un’altra settimana preoccupante in Italia: dal report UE alle liste di proscrizione de Il Giornale

Qui serve seguire e tenere memoria.
Il 24 luglio scorso, come accade ogni anno, la Commissione europea ha pubblicato il report annuale sullo Stato di diritto nei Paesi membri, il cosiddetto 2024 Rule of Law Report. Oltre ad alcune raccomandazioni, al governo italiano «è chiesto di impegnarsi nella digitalizzazione di tribunali penali e procure, di adottare la proposta legislativa in sospeso sui conflitti di interessi, di istituire un registro operativo per le lobby, di regolamentare le informazioni sui finanziamenti a partiti e campagne elettorali, di tutelare i giornalisti e garantire l’indipedenza dei media e di creare un’Istituzione nazionale per i diritti umani in linea con i principi Onu», il report esprime alcune preoccupazioni:

  • libertà di stampa ed espressione: «i giornalisti continuano ad affrontare diverse sfide nell’esercizio della loro professione» tra cui minacce e aggressioni, il report parla di settantacinque episodi quest’anno, «con una crescita di casi di intimidazione legale da parte dei politici». La Commissione europea parla anche di uno spazio civico “ristretto”, alla luce degli «attacchi verbali da parte di alcuni media e politici contro le organizzazioni, soprattutto quelle che svolgono attività umanitarie, e di episodi di violenza contro i manifestanti da parte della polizia»;
  • premierato: la Commissione europea scrive che «non sarebbe più possibile per il presidente della Repubblica trovare una maggioranza alternativa e/o nominare una persona esterna al parlamento come primo ministro». Vengono menzionati la preoccupazione di alcuni “portatori di interesse” per le modifiche proposte all’attuale sistema di pesi e contrappesi istituzionali, e i dubbi sul fatto che la riforma «possa portare maggiore stabilità». L’Italia inoltre, rientra tra i Paesi in cui «le dichiarazioni pubbliche dei governi e dei politici possano influenzare la fiducia nell’indipendenza della magistratura», e anche fra quelli in cui si nota «l’uso considerevole di procedure legislative accelerate o di decreti d’urgenza»;
  • abrogazione del reato di abuso d’ufficio: limita l’ambito di applicazione del reato di traffico d’influenza e con la separazione delle carriere potrebbe incidere sull’indipendenza della magistratura. Nella sezione relativa alla lotta alla corruzione, il report sottolinea come i cambiamenti in quest’ambito potrebbero avere implicazioni per «l’individuazione e l’investigazione di frodi e corruzione». Il documento aggiunge che «le modifiche proposte alla prescrizione potrebbero ridurre il tempo a disposizione per condurre procedimenti giudiziari per reati penali, compresi i casi di corruzione».

Věra Jourová, commissaria ai Valori e alla Trasparenza, «Esprimiamo preoccupazione per l’indipendenza e il finanziamento dei media di servizio pubblico e chiediamo alle autorità di affrontare la situazione. Sono anni che esprimiamo la necessità di tutele. Ma con i nuovi incidenti e i tagli al bilancio, questa necessità sta diventando molto urgente». Molti altri rilievi al governo italiano, basti cui la sintesi, si capisce bene l’evidente stroncatura su molteplici aspetti. È del tutto plausibile la voce che il report fosse pronto dal 3 e che si sia aspettata la conferma di Von der Leyen per inviarlo.

Quattro giorni dopo, Meloni risponde ufficialmente al report con una lettera rivolta direttamente alla presidente UE: «Le raccomandazioni finali nei confronti dell’Italia non si discostano particolarmente da quelle degli anni precedenti, tuttavia per la prima volta il contenuto di questo documento è stato distorto a uso politico da alcuni nel tentativo di attaccare il governo italiano. Qualcuno si è spinto perfino a sostenere che in Italia sarebbe a rischio lo Stato di diritto, la libertà di informazione» per poi proseguire con «attacchi maldestri e pretestuosi che possono avere presa solo nel desolante contesto di ricorrente utilizzo di fake news che sempre più inquina il dibattito in Europa. Dispiace che neppure la Relazione della Commissione sullo stato di diritto e in particolare sulla libertà di informazione sul servizio pubblico radiotelevisivo sia stata risparmiata dai professionisti della disinformazione e della mistificazione». La lettera è molto lunga, si capisce che je rode, e oltre alle mistificazioni e alle fake news, Meloni fa ricorso all’armamentario politico della colpa di qualcuno che c’era prima, arrivando fino al governo Renzi.

E siamo al 28. Il 29 la portavoce dell’UE, Anitta Hipper, dice che: «Abbiamo confermato di aver ricevuto la lettera» di Meloni e che «la stiamo valutando e in questa fase non abbiamo alcun elemento ulteriore», non precisando ulteriormente se vi sarà una risposta o meno. Da ambienti europei, traspare “sconcerto e sorpresa” sia per i toni utilizzati sia perché la lettera di Meloni è stata pubblicata prima che la presidente della Commissione la leggesse. Tutta la situazione si inasprisce e Meloni dalla Cina rincalza: «Capisco il tentativo di strumentalizzare, conosco il tentativo di cercare il soccorso esterno da parte di una sinistra in Italia che evidentemente è molto dispiaciuta di non poter utilizzare per esempio il servizio pubblico come fosse una sezione di partito, però su questo non posso aiutare proprio perché credo nella libertà di informazione e di stampa» ed evidentemente sbanda, ricordando i discorsi più retrivi di Berlusconi che se la prendeva con la sinistra. E maldestramente sostiene che i rapporti con l’UE non siano in peggioramento, contro ogni evidenza, sfiorando il ridicolo con «nessuna interferenza sulla governance Rai», mentre dall’UE precisano che: «Il rapporto è frutto di una metodologia consolidata e basata sui fatti».

Poi, però, qui si passa ai fatti: stamane, 30 luglio, Il Giornale, di fatto organo di propaganda del Governo e di proprietà del senatore leghista Angelucci, pubblica i nomi di sei giornalisti accusati di essere nemici del governo Meloni: Anna Bredice di Radio Popolare, Nello Trocchia e Francesca De Benedetti di Domani, Matteo Pucciarelli di Repubblica, Ilario Lombardo de La Stampa, Martina Castigliani de Il Fatto Quotidiano. Secondo Il Giornale sarebbero responsabili di avere ispirato e passato notizie al consorzio europeo Media Freedom Rapid Response, che in un rapporto uscito ieri denuncia il rischio per la libertà di stampa in Italia: «L’interferenza politica nei media pubblici e l’uso sistematico di intimidazioni legali contro i giornalisti da parte degli attori politici da tempo definiscono il rapporto tra media e politica in Italia. Tuttavia, negli ultimi due anni queste dinamiche hanno raggiunto livelli allarmanti».

se questa è la seconda carica dello Stato

Non mi occupo quasi più di politica italiana, la quasi totalità del dibattito è irrilevante, se non per la continua aggressione ai diritti sociali delle persone di questa squallida maggioranza. Bisogna occuparsi, sarebbe ora di metterlo a fuoco anche quando si vota, di politica europea e mondiale, prendendo atto del fatto che siamo periferia giovernata da nanetti a meno che non ci inventiamo una seconda età dei Lumi.
Stavolta però vorrei riportare un articolo ben scritto e dai toni piuttosto definitivi, che condivido. Gli antefatti: il cronista Andrea Joly de La Stampa viene aggredito da un gruppo di fascisti di Casa Pound perché filmava la loro festa per strada, il presidente del Senato nonché seconda carica dello Stato nonché nostalgico idiota cincischia furbamente, ritiene lui, e fa il solito giochino dei distinguo per avere le pagine dei giornali. «Sulla vicenda di questi giorni, ho una posizione di assoluta e totale condanna», assicura con tono deciso, «Però…». «Però credo che il giornalista non passasse per caso. Non è una sua colpa, però (di nuovo, ndr) sarebbe stato più bello se avesse detto “ero lì che volevo riprendere quella riunione”». Ovviamente non ha alcun significato quel che distingue. «Non vorrei che entrasse troppo nell’uso quotidiano l’inserimento di metodologie che creano poi reazioni che non vogliamo che mai avvengano». In linea con Meloni che all’inchiesta di Fanpage.it dice che non bisogna infiltrarsi.

È qui che voglio riportare il breve editoriale di Andrea Malaguti, direttore de La Stampa, sul giornale di oggi:

Se questa è la seconda carica dello Stato
Confesso che Ignazio La Russa mi mette a disagio. Un limite mio. È un maschio del Novecento che non riesce a uscire dalla grottesca armatura di pece in cui è rimasto imprigionato da bambino. Gli piace fare il bullo. Ha cristallizzato il senso di sé ai milanesi anni Settanta di piazza San Babila. Se non fosse il presidente del Senato derubricherei la cosa a “problema personale”. Invece La Russa è la seconda carica dello Stato. Regala la sua solidarietà pelosa al nostro Andrea Joly per le botte ricevute fingendo sdegno, liquida La Stampa col solito sarcasmo da capocomico e aggiunge: «Non credo che passasse da lì per caso, trovo che sarebbe stato meglio che avesse dichiarato di essere un giornalista». Mi sfugge, presidente: per farsi menare di più o di meno? C’erano cento fascisti in mezzo alla strada a mezzanotte che cantavano a squarciagola canzoncine mussoliniane riempiendo l’aria di fumogeni. Cercavano privacy? Al numero due dello Stato non la si fa, lui lo ha capito che Joly voleva fare il furbetto e che i picchiatori di CasaPound gli hanno dato una memorabile lezione. Che pena. Come avrebbe detto il mio professore di filosofia del liceo: siamo al di sotto del limite morale inferiore.

Già, che pena.

Biden lascia, go Kamala!

Non dev’essere facile, politicamente e umanamente. E nemmeno tutta l’operazione, adesso, dai delegati ai finanziatori alla campagna, il partito dovrà fare quadrato perché, come dice Obama nella lettera a Biden: «We will be navigating uncharted waters in the days ahead», navighiamo in acque sconosciute, vero.

E avanti Kamala, a questo punto, che gode di una rarissima seconda occasione. Nel suo primo discorso, notevole, in Wisconsin, ha formulato un primo slogan per la campagna, tompettiano: «We’re not going back». I giochi di parole già si sprecano, da Yes we Kam, buono, alla Casa Bianca già ribattezzata in Kamalot, Beyoncé ha dato il suo assenso per l’utilizzo della sua Freedom in campagna e un importante endorsement, pare che nelle prime ore siano stati raccolti cento milioni di dollari e il numero di delegati raggiunto, staremo a vedere.

Trovavo Kamala convincente anche quattro anni fa, poi chissà dove si è persa. La trovo affascinante anche fisicamente, ora e anche quando sembrava la controfigura di Prince, lasciamoci prendere dalla Harrismania alla conquista di Kamalot!