Nel 2011 uno dei fedeli colonnelli del Colonnello, Khalifa Belqasim Haftar, Haftar per brevità, guidò non da solo e con il sostegno russo la rivolta contro il capo e scatenò la reazione delle forze lealiste che bombardarono lungamente Bengasi. La quale era stata già bombardata nel 1986 dagli Stati Uniti e attraverso due guerre civili, l’attentato di Al Qaeda all’ambasciata americana del 1992, le proteste all’ambasciata italiana dopo le provocazioni di Calderoli, è giunta così a essere un vero disastro.



Però c’è uno stadio nuovo e grande. Bengasi è la capitale del secondo stato, la Cirenaica, la parte est del paese, sotto il controllo del secondo presidente, il militare Haftar, come da cartelloni sparsi ovunque. La terza, il deserto interno, la terza regione, il Fezzan, chissà. Il volo da Tripoli a Bengasi, al netto delle altre ore all’aeroporto, è abbastanza tranquillo, sebbene io non ami per nulla i voli interni. Arriviamo col buio al centro di Bengasi e la distruzione non si percepisce, la mattina è un risveglio che definirei somaliano. Interi quartieri della città sono recintati perché distrutti o crivellati e le stesse recinzioni sono cadenti. Le strade occupate da catorci, non c’è un’auto sana, nessuna struttura riconoscibile come scuole, uffici, ospedali, polizia. Qualche rara farmacia, al massimo. A volte mi chiedo perché io non sia in Lettonia, in questo momento. Saperlo. La città storica era la nota Berenice, inutile cercare qualche traccia, ed era una delle cinque città della pentapoli cirenaica, ovvero le città fondate dai greci, anche tolemaidi di provenienza egizia, che fronteggiavano le città puniche sull’altro lato del golfo della Sirte.
Ci leviamo da Bengasi abbastanza rapidamente, essendo le attrattive ridottine, tagliando un pezzo all’interno verso un’altra città della pentapoli, Tolemaide, lo storico porto di Barca, oggi Al Marj. Molte di queste città furono abbandonate perché devastate dopo il tremendo terremoto del 365 dopo cristo, quello per capirci che fece crollare il faro di Alessandria. Alcune di esse ebbero poi una qualche fortuna sotto i bizantini e, temporaneamente, sotto Giustiniano. Tolemaide è una città abbandonata che fu grande, oltre trentamila abitanti al culmine, oggi ricoperta di terra ed eucalipti, capre e qualche ragazzino che vive chissà dove che continua a chiedermi uoziorneim?. Un enorme palazzo, chiamato delle colonne, dà mostra di sé e realizzo che ho visto finora migliaia di colonne integre, cosa che da noi non accade perché nei secoli altri se le accaparrarono. Qui no, sono ancora lì, a parte le seicentotrenta che Luigi XIV fece portare alla costruenda Versailles da Leptis magna.

Pochi anni fa Haftar mosse i suoi miliziani verso Tripoli e giunse quasi là a colpi di mitraglia, iniziando a bombardare. Poi si fermò e non è tutt’ora chiaro cosa intervenne. Il panorama della Cirenaica cambia pian piano e diventa sempre più verde, le sterpaglie diventano cespugli e appaiono alcuni pini a fianco degli eucalipti. Complessivamente diventa un territorio verde con una bella terra rossa e una certa quantità di acqua. Due anni fa si formò un uragano vero e proprio, lo chiamarono Daniel se non ricordo male, e fece crollare una diga in terrapieno causando una quantità tremenda di morti. I corsi asciutti dei torrenti suggeriscono che in certi momenti l’acqua sia davvero molta e irruenta. Un museetto che è più che altro un magazzino mostra l’alta qualità dei reperti, statue, mosaici, vasellame, chi lavora qui come archeologo ha dell’eroico. Attualmente una spedizione polacca collabora al recupero, va’ a sapere le dinamiche. Ogni tanto emerge sul mare o nei campi una commovente basilichina bizantina, in una di queste un magnifico mosaico mostra l’unica rappresentazione nota del faro di Alessandria, in molte altre appare una fede raccolta, modesta e orgogliosa.

Quella che integralisti, che per semplicità chiamerò Isis, non possono proprio sopportare e che devono, per forza, devastare, smontando e saltandoci sopra.

Un pastore di capre con il mitra, il pastore non le capre, macchia mediterranea, un tentativo chiaramente fallito di sviluppo turistico lungo il mare, che è oggettivamente splendido, strade costellate di dissuasori e buchi, qualche casa qua e là di cemento a vista e non finita, è già molto che ci sia un albergo aperto, qui, e che sia possibile starci. Un mercato con frutta, albicocche, arance, banane e mele, e frutta bella, zucchine, cipolle, zucche, pomodori, patate e molte molte molte scarpe. Sebbene ripetitivo, il cibo è semplice e buono, non fosse per il sempre maledetto pollo che compare dappertutto e che io non posso mangiare. Restano agnello e, in generale, delle ottime orate, solitamente accompagnate da riso o più raramente cous cous. A volte capita qualche tipo di variazione di hummus, stranamente nessuna oliva, si apre sempre con ottime zuppe di lenticchie o di carne, detta libica e un po’ piccante, o pesce.
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