Come tutti i paesi piccoli, stretti tra imperi, occupati e deprivati di territori, che hanno però una grande storia, gli armeni tendono a rivendicare a sé la creazione di molte cose, specie nei confronti dei vicini. Per esempio, l’alfabeto georgiano sarebbe in realtà una derivazione del ben più completo alfabeto armeno e così la tradizione manoscritta, la cultura diffusa in ogni ambito del sapere, su su fino ai tappeti. J. che mi spiega queste cose non si diverte tanto quando la prendo in giro dicendo che tutto, a questo punto, dal succo d’arancia alla suola in gomma delle scarpe, sia stato inventato dagli armeni.

La montagna più alta del mondo, per prominenza perché si eleva di quattro chilometri dalla pianura e siamo già a milledue, domina da ogni parte Yerevan. Sì, è l’Ararat, no, non si vede l’arca. Nonostante sia in Turchia, pare qui. Formulo meglio: la montagna è talmente grande e la Turchia talmente vicina che pare di poterci salire facilmente. Sono abbastanza emozionato, l’Ararat lo desideravo fin da piccoletto. Nonostante sia in Turchia, l’Ararat è invenzione armena. E là dove ora c’è la Madre Armenia, esattamente come a Tbilisi c’è la Madre Georgia, con spadone da undici metri, una volta c’era Stalin, in solenne tunicona a metà tra il profeta e il sacerdote, si dice che la statua fosse così ben riuscita che lo stesso dittatore fosse venuto a Yerevan in incognito pur di vederla.

Chiaro che quella armena fosse la più bella. In un cubo di cemento che ricorda il deposito di Paperone visito il museo dei manoscritti ed è a dir poco straordinario: le raccolte di testi copiati e tramandati nei monasteri armeni – parlo della Grande Armenia, estesa in Turchia e Persia – furono imponenti e in contatto con le culture dal medio oriente al Mediterraneo, tutto lo scibile umano dal sesto secolo, sì, hanno manoscritti dell’epoca, al sedicesimo-diciassettesimo è in parte qui. E i miniaturisti non da meno, si va da testi eleganti e raffinati a rappresentazioni umanissime come questo san Giorgio.

Anche il museo nazionale è notevole e ricco, il patrimonio archeologico spazia dalle origini della vita a pochi secoli fa con le testimonianze delle varie culture che attraversarono questi luoghi, persiani, greci, romani, mongoli, ottomani, russi e così via. Per mio interesse, le sezioni della pittura armena e russa di area armena tra diciottesimo e ventesimo secolo sono di grande rilevanza, capita cosi di scoprire da chi Klimt abbia copiato, basta guardare la ‘Salomè’ di Vardges Sureniants, 1907:

E Salomè era principessa armena, per davvero. Mi aspettavo di trovare una grande città povera e grigia e desertica, ne ho trovata una vivace e colorata e internazionale, sono appena passato davanti a un ristorante svedese. Svedese? Ma quando mai? Non dubito che fino a pochi anni fa Yerevan fosse come me l’aspettavo, me lo conferma chi l’ha vista, ora brulica di persone, giovani, a qualsiasi ora, la piazza della Repubblica è piena ogni sera, le luci brillano e il museo mette musica a tutto volume, ora i Carmina Burana. Ha ragione Montalto, seguire le energie, che si spostano.

E quindi, qual è il segreto? Hanno vinto alla lotteria delle città? Un po’ sì. Alle sanzioni dell’Unione Europea alla Russia su oreficeria e gioielleria e materiali pregiati, il mercato si è spostato qui, la Russia stessa usa il paese come intermediario, la crescita del settore armeno è stata del millecinquecento per cento negli ultimi tre anni, per anno, e di soldi ne sono rimasti qui parecchi. La città vecchia viene spazzata via e i grattacieli crescono come fungoni, gli investimenti arrivano e restano, le catene si vedono tutte. Poi basta uscire due metri dal perimetro del centro e, come in Azerbaijan, sparisce tutto. Beh, son tre milioni e uno sta qui, buona parte ne gode.
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