«I still don’t give a shit if I get judged»

All’improvviso, la notizia della scomparsa di Steve Albini, produttore, musicista, critico, ingegnere del suono, soprattutto direi conoscitore della musica e persona intelligente. I commenti sono stati numerosi, spesso competenti, la sua famosa lettera di produzione dei Nirvana è stata citata in ogni dove: «I think the very best thing you could do at this point is exactly what you are talking about doing: bang a record out in a couple of days, with high quality but minimal “production” and no interference from the front office bulletheads», etc. Il fatto che in primis lui fosse un musicista e del periodo più florido del suono di Seattle e filiazioni varie ha influenzato positivamente tutto il suo lavoro.
Oltre ai dischi suonati, Shellac sopra tutto e ci dev’essere un’uscita a breve, quelli prodotti sono innumerevoli, di cui direi ne conosco il tre per cento. Gli elenchi dei migliori album da lui prodotti si sprecano, quasi tutti riportano In Utero dei Nirvana per primo, poi Surfer Rosa dei Pixies, Rid of Me di PJ Harvey, Walking Into Clarksdale di Page and Plant e Ys. di Joanna Newsom. Che comunque si dovrebbero conoscere.

Per quanto mi riguarda, se Walking Into Clarksdale lo metterei solo per la felicitazione della reunion, confermerei PJ Harvey, i Pixies, anche Death to the Pixies pur essendo una raccolta, poi ci metterei dritto dritto Razorblade Suitcase dei Bush, scherziamo?, poi Pod dei Breeders che, alla fine, sono la costola significativa dei Pixies, aggiungerei Blow It Out Your Ass It’s Veruca Salt delle Veruca Salt, pur essendo un EP, infine Urge Overkill, direi The Supersonic Storybook e Jesus Urge Superstar. L’impronta di Albini nella musica della seconda metà dei Novanta è stata poderosa, quel suono inconfondibile delle chitarre e delle batterie è per buona parte suo, gli va dato merito.

eh, nothing nothing

Brucia la Børsen di Copenhagen e la memoria corre ovviamente a Notre Dame.

Sia per l’incendio sia, chiaro, per la guglia, il richiamo è forte. Tra l’altro, la guglia danese, del Seicento, era decorata dalle code intrecciate di quattro dragoni appollaiati sul tetto, estrosa mica poco. Colpisce anche nella similitudine il fatto che fosse in ristrutturazione e la cosa, impalcature e impianti volanti, non è certo casuale, dalla Fenice in qua, anche in assenza di dolo.
Visivamente, insieme al rogo, attira la mia attenzione la pubblicità sulle impalcature che invita a non avere paura di nulla, quel fear nothing che con le fiamme dietro pare un’invocazione quanto meno fuori luogo.

Fear un sacco, altro che nothing.

«non scherziamo. Dovevamo votare su un tema etico, non politico»

E poi arriva quel giorno, per me oggi, in cui uno si trova d’accordo con Luca Zaia.

Lo so, sono sconcertato anch’io. Oggi il consiglio della Regione Veneto ha votato – male – sulla legge di iniziativa popolare sul suicidio medicalmente assistito, ovvero per stabilizzare e delineare i contenuti della sentenza nata dal caso dj Fabo. È stato un pareggio, e qui la colpa non è solo della destra integralista ma è distribuita con quei fardelli dei cattolici dell’accidenti che ci portiamo dietro anche a sinistra, il che porta la cosa su un binario morto. Il progetto di legge torna in commissione Sanità e lì pare destinato a finire in un cassetto. Vorrei ricordare esplicitamente il voto contrario della consigliera del Pd Anna Maria Bigon, determinante.
Zaia ha spinto molto per l’approvazione, mesi in cui le minacce dei comitati pro vita sono state davvero pesanti e vergognose, e in un momento non facile per la sua posizione personale, in fine mandato, sostenendo una parte progressista della Lega che si occupa anche di diritti in ottica di etica e non di politica, minoranza purtroppo rispetto ai degenerati salviniani. Gliene va dato atto e io lo faccio oggi, stavolta sono d’accordo con Luca Zaia: «Io sono per il rispetto della scelta individuale. Rispetto tutti ma vorrei essere libero di scegliere se dovesse capitare a me di trovarmi in una certa situazione». Già. E: «Sì, perché al di là di tanti bei discorsi di principio, c’è la vita che bussa alla nostra porta. Noi amministratori siamo chiamati a dare risposte ai cittadini, anche o soprattutto di fronte a situazioni così delicate».

oh no, Hutch

Hutch, David Soul, ha pigliato su la chitarra, la pistola e l’auto scassata ed è andato.

Un dispiacere, ricordo alcune mattine di luglio in cui studiavo per l’orale della maturità guardandoli. Qualche anno fa era circolata una foto di Soul in carrozzina, non esattamente il ritratto della salute, spinto premurosamente da Glaser, sarebbe Starsky. Beh, troviamoci gli amici così perché se no non ha senso.

la vida es eterna en cinco minutos

Arrestato l’ex ufficiale cileno Pedro Barrientos, accusato dell’omicidio di Victor Jara. Barrientos si era trasferito negli Stati Uniti nel 1990, era accusato da tempo di aver torturato e ucciso Jara e altri dissidenti nei giorni tremendi dello Stadio Nazionale di Santiago ed era già stato condannato per questo. Altri otto ufficiali militari in pensione erano già stati condannati per la morte del cantautore.
Un’occasione, un’altra, per rimettere su Te recuerdo Amanda, piangere la perdita e auspicare che perdano la chiave della cella di Barrientos.

Sarà più grave uccidere un cantante e un poeta? Come disse Moravia, ne nascono rari, quindi sì.

un altro pezzo che se ne va

Pessime notizie per bandcamp, la piattaforma musicale più sensibile ai ricavi degli artisti. Prima è stata venduta a Epic Games, colosso dei videogiochi, dalla serie Unreal al Fortnite di oggi. Già non è che si capisca e si poteva sospettare la perdita di indipendenza con questa acquisizione, nonostante magari il miglioramento con i servizi di backend. Ma è durata diciotto mesi, Epic ha licenziato 830 dipendenti e ha venduto bandcamp la settimana scorsa a Songtradr che, quantomeno, ne condivide l’ambito, sebbene sia del tutto orientata sulle licenze e la monetizzazione della musica. Difficile non ne vengano influenzate le politiche di bandcamp, a domanda specifica gli acquisitori hanno svicolato. Il che non è bene su tutta la linea.

Inoltre, scrive «Pitchfork», Songtradr non ha ancora riconosciuto l’associazione dei lavoratori e non ha ancora offerto a tutti i dipendenti una posizione all’interno della «nuova» bandcamp, soprattutto. Il sindacato interno, bandcamp united, è in agitazione e ha pubblicato un comunicato piuttosto preoccupato.
Non bene no. Aspetto che qualcuno a un certo punto mi dica che la mia bella collezione me la posso infilare in saccoccia e andare a quel paese, di solito, purtroppo, funziona così.