minidiario scritto un po’ così del viaggio sul Prietenia, l’ultimo treno sovietico: zero, trenulețul

Tornato dal Caucaso col fervore delle repubbliche ex-sovietiche, mi imbatto qualche mese fa in un breve post di un viaggiatore rumeno che racconta di aver preso l’ultimo treno sovietico d’Europa. Drizzo le antenne, annuso la preda. Ne fa un accenno ma quanto dice mi basta per trovare ciò che mi serve e per mettere in moto un nuovo piccolo progetto di viaggio, ci vuol poco. Ma in che senso sovietico? Nel senso dell’intoccato, del treno rimasto come era, cristallizzato nella formica degli anni Cinquanta, l’equivalente dell’esperienza autentica di viaggio per chi va a incontrare la tribù di Ubangi in Banzania. Ah, che sapore. Guardo qualche foto e non posso resistere, devo prenderlo, devo andare.
Ne parlo con R., ci siamo conosciuti in Azerbaijan e per quanto mi riguarda è stata comunanza immediata, confermata poi dai fatti. Non ci pensa su più di otto secondi, è a bordo del progettino, con entusiasmo. Lui come me scrive, fotografa, viaggia, si chiede e tutto questo lo fa con moderato garbo e con rispetto, per cui è un piacere confrontarsi anche su questo, non bastasse compone anche musica, c’è un pezzo ancor più profondo. Una novità, da un po’ tempo non faccio viaggi di esplorazione con qualcuno.

Il Prietenia è letteralmente ‘il treno dell’amicizia’ – la versione socialista del ‘Peace train’ stevensiano o del ‘Magic bus’ degli Who, ma c’era anche la ‘nave dell’amicizia’ che portava derrate americane a Napoli finita la guerra – e l’amicizia era tra la Repubblica Socialista di Romania e la Repubblica Socialista Sovietica Moldava, RSS Moldava, peraltro già unite a forza dopo la prima guerra mondiale. Ogni collegamento, ponte o treno o strada, tra paesi o repubbliche sovietiche problematiche di solito veniva battezzato in nome dell’amicizia, ancora oggi certi passaggi davvero complicati, per esempio il ponte a Termez tra Uzbekistan e Afghanistan – lo raccontavo qui – o quello sulla Narva tra Estonia e Russia, qui, mantengono la denominazione: più i rapporti erano rognosi e più era amicizia. Non si fraintenda, non era solo ipocrisia statale, parole vuote, l’aspirazione sottostante all’unione politica era davvero di relazioni pacifiche e di sviluppo comune, almeno nelle versioni più ideali del socialismo di quel tempo, chiaro che poi nella pratica le derive staliniane mostravano il contrario nonostante Chruščëv abbia provato a invertire un poco la rotta.

Farò una guida al ritorno, così che chi lo voglia possa ripetere agevolmente l’esperienza dell’ultimo treno sovietico d’Europa. Perché un progetto di viaggio è un progetto e vale la pena farlo al meglio, cioè così che ogni tassello sia al posto giusto; nel mio caso, in questo caso, per dirne tre: arrivare all’aeroporto giusto a Bucarest, il più bello e in tema tra i due; prenotare il posto migliore sul treno, così che il viaggio sia il più foriero di esperienze possibile, vale a dire lo scompartimento più numeroso disponibile; prenotare l’albergo a Chişinău più sovietico che ci sia, districandosi tra i relitti dismessi, maledizione, il Cosmos non c’è più. Io domani vado e vedo com’è, quando posso racconto che al di là le connessioni saranno più ballerine e saremo comunque in due, più scambio e confronto, meno tempo per scrivere e rimuginare del solito. Sono già proiettato nel mondo di Kusturica, il supermissile spaziale dei Balcani mi porterà nel magico mondo della vodka, degli spari, dei bagni nel ghiaccio, dell’amicizia a pugni, nell’estetica dello sfascio che tanto apprezzo. Oltre a tutto, scelta non casuale se per me avesse un qualche tipo di senso, passare la notte degli spiriti e dei morti e dei vampiri su un treno notturno nelle pianure balcaniche spalando carbone sarebbe una cosa memorabile. Mi manca il costume, ora che ci penso. Cosa, dunque e in complesso, potrei chiedere di meglio?


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