Uno dei maggiori pregi delle ex repubbliche sovietiche e dei paesi socialisti in generale sono le corriere che, di solito, percorrono i paesi in lungo e in largo. E le loro fermate, varie e solitamente bellissime. Entrambe fanno al caso mio, visto che mi voglio muovere verso nord-ovest, verso la Georgia. Andando verso Şamaxı il paesaggio muta e da desertico si fa campestre e boscoso, i torrenti sono numerosi, compaiono le mucche in mezzo alla strada e i baracchini di frutta a lato della strada. Mangio fichi e melone al mercato, senza sapere mai quando mi sarà fatale e, siccome finora non lo è, proseguo e mangio anche pezzi di baklava con il tè nei peggiori baretti del paese. Che, spesso, sono invece cordiali ritrovi di giocatori di backgammon al riparo di un fico. Com’è prevedibile, uscendo da Baku, il tenore di vita scende radicalmente e tutte le auto diventano Lada o, al massimo, Zigulì, più rare.

Un’altra cosa da mangiare con l’immancabile tè sono le ciliegie bianche immerse nello sciroppo di zucchero o, ancora, la parte bianca dell’anguria macerata nello stesso sciroppo, davvero buona. Che, mi pare, per aprire un bar in Caucaso basti avere una pianta, delle sedie, tavoli e fare del tè. Come i bianchini da noi, monoscelta. Da destra, cioè da nord, incombono le montagne e ogni tanto attraversiamo ampi letti asciutti di ruscelli che allo scioglimento delle nevi diventano di sicuro fiumoni. Il faccione del presidente fa capolino dai cartelloni ogni pochi chilometri, non ha un’aria furba.

La cosa più squadernata sentita finora è questa: un antropologo norvegese, grazie a dio discusso, ha sostenuto a suon di studi accademici la discendenza dei popoli scandinavi dalle popolazioni azerbaigiane di queste zone, documentando la somiglianza delle imbarcazioni e non so quali altri tratti. Se così è, allora gli scandinavi antichi sono andati via proprio tutti, noto, qua son rimasti gli scuri e bassetti. Io e la persona che mi porta in giro oggi ce la ridiamo perché il suo nome, Gulnar, sembra proprio quello di un norvegese vichingo. E invece, magnifico, significa “fiore di melograno”, la pianta simbolo del paese, davvero non male. Altro che norvegesi.
Andando ancora verso nord-ovest, scopro l’esistenza dell’Albania caucasica, niente a che vedere con la destinazione preferita dagli italiani, è bensì una regione storica tra l’attuale Daghestan e Azerbaijan, un tempo tributaria dell’impero romano e poi dei sassanidi. A Nij, un villaggio, incontro alcuni Udì, popolazione erede degli Albani del Caucaso, i quali come i loro avi sono cristiani, parlano una lingua loro e scrivono a loro modo, come già raccontava Erodoto. Mi offrono un tè sotto una pianta di kiwi, con l’immancabile bozzo di zucchero e noci da tenere in bocca mentre entra il tè. Poi mi mostrano la loro chiesa, ortodossa e antica, nell’abside di recente qualcuno ha dipinto un Cristo della Marvel davvero irresistibile ma niente, io rimango più affascinato dagli impianti del gas che nei paesi socialisti sono particolarmente sconclusionati. Ho sempre il sospetto non avessero tutte le tipologie di tubo.

A Şəki, la mia destinazione di oggi, vedo il palazzo reale, magnifico, della dinastia dei Khan di Şəki, un armonioso e sobrio nonché splendido palazzo parallelepipedo né grande né piccolo in cui tutto è fatto nella maniera giusta.

Naturalmente io non so perché i Khan nel palazzo siano tutti rappresentati in piedi sopra dei grossi pesci, dico cose a caso, mi spiegano perché sono scivolosi e chiunque, soprattutto un Khan, deve sapere che è un attimo.
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