bandiera ucraina al giornale, riutilizzando lo slogan usato ai tempi per Charlie Hebdo: «Siamo tutti ucraini». Per carità, ben intenzionati e sinceri democratici tutti, ma no, perdio no: non ero Hebdo allora e non sono ucraino ora. Non è nemmeno la terza via di Montanari di qualche giorno fa, è proprio il rifiuto di un modo vigliacchetto di sintetizzare la disapprovazione per un sopruso, se fossimo davvero ucraini – almeno non filorussi – allora saremmo intervenuti militarmente, altroché. E invece no, non lo siamo affatto, basta per favore con queste semplificazioni idiote. Almeno il primo quotidiano del paese, eddai.
Devo ritrattare una cosa detta ieri, errata: la pronuncia Ucràina – lo dice la Crusca, quindi mi allineo senza dubbio – non è russa, bensì semplicemente più arcaica di Ucraìna. Non c’è, quindi, prevaricazione culturale. L’invito, dunque, è a utilizzare ciò che si preferisce, senza sfumature di qualità. E allora io torno al mio più confortevole Ucràina, che si confà anche meglio al mio arcaismo di facciata.
Queste considerazioni mi fanno comprendere che sto lentamente tornando alla vita normale, nel senso che l’angoscia e la preoccupazione restano, l’impegno per essere utile per gli ucraini pure, ma dopo due settimane cominciano a riaffacciarsi le abitudini e le attività consuete, che si inframezzano alle notizie di guerra. È un processo normale, lo so, lo facciamo tutti per una semplice questione di sopravvivenza al di fuori – fossimo parte coinvolta sarebbe tutt’altro, è ovvio – e lo spavento e l’ansia dei primi giorni pian piano si attenuano. È del tutto vero che ci abituiamo a tutto, serve solo il tempo giusto. È anche una strategia, perché qui le cose hanno tutta l’aria di proseguire a lungo, lo sospettavamo fin dall’inizio. È successo anche con la pandemia. Non avevo più ascoltato musica, non avevo più letto i miei libri, non ero più andato a camminare in montagna, non ero più uscito a cena. Ora pian piano mi accorgo che sto ricominciando. Non mi pare di correre il rischio di dimenticare, è sempre la parte centrale della mia giornata, ne parlo comunque con amici e conoscenti, la tensione non diminuisce oltre un certo livello, però le cose effettivamente cambiano. Si fanno anche più sfumate, nel senso che l’appoggio incondizionato che provavo due settimane fa ora è più circoscritto, è rivolto alle vittime, non a tutti gli ucraini indistintamente. Forse è un errore, forse è sbagliato, lo è di certo nei confronti di chi invece questa situazione la subisce da settimane con intensità crescente, è vero. Inutile però far finta che la distanza non conti, perché conta, eccome. E il trasporto, la compassione, la simpatia – tutti in senso etimologico – tanto sono intensi al momento quanto poi tendono a scemare nel tempo, perché semplicemente i battiti cardiaci non si normalizzerebbero, la vita sarebbe stravolta. Dico questo, lo ripeto, perché ne siamo al di fuori. O, meglio, ne siamo dentro ma in maniera diversa. Come è emerso da alcune conversazioni in questi giorni, siamo in guerra anche noi, inutile far finta che non sia così. Ma in una guerra diversa, sanzioniamo creando danni e ne subiamo di conseguenza, per ora costi energetici, forse la pasta, non tanto ma è così. Non ci bombardano, grazie a dio, ma siamo comunque in conflitto, in quello che molti analisti chiamano da parecchio tempo «la guerra contemporanea». E riconoscerlo è già un passo avanti, secondo me.