minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 75

Alcuni aspetti nuovi della situazione cominciano a delinearsi, almeno per me. Un primo elemento sul quale valga la pena fare alcune considerazioni è quello dei dati: la comunicazione generale è quella della curva in discesa, di ritorno a valori pre-lockdown, quindi attestanti il buon esito della chiusura. Andando al dettaglio, e per quello si intende a livello regionale, gli indicatori dicono che la discesa non è poi così accentuata in alcune regioni, la Lombardia su tutte che, anzi, ha un profilo attualmente di rischio medio. Gli ospedali si stanno decongestionando ma ciò non vuol dire che siano vuoti, i contagi calano ma ciò non vuol dire che non ve ne siano di nuovi, il numero dei morti diminuisce ma siamo pur sempre su percentuali di almeno il doppio della mortalità normale. Tutto ciò, è facile prevederlo, porterà a qualche limitazione localizzata, sicuramente sugli spostamenti, e se ne avrà prova in breve tempo visti i proclami sul 3 giugno, data di riapertura dei confini in senso ampio, regionali e nazionali. Ma non basta o, almeno, a me pare di cogliere qualche elemento in più, negli ultimi giorni. Credo di poter affermare senza troppo timore che i dati che vengono diffusi a livello regionale lombardo siano solo i dati che confortano la visione desiderata, ovvero di un contagio in diminuzione, controllato e sorvegliato, compatibile con la ripresa delle attività economiche. Gli altri dati, mi riferisco sempre alla Lombardia, o non vengono diffusi o non vengono proprio raccolti. Mi spiego. Sono numerosi (vuol dire: tantissimi) i casi di controllo dell’autorità sanitaria, tamponi, effettuati con settimane se non mesi di ritardo e, pure, in maniera non omogenea: viene testato il sospetto malato ma non i conviventi e, tantomeno, le persone entrate in contatto, oppure vengono sì controllati ma a grande distanza di tempo tra loro, rendendo inutile la successione degli anelli della catena. I test sierologici vengono invece lasciati all’iniziativa privata e i risultati, altrettanto, non sono pubblici ma riservati al paziente. Questo perché? Perché se fossero pubblici, a un risultato positivo il testato dovrebbe entrare in quarantena fino al primo tampone ma se tra i due test dovessero trascorrere quaranta giorni, per dire ma è la realtà delle cose, nessuno farebbe il controllo sierologico, con gran dispiacere delle strutture private. Il pubblico, quindi, non indaga in quella direzione. In che direzione indaga, quindi, l’autorità pubblica in Lombardia? I fatti parrebbero suggerire che si stia indagando in senso cronologico e non a ritroso, ovvero smaltendo il grande numero di segnalazioni effettuate dai primi di marzo, quando di tamponi non se ne facevano, e procedendo in avanti. Quindi, si stanno verificando le situazioni di due mesi fa, per quanto si facciano grandi numeri di test. Congiuntamente, nessuna notizia pervenuta riguardo alle modalità di tracciamento. Lo dicevo già qualche giorno fa, dopo due mesi di proclami sulla necessità del tracciamento, a conti fatti ora non ve n’è traccia (il bisticcio è ovviamente voluto). Che le app non funzionino l’hanno già dimostrato in Corea, in Giappone, in Australia, in Germania, paesi in cui le persone sono anche più ligie alle prescrizioni e dove hanno infrastrutture informatiche ben più avanzate delle nostre; non funzionano perché mediamente solo un quinto della popolazione ne fa uso. Allora si deve fare alla vecchia maniera, come hanno fatto in Germania: si assumono quindicimila persone che lo fanno a mano, segnando man mano le catene di contagio e indirizzando i controlli. Potremmo usare, qualcuno ha giustamente detto, i famosi navigators di Di Maio, per dire quanto siamo nel pieno della farsa. Ovvio che da noi il monitoraggio non è una priorità. Quindi, dati raccolti in maniera disomogenea, senza un criterio esposto, spesso addirittura in modo controproducente e assenza completa di monitoraggio. Non è inettitudine, non solo, è volontà politica di non indagare a fondo sul disastro lombardo, da un lato, e dall’altro di mantenere un equilibrio, magari anche indotto e forzato, per consentire l’apertura dei settori produttivi. Ma c’è, almeno, anche un altro elemento che suffraga quanto detto finora: esistono dei dati che non vengono diffusi e ai quali non viene data la rilevanza che meriterebbero, per esempio il numero delle segnalazioni dei medici di base di soggetti probabilmente contagiati a partire dal 4 maggio (prima apertura) e soprattutto dal 18 maggio (seconda apertura). Tali dati esistono, pare siano raccolti in un rapporto riservato della Regione, e qualcuno li ha visti: dal 18 maggio pare che le segnalazioni siano nell’ordine delle centinaia nelle province più estese, più di settecento in provincia di Brescia, altrettante se non ricordo male a Milano o giù di lì. Sono passati cinque giorni dal 18, significa una media di più di cento al giorno per provincia ma con ciò non voglio dire che siano tante o poche segnalazioni – io questo non lo so – ciò che colpisce è il dato correlato, ovvero il numero di tamponi eseguiti a seguito di questi avvisi: su Brescia, uno; su Milano e le altre province numeri compatibili con la quantità di dita di ciascuno. Unità, raramente decine. Ergo: non si sta indagando, per quanto riesco a intuire da solo nella mia stanzetta, sul presente e ciò lo si sta facendo in modo sostanzialmente deliberato, per le due ragioni che ho esposto prima (e per altre che non so, chiaramente). Si sta scrutando il passato e lo si sta facendo in modo da rafforzare la visione offerta al pubblico: un contagio controllato che richiede la responsabilità dei singoli e l’attenzione delle vigili autorità che hanno a cuore, prima di tutto, la salute corporea e finanziaria dei propri cittadini. Non sono infatti concesse critiche al modello lombardo-leghista, come l’aggressione al deputato Ricciardi ieri in parlamento dimostra, e il governo non ha interesse ad affondare il dito nella piaga, come ha più volte mostrato pubblicamente. Tutt’al più vi saranno, immagino, delle limitazioni alla circolazione lombarda, magari piemontese o umbra, rispetto al resto del paese dopo il 3 giugno, più avanti si vedrà.

Posso sbagliare? Chiaro. Ma i fatti sono lì da vedere, magari la chiave di lettura è un’altra, questo sì che può essere, ma che la situazione sia governata politicamente e non sulla base delle evidenze mediche e dei suggerimenti che la scienza offre mi pare un fatto incontrovertibile. Si è deciso, a Milano, di proteggere a tutti i costi la giunta e il partito, di favorire la linea preferita dall’elettorato, aperture al lavoro a costo di sacrificare qualche anziano sulla larga strada del PIL, secondo cliché, di comunicare i dati ma senza indagare a fondo e in tempo reale, si è deciso di procedere senza una strategia ma adeguandosi di volta in volta, di difendere pubblicamente il proprio operato senza mostrare alcun cedimento, di fare proclami di pubblica responsabilità ma, poi, di non perseguire i comportamenti non a norma (non esistono ispettori di sicurezza con il compito di controllare che le aziende siano in regola, il loro numero è talmente esiguo da garantire sonni tranquilli a chiunque) e tutto questo porta a un unico esito: un contagio progressivo e dilagante. Se sarà controllato, grazie al caso e a fattori imponderabili come il clima o la perdita di forza del virus, sarà merito della giunta leghista e del governo, se degenererà come a marzo sarà colpa dei cittadini che non rispettano le indicazioni e non sono in grado di gestire la propria libertà. Bingo.

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Un commento su “minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 75

  1. Cliché che (non) cambiano

    La velocità con la quale ci si sta riabituando, nei comportamenti così come nel lessico quotidiano, alla recuperata fetta di “normalità” ante-covid continua a impressionarmi. La volontà di rimuovere il passato recente supera di gran lunga l’utilità che pure deriverebbe dal ricordarlo e in questo niente batte l’andamento delle valutazioni politiche.
    L’idea del lombardo, e per quanto mi riguarda più da vicino soprattutto del bresciano, forte lavoratore, disinteressato alla cosa pubblica, individualista, talora edonista e mediamente menefreghista è – si dirà – una vieta immagine di repertorio. Lo riconosco e sono peraltro il primo a non riconoscermi in questo cliché, che però si sta dimostrando oltremodo rispondente al vero. Le critiche che inizialmente si erano levate, devo dire anche allora non troppo convintamente, rispetto all’operato della giunta regionale lombarda adesso sono del tutto scomparse, sostituite dalla voglia di fatturato, vacanze e aperitivi. Mi domando se, qualora ci fossero delle elezioni a breve, si avvertirebbero flessioni rispetto ai normali flussi clientelari. L’impressione è che no, non ve ne sarebbero o comunque non ve ne sarebbero abbastanza, visto quanto è successo e considerato che molti lo hanno subito sulla propria pelle o su quella dei propri cari.
    Non sto dicendo, ovviamente, che non ci sia gente consapevole e irritata, ma alla fin fine è sempre quella che anche prima si irritava magari anche per cose molto meno gravi, tipo i PCB, l’inquinamento delle falde acquifere e i tassi tumorali. In un qualche modo è davvero un cane che si morde la coda: (la maggior parte di) questa cittadinanza ha la classe politica che si merita e tale classe politica si rivolge efficacemente a questa cittadinanza con messaggi e tecniche di comunicazione che, anche quando sono palesemente antifrastiche, vincono un punto: niente infatti irrita più di una confutazione superflua, tipico appannaggio dei sapientoni che avrebbero fatto tutto meglio loro anche quando la situazione sarebbe stata complicatissima per chiunque. E allora (e il PD?)?
    All’università, dopo un mese di calma piatta e di totale inebetimento, peraltro condiviso e a me assai gradito, è esplosa una frenesia che si concretizza con molteplici riunioni telematiche, per lo più inutili. Restare ore davanti allo schermo inizia a essere una fatica consistente, anche quando disattivo la telecamera e provo per lo più a fare (anche) altro nel frattempo. A restare del tutto frantumata è la concentrazione, che per scrivere o anche solo pensare qualcosa di sensato non è esattamente un dettaglio. Mi verrebbe da dire che in compenso, almeno in parte, si è attenuata la frequenza di messaggi sul covid (ci ricordiamo quante catene e battute si ricevevano a marzo?) e anche le telefonate del “tutto bene?” oggi si diradano alquanto. Anche i teleaperitivi sono ormai un ricordo e questo anche per chi non ha ripreso a farli di persona in privato o al bar: semplicemente, ora risulterebbero troppo posticci, soprattutto per chi viva a poca distanza. Razionalmente non ha senso, ma le cose vanno così.

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