
Eccitante, azzardo.

Eccitante, azzardo.

Eh, che fare? Niente, abbassare le mani dal capino, tenere lo sguardo dritto e fare quel che si deve.

Ma è possibile che nel duemilaventicinque io debba discutare con un accademico dei Lincei – mi guarda pure con sufficienza facendo battutine, ma come li pescate? Eddai – e spiegargli che la concezione che si festeggia oggi è quella di Maria e non quella, già ovvia e intrinseca, di Gesù figliodiddio? Che immacolata, ovvero senza peccato originale, è la natura della madre – avendo quindi il Signore cominciato a svolgere il piano ben prima del tempo -, nata appunto nove mesi dopo, l’otto settembre? Ma a questi accademici non gli fate qualche test di cultura generale? Un po’ di catechismo?
Prosegue l’epopea dei ladri del Louvre o, per la serie, meglio stupidi che colpevoli: viene preso un altro, Niakate Abdoulaye, che sostiene di non sapere nemmeno che quello fosse il Louvre.

Già il «Cross Bitume» non è male (e io ho il sospetto sia Mitume nel resto del mondo, ma non trovo adeguata verifica), «la leggenda del motocross» ancor meglio, mi fa molto ridere la più totale distanza tra i curricula ladrorum dei pesci pigliati e la sveltezza e audacità del colpo. O sono davvero soliti ignoti che hanno pescato sette carte vincenti una via l’altra e non il solito minestrone alla fine, e viene da alzare il sopracciglio, oppure stanno arrestando gente a caso, tipo il povero Bitume e la sua moto, tanto per dimostrare che la polizia si incazza e non dorme.
Potrà anche non essere stato il più grande per tecnica, innovazione, estetica ma per me lo è stato di sicuro per intuizione, umanità, sguardo sorprendente:

È mancato ieri Martin Parr, il fotografo che avrei voluto essere. Ne avevo già detto, qui e qui e qui, occhio e velocità d’esecuzione formidabili. Le sue foto alla torre di Pisa, al Partenone, sulle spiagge inglesi, ai buffet, nelle mense, nei luoghi turistici e di villeggiatura, delle persone in generale nel proprio tempo libero o sul lavoro resteranno. Ha raccontato il nostro tempo attraverso le persone e lo ha fatto, questo è il punto, facendo parte dell’umanità che rappresentava, senza mai sentirsi in qualche maniera estraneo o di maggior valore. Altrimenti non si sarebbe mai fatto degli autoritratti così:


Come non amarlo, dico io?
Dopo il provvedimentone di blocco delle telefonate moleste da numeri mobili, due settimane fa, direi che non solo non siano diminuite ma siano, anzi, aumentate. Almeno per me. Come per tutti, adesso arrivano da Belgio, +32, Francia, +33, Spagna, +34, vari tra cui Lussemburgo +351 eccetera. Ovvero tutti quei prefissi che fanno sembrare il numero chiamante quello di un cellulare italiano.
Non c’è che dire, sono avversari di valore. Rompimaroni ma di una certa innegabile abilità.

Mi è capitato ieri sotto mano un mio vecchio post in cui mi felicitavo per essermi appena iscritto al neoistituito Registro delle Opposizioni, che ingenuità, che fiducia nel futuro, che speranza nell’avvenire. Avevo io e avevamo tutti, speranzosi di vivere in un mondo telefonico migliore. So com’è andata e lo sappiamo, è pure peggio perché almeno allora qualcuno lavorava, pagato da fame ma lavorava e se andava bene recitava in un film di Virzì, oggi chiama direttamente Skynet. Quel che mi colpisce è la data della mia iscrizione: 22 febbraio 2012. Quasi quattordici anni fa. Quattordici. QUATTORDICI. E non ero stato nemmeno tra i primi, l’avevo scoperto dopo qualche mese. Quattordici anni che abbiamo a che fare con questa iattura. E non basterebbe nemmeno proibire i contratti al telefono, che comunque…, perché l’ultima mi ha proposto un incontro con un incaricato. Vivo? Persona? Aspirapolvere robò? Chissà.
Anche questo cinque dicembre.

Se per il musicista le parole collettive sono tutte elogiative, e ci mancherebbe, l’uomo è meno noto. Animo fluttuante, spirito progressista, vero primo professionista indipendente nella musica, in definitiva uomo libero. Nel frattempo, lungo il 2025 le sue composizioni riconosciute come originali sono passate da 626 a 721, l’attenzione è alta, e finalmente la Serenade in C che si pensava scomparsa è riapparsa, riferiscono gli specialisti. Il suo Lacrimosa resta ineguagliato, va in direzioni che non ci si aspetta e poi invece risultano essere quelle più naturali. In merito all’uomo, cito lui citando me: capace di sontuosità musicali e di pensiero, «Viviamo in questo mondo per imparare e per illuminarci l’un l’altro» e di luminose verità, «Insomma, quando ci si è svuotati, la vita torna a sorridere». Quali siano le une e quali le altre, a ciascuno secondo.
Rosencrantz: Tu credi che la morte possa essere una nave?
Guildenstern: No, no, no… la morte no: la morte non è. Cerca di capirmi, la morte è la negazione totale, il non essere. Non si può non essere su una nave.
Rosencrantz: A me è capitato spesso di non essere su una nave.
Guildenstern: No, è diverso, tu eri, ma non su una nave.
Probabilmente il mio film preferito. No, che probabilmente? Di gran lunga il mio preferito.
Complesso, ridicolo, colto, assurdo, teatrale ovviamente. La partita di tennis con le domande, le continue quasi-scoperte scientifiche dei due, il destino che governa le traiettorie individuali delle persone, le tragedie che si compiono nolenti i protagonisti, la morte e l’incomunicabilità, tutto strepitoso. Come il testo teatrale, entrambi di Tom Stoppard, il film fu il suo unico come regista. A Venezia nel 1990 era fichissimo.

Nato nel 1937 con il nome di Tomáš Sträussler in una famiglia ebraica in Cecoslovacchia, divenne Stoppard in Gran Bretagna, dove rimase, e dove è mancato oggi. Non posso che ringraziarlo, trentacinque anni di puro godimento di testa e di pancia e ancora oggi nessuno sa quale sia uno, Rosencrantz, e l’altro, Guildernstern. Potere della tragedia intramontabile che è, poi, quello in cui viviamo immersi.
Emil Zatopek, mezzofondista e maratoneta cecoslovacco, detto appunto per la sua abilità ineguagliata nella corsa e perché sbuffava, era noto anche per una certa qual poca grazia nel correre. Non tutto, le gambe andavano bene, era il torso che sbandierava qua e là, le braccia in giro, la testa dondolante e un’espressione in agonia perenne.

Ognuno corre come vuole e se uno, poi, come lui vince quasi qualsiasi gara a volte doppiando il secondo, ha evidentemente ragione di fare quel che lo faccia sentire meglio. Alle olimpiadi del 1952 a Helsinki vinse 5mila, 10mila metri e maratona mentre la moglie Dana vinceva l’oro nel giavellotto femminile, per dire. Lui disse di averla ispirata, lei rispose: «Davvero? Prova a ispirare qualche altra ragazza e guarda un po’ se riesce a tirare un giavellotto a cinquanta metri». Niente male.
Comunque, il motivo per cui sto scrivendo qui di Zatopek, il calzolaio socialista poi regalato alla corsa, è per le descrizioni che i giornalisti sportivi e commentatori ne diedero, vedendolo correre. Jean Echenoz scrisse: «procede in maniera pesante, scomposta, sofferta, a scatti. Non nasconde la violenza di uno sforzo che gli si legge sul viso contratto, irrigidito, stravolto, continuamente distorto da un rictus penoso a vedersi. I lineamenti sono alterati, come dilaniati da una spaventosa sofferenza, a tratti ha la lingua fuori, come avesse uno scorpione in ogni scarpa». Per Gianni Brera faceva «le smorfie più angosciose e rattristanti» e «pare vecchio slombato e pronto a crepare sul margine del prato come un ronzino esausto». Pierre Magnan scrisse che era «l’uomo che correva come tutti noi», che non è esattamente un complimento. Per molti altri, era l’uomo che correva peggio di noi, alcuni commenti sparsi che ho trovato qui scrissero: correva come «che è stato appena accoltellato al cuore», ahah, come uno «che sta lottando contro un polpo su un nastro trasportatore», come uno con «un cappio attorno al collo», che si dimena per liberarsene. Come «un pugile che combatte contro la sua ombra», come «uno che stia per fare il proprio ultimo passo». Ahah, polpi, scorpioni e ronzini. Il New York Times in occasione della sua morte scrisse che era stato «forse il miglior corridore da lunghe distanze di sempre, di sicuro il più sgraziato».
Zatopek, dalla sua, ribatteva che «l’atletica non è il pattinaggio sul ghiaccio: non serve sorridere e fare delle belle facce per i giudici»; una volta smesso di correre si avvicinò a Dubcek e alle sue posizioni più libertarie che portarono alla Primavera di Praga. Con l’arrivo dei sovietici fu esiliato, punito e messo poi a fare lo spazzino. Si racconta che le persone per strada si fermassero ad aiutarlo a raccogliere la spazzatura, il grande Zatopek, la locomotiva umana. Fu riabilitato, ebbe qualche incarico di prestigio, fece una pubblicità dai toni insensati per Adidas. E la migliore risposta alle osservazioni dei commentatori la diede lui, riconoscendo quanto dicevano pur mantenendo il proprio orgoglio: «Non avevo abbastanza talento per correre e sorridere allo stesso tempo». Che poi non era poi nemmeno così vero. Il grande Zatopek.
La riflessione sulle città fondate sui fiumi e soprattutto alle confluenze dei fiumi è una costante per me e man mano che ne scopro di nuove me le segno. Più esplorazione che riflessione, a onor del vero. Tra le nuove viste in tempi recenti, York fresca fresca, una gentile confluenza tra due placidi fiumi di campagna inglese, e ben più in là nel tempo Ratisbona che sorge nella parte centrale della Baviera alla confluenza del Danubio con il suo affluente Regen. Da cui il nome in tedesco della città, Regensburg. Entrambe le città sono notevoli, di origine romana, placide sui fiumi circondate da campagna gradevole e rilassante, quella tedesca ha un gran ponte, dato che il Danubio, per quanto nel suo alto corso, è bello largo.
La confluenza di York tra Ouse e Foss:

e quella di Ratisbona (Dieta!), la foto non è proprio precisissima ma metto solo le mie:

Aggiornamento grazie alle mie pensatone e ai contributi ricevuti:
Confluenze di tre fiumi:
– Passau: Danubio, Inn e Ilz
Confluenze di due fiumi che ne generano uno nuovo:
– Pittsburgh: Allegheny e Monongahela generano l’Ohio
Confluenze di due fiumi:
– Belgrado: Danubio e Sava
– Bressanone: Isarco e Rienza
– Coblenza: Reno e Mosella
– Duisburg: Reno e Ruhr
– Gand: Leie e Schelda
– Kaunas: Nemunas e Neris
– Lione: Saona e Rodano
– Magonza: Reno e Meno
– Mannheim: Reno e Neckar
– Montréal: San Lorenzo e Outtawa
– Ratisbona (Regensburg): Danubio e Regen
– Treviso: Sile e Botteniga (sub iudice, il Botteniga è lungo due chilometri)
– Washington: Potomac e Anacostia
– York: Ouse e Foss
Da questi ultimi aggiornamenti, ho imparato che è bello vivere in una città con un fiume, ancor più bello se i fiumi sono due e confluiscono attorno. Non l’ho imparato stavolta, è vero, ne ho però avuto conferma, ancora. York e Regensburg sono piccoline, piacevoli, ottimi posti in cui rilassarsi e andare a spasso per sentieri lungo i fiumi, farsi passare i bollori e respirare.