minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 33

Trentatré. Gli anni di Cristo. Ops, mi viene così, da anni e anni di Mike Bongiorno alle prese con la smorfia nella ruota della fortuna. Che non ho mai visto realmente ma non so come si sia insinuato dentro di me. Settantasette, le gambe delle donne. Trentatré, dicevo. Oggi sono andato in ospedale. Sì, quell’ospedale che passa grossomodo in quasi tutti i TG da settimane. Si trattava di ritirare dei farmaci costosissimi e, soprattutto, salvavita per un’amica, per cui era proprio il caso di andare. La mascherina più sofisticata che posseggo (non sapendo valutarle, ho preso la più spessa, probabilmente sbagliando), guanti nuovi, respiro solo col naso. Onestamente, più di questo non posso fare. Supero numerosi posti di blocco, fino all’entrata dove sono disposti dei banchi scolastici a mo’ di cavalli di frisia, impedendo l’accesso. Mi chiedono di mettermi di fronte a una macchina che, immagino, sia una telecamera termica e mi fanno alcune domande di rito. Poi mi fanno entrare. Siamo pochissimi utenti, forse tre o quattro, gli altri sono tutti operatori sanitari, medici e infermieri. Sono sorpreso, perché mi ero fatto un’idea decisamente diversa: quasi nessuno ha la mascherina, pochi i guanti, si comportano normalmente, chiacchierando in gruppo, prendendo il caffè alla macchinetta, parlando nei corridoi. Già, non ci avevo pensato sul serio: per loro è la normalità e con quella dose di realismo necessaria per fare quel tipo di lavoro hanno messo in conto di contagiarsi. Forse, ma non ho parlato con nessuno, ritengono pure desiderabile, a questo punto, ammalarsi in modo lieve, sfangarsela e poi godere di qualche mese di immunità. Comprensibile.

L’aspetto positivo è che il clima è abbastanza disteso. Non sono agli infettivi, questo è vero, penso però che se la situazione fosse ancora del tutto drammatica si vedrebbe anche qui. Non sto dicendo che la cosa sia risolta né dare quella rappresentazione, voglio semplicemente dire che a fronte di una situazione terribile che va avanti da settimane oggi io ho visto qualche spiraglio di miglioramento complessivo, peraltro suffragato dai dati. O, è possibile, ho visto solo un piccolo pezzetto di realtà.
Sono tornate le rondini. Che fanno primavera, quindi viva!

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Un commento su “minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 33

  1. Fermi tutti

    Il trend di miglioramento continua, in misura differente a seconda della zona ma un po’ dappertutto. È una buona notizia che conviene non fraintendere, anche perché il “sommerso” pare davvero imponente, ma per lo meno le strutture sanitarie avranno un po’ di tempo per rifiatare e riorganizzarsi. Non vorrei essere nei loro panni. Un amico che lavora in un reparto covid mi diceva che ottimisticamente – sottolineo: ottimisticamente, e sempre che il caldo aiuti – una situazione quasi normale potrebbe tornare ad aversi da quelle parti non prima della fine di un’estate che ancora non è neppure iniziata.
    Dunque, calma e gesso: niente improvvisazioni, niente “spavalderie”, soprattutto niente soluzioni pasticciate. Leggevo prima di una sorta di call da parte del Ministro dell’innovazione tecnologica per individuare la migliore app per tracciare gli spostamenti, sulla falsariga del modello coreano. Solo che in Corea incrociavano i dati di tutte le telecamere (pubbliche e private) di sorveglianza in città, quelli delle carte di credito, i suoni registrati dal microfono e tracciavano ogni movimento di chiunque; qui invece, a quel che si legge, la app opererebbe su base volontaria e rileverebbe quindi solo un ridotto numero di spostamenti, col rischio tra l’altro di incasinare le cose più che di facilitarle. Non sto dicendo che la strada non possa essere percorsa, sia chiaro, ma allora bisogna andare fino in fondo: se si hanno (sacrosante) preoccupazioni di privacy, allora non è la nostra via, ma per carità niente strategie ibride che si propongono tanto per dire: non abbiamo bisogno di ulteriori specchietti per le allodole.
    Per fortuna c’è anche chi, in questo contesto senz’altro difficile, ragiona e bene. Penso al mio amico M., assessore in un importante Comune, che sta coordinando un tavolo tra i lavoratori subordinati, gli industriali, la Regione e lo Stato per vagliare una serie di soluzioni, ma con un motto che faccio volentieri mio: “prima ci fermiamo, prima ripartiamo”. Per davvero però. Quello che alcuni furbetti del quartierino qui non sembrano aver capito è che a sbagliare i tempi poi il rischio è di fare yo-yo per i prossimi mesi: se si dimostrasse che è inevitabile e/o che sarebbe la soluzione migliore in un’ottica di costi/benefici posso anche abbozzare, ma altrimenti col piffero! Psicologicamente, adesso, pensare a un avanti/indietro sarebbe davvero faticoso.
    Oggi per curiosità ho dato uno sguardo a qualche sito di treni e di aerei. Trenitalia assicura un solo frecciarossa al giorno da Milano a Roma, e viceversa; Italo non pervenuto. Di aerei fino a maggio non se ne parla, salvo quelli da e per le Isole, comunque ridotti al minimo. Non ho guardato le navi, ma non credo vadano tanto meglio.
    Che le compagnie dei trasporti dovessero in qualche modo adeguarsi all’attuale situazione di stasi – beninteso – era del tutto ovvio. Constatare la situazione oggi, nondimeno, fa una certa impressione. Considerare che per arrivarci sono stati necessari diversi passaggi e qualche settimana fa riflettere su quanto tempo e quanto sforzo economico e organizzativo occorrerà per recuperare un po’ di mobilità nel momento in cui saremo più liberi di circolare. Anche qui: prima ci fermiamo, prima ripartiamo.

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