lo smartphone che stavi cercando

Arriva una mail promozionale con quell’oggetto, “Lo smartphone che stavi cercando”, e io come tutti penso echecazzo. Che manco io so che smartphone stia cercando, non so nemmeno se ne stia cercando uno. Aprendo la mail, ovvio, sorrido per questi simpatici ruffiani:

Ahah, no, non sto cercando un iphone15. Allora meritano un po’ di pubblicità, anche perché con loro mi sono trovato bene un paio di volte: Back market. Non ‘black’, è un sito credo estone che raccorda chi si occupa di devices ricondizionati, con prezzi ovviamente più interessanti e politiche di trasparenza e reso molto apprezzabili. Ecco, il mio l’ho fatto, loro pure.

il tempo esige infine il suo tributo (la canzone più antica del mondo)

«Finché vivi, mostrati al mondo, / non affliggerti per niente: / la vita è breve. / Il tempo esige infine il suo tributo».

Questo è il testo della canzone più antica del mondo. Ed è un testo saggio, «non affliggerti per niente», come dicono quelli che hanno capito il senso. Perché poi, comunque, il rendiconto arriva, afflizione o meno.
Il testo è inciso su una stele, il cosiddetto ‘Epitaffio di Sicilo’, databile tra il secondo prima e secondo secolo dopo cristo, non c’è concordanza. La cosa interessante è che il testo, distinguibile in epigramma, epitaffio e dedica, riporta sopra la notazione musicale frigia, fatta di punti, parentesi orizzontali, trattini orizzontali e verticali, così:

Il che, translato da chi lo sappia fare, diventa nella notazione moderna:

che ci porta al poter suonare la canzone più antica del mondo. Completa, bisognerebbe dire, perché esistono frammenti anche più antichi. Eccola, poterla ascoltare è a dir poco emozionante, per chi si emoziona:

Oddio, completa: a voler essere pignoli ne manca una riga, perché il disgraziato scopritore, un tal Edward Purser proprietario di una ditta edile che scavava a scopo ferrovia nel 1883 ad Aydın, in Anatolia, pensò bene di portarsela a casa come portafiori e siccome non stava bene in piedi ne taglio un pezzo alla base. Bravo. Poi l’archeologo William M. Ramsay, meritorio, con un paio di passaggi rintracciò la stele e se la portò via al museo, dove è ancora visibile, a Copenaghen.

Il testo completo: l’epigramma «Un’immagine, la pietra, / [io] sono; mi pone / qui Sicilo, / di un ricordo immortale / segno durevole», cui segue l’epitaffio di stampo oraziano, «Finché vivi, mostrati al mondo, / non affliggerti per niente: / la vita è breve. / Il tempo esige infine il suo tributo» e, infine, la dedica «Sicilo [, figlio] di Euterpe», se si accetta l’interpretazione della musa. Detta così sembra una delle mie traduzioni al liceo, gli achei, i tronchi posarono la spiaggia, ecco la sera. Certo. Prenderei l’epitaffio e lo terrei per buono, questa musica che proviene dalla notte dei nostri tempi e da un noi lontanissimo qualcosa ci dice, ci suggerisce un atteggiamento, un approccio che vale la pena fare proprio, perché è un po’ l’unico ad avere senso.

this government was brought to you by Tesla (fotostoriella)

Trump trasforma la Casa Bianca in una concessionaria Tesla.

Qualcuno riesce a ingrandire i fogli che tiene in mano ed è un prezziario scritto a mano dei principali modelli Tesla che citerà nella conferenza stampa. Ed è un’immagine tristemente vera.

Il tutto mentre dichiara, tragicamente perché ufficialmente, che qualsiasi danneggiamento a una Tesla o a un concessionario, fatto piuttosto frequente di questi tempi, verrà considerato terrorismo nazionale (domestic) e trattato come tale.

Terrorismo, alla pari di uno che entra in una scuola armato e apre il fuoco. Chiaro, l’azienda protegge sé stessa e lo fa a partire dal presidente fino a scendere alla forza pubblica, che non si capisce in nome di che debba utilizzare risorse per difendere i beni di un’azienda privata.

Chicago. Ma tant’è. Tutto ciò non migliorerà le cose, per nulla. Come dimostra il fatto che un paio di notti fa qualcuno, scocciato giustamente dalle parole e dalle azioni del governo americano, ha pensato di farlo sapere nel Trump International Golf Links ad Aberdeen, in Scozia:

Sotto la scritta ‘Trump is a…’ c’è scritto ‘cunt‘, per chi se lo chiedesse. E poi il campo è diventato a trecentosei buche, per il piacere dei giocatori:

Azioni e reazioni, fai pressione, riceverai risposte. Dispiaciuto, io? Mmm. Anzi, un soldino al signore qui sotto che necessita finanziamenti per viaggiare nel tempo e, nel più classico dell’intervento a posteriori, impedire la nascita di Trump lo darei eccome:

Perché ci tocchi tutto questo è la vera domanda da farsi.

e avanti con l’ETA

Che no, non è l’Euskadi Ta Askatasuna, che non esiste più dal 2018, bensì l’Electronic Travel Authorisation che non è propriamente un visto ma una previa autorizzazione (elettronica) a viaggiare che, proprio, funziona quando non c’è un visto. Autorizzazione che di solito si paga. La più nota è quella americana, l’ESTA, Electronic System for Travel Authorization, ma esiste da tempo anche in Australia, Canada, Nuova Zelanda, Sri Lanka, Hong Kong e dal primo aprile anche in Gran Bretagna. Appunto. Eccola qua, la mia:

Si fa con l’app o online, vale due anni, si lega al numero di passaporto e costa dodici euri e qualcosa. Siccome a fine mese io vado, son pronto. Ogni documento in più a me spiace, di principio, qualsiasi cosa si opponga alla libera circolazione delle persone, più che delle merci, cui siamo di solito più attenti. Noto or ora che questa pratica ha un qualche legame con paesi di stampo anglosassone, coloniale o diretto, probabilmente qualcosa significa, anche se non so esattamente cosa.
E poi? E poi anche l’UE, inutile scuotiamo la testa: dall’ultimo quarto del 2026 metteremo anche noi europei un’autorizzazione per tutti i paesi cui non richiediamo un visto, la nostra sarà l’ETIAS, il Sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (European Travel Information and Authorisation System), sempre più complicato, noi. Sette euro il costo, validità tre anni, c’è già il sito. Mmm.
Potevamo essere meglio? Eh, forse sì.

a Londra Musk non piace (un bar che ammette i nazisti è un nazibar, stacce)

La prima avvisaglia è stato un manifesto alle fermate degli autobus:

Non male. Ovviamente dopo il saluto che l’incauto ha fatto pubblicamente, nonostante le spiegazioni bislacche di autismo o meno. A Tesla è seguito X, ovvio, altro prodotto connotato pesantemente con l’uomo più ricco del mondo. Tra l’altro.

Sempre alle fermate, operazione non male. Poi è stata la volta dell’interno dei vagoni della metro, con un profumo, il Muschio di Elon, profumo di 1939, anche qui, per segaioli (wankers), per precisione.

Sempre nella metro, poi, è seguito un manifesto finanziario sulla perdita di valore delle azioni Tesla, perché l’odio non vende. Chiedete a Tesla, invita.

E poi l’ultimo o, almeno, l’ultimo che ho visto io, molto elegante di nuovo alla fermata dell’autobus. Elegante ma meno fine, dritto dritto (il bellend è la testa di cazzo, firmato UK).

Ora: chi si prende la briga di stampare manifesti, inserirli e sostituirli alle fermate e nella parte alta dei vagoni ha la mia ammirazione e apprezzamento. Ne vedremo altri, sono certo, nel frattempo li raccolgo qui per memoria di questo periodo stracciato, di cui io e molti altri avremmo volentieri fatto a meno. E che non finirà tanto a breve, argh.

Aggiornamento dell’oggi: nuova versione, là dove il rot è il marciume, anche non danese.

un disco di policarbonato trasparente

L’otto marzo 1979 la Philips presentò ufficialmente l’optical digital audio disc, altrimenti noto come compact disc.

Leggenda voleva fosse dell’esatta dimensione di un sottobicchiere da birra olandese e che il buco fosse, alla stessa maniera, dell’esatta dimensione di una monetina da dieci centesimi di fiorino, sempre olandese vista la provenienza della Philips.
A dirla giusta, non fu merito solo della Philips, bensì andrebbe condiviso con DuPont e con Sony, che stava sviluppando un progetto autonomo. Se poi si volesse sapere quale fu il primo disco compatto stampato, di che genere musicale e come e perché e dove, allora devo rimandare a ciò che scrissi tempo fa a riguardo, «di rara bruttezza». La melodia, non necessariamente il mio.
Beh, fu un cambiamento epocale che, tra l’altro, ci costrinse a rinnovare la collezione di LP e cassette, senza sapere che vent’anni dopo avremmo dovuto rifarla tutta in digitale, per la terza volta. Il mio primo cd acquistato fu, credo, The final cut dei Pink Floyd, uscita nuova nuova, da far girare su un lettore costosissimo che, il dannato, saltava e non poco. La stabilità era ancora da venire, chi avrebbe immaginato che in breve ce li saremmo duplicati da soli a casa? Da non credersi no.