minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 20

Il trucco è trovare persone bisognose di spesa vicino ai posti dove mi interessa andare. Mi spiego. L’ho detto, cerco di rendermi utile facendo la spesa per il maggior numero di persone possibile: questo ha senso poiché una persona, io, a fronte di molte, loro, in giro; e ancor di più perché permette a loro di non dover uscire e, di conseguenza, correre rischi inutili. E, lo dico, permette a me di stare fuori all’aperto invece che chiuso in casa. Quindi, spesa e missione di necessità all’interno del Comune. Tutto bene, tutto lecito finora. Anche se, ormai, si comincia a non capirlo più, all’ennesimo (quinto?) modello di autocertificazione da compilare e portare con sé: adesso è talmente complicato che richiede di autodichiarare di essere a conoscenza delle norme, statali e regionali, che regolano i movimenti in questo periodo. Ed è falso, almeno nel mio caso: non ho letto le norme, ho letto qualche articolo che le sintetizza e bon, esco. Con il modello di autocertificazione precedente. Perché essere a norma va bene ma dover uscire per la quinta volta, raggiungere l’ufficio perché non ho la stampante, ricompilare tutto, stampare e tornare a casa mi pare davvero irragionevole. Oltre a tutto, ho il sospetto che più il modulo si infittisce e meno i vigili fermino le persone. Un’idea così. Tra l’altro, come avevo immaginato addirittura io che so poco di tutto, le sanzioni sono slittate dal penale all’amministrativo: ovvio, fin dall’inizio mi chiedevo come avrebbero fatto poi a gestire un numero così alto di denunce.
Tornando all’inizio, devo pianificare gli spostamenti in modo sensato, sia per non compiere inutili giri (il vigile non lo capisce), sia perché c’è un posto che mi interessa visitare con una certa frequenza e dove non potrei andare secondo quelle che suppongo siano le norme attuali. Allora, ho cercato e trovato una signora bisognosa di spesa nei paraggi e vualà, il gioco è fatto e ho il lasciapassare. La signora si chiederà come mai ciclicamente io insista per andare ad acquistare qualcosa per lei.
Le persone recluse in casa percepiscono il non poter andare a fare la spesa come una riduzione della propria autonomia, prefigurazione del futuro, per cui tendono a innervosirsi (non tutti ma insomma, poi l’età non aiuta). Cerco di spiegare loro che le cose non hanno relazione, la pandemia e la loro mobilità, subiamo tutti una riduzione di autonomia ma, solitamente, non c’è verso. Alcuni provano vergogna e si scusano di continuo, e la cosa mi commuove mentre cerco di spiegare come la vergogna sia proprio un sentimento fuori luogo, in questo caso. E poi c’è il problema dei soldi: io anticipo la spesa, ovvio, e molti di loro vorrebbero rimborsarmi subito. Capisco ma non c’è modo, visto che non hanno la possibilità di reperire contanti e men che meno fare operazioni online. Tenete i conti, alla fine pagherete tutto, eheh.

Venendo al generale, la pandemia si sta diffondendo dappertutto, gli USA sono prontamente diventati il paese al mondo con il maggior numero di contagiati, Germania e Francia dopo gli sberleffi iniziali si sono adeguate al modello di contenimento italiano, la Gran Bretagna dopo un delirio iniziale dovuto a cultura e orgoglio (incredibile come le nazioni reagiscano come i singoli individui) ha chinato il capo e sta solo ora cercando di fare fronte, considerando che ha una sanità pietosa, a est Europa il contagio non pare progredire (il miracolo dell’informazione oltre cortina prosegue); l’unico paese controcorrente è la Svezia, che ha deciso che non è come l’Italia e, di conseguenza, non avrà problemi. Aspettiamo qualche giorno.
Qui da noi, oltre a contenere la malattia, ci si impegna a capire come mai la diffusione sia così ampia e come mai la percentuale di mortalità non sia in linea con gli altri paesi: per la prima domanda, essendo io in una delle zone più colpite, ho la convinzione – suffragata da una pur ridotta esperienza diretta – che sia dovuto al fatto che, attaccati alla lira e irresponsabili, molti non abbiano affatto smesso di lavorare né di frequentare parenti stretti; per la seconda questione alcuni avveduti stanno ipotizzando che stiamo facendo dei conti sbagliati, non tenendo conto della vera diffusione che sarebbe da cinque a dieci volte maggiore per volume.
Domani, qualche storia in tempo di pandemia.

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Un commento su “minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 20

  1. Una nuova routine

    Sono passate quasi tre settimane da che la Lombardia è stata “chiusa al traffico” e all’iniziale ottundimento sta progressivamente subentrando una nuova, seppur provvisoria, “normalità”. Quella che in principio era perenne e un po’ incredula improvvisazione si trasforma in nuova routine.
    C’è chi legge e chi cataloga libri, chi fa esercizio fisico e chi guarda film o serie TV, chi lavora da casa e chi fabbrica mascherine con mezzi di emergenza. Ovviamente tutte queste attività (e molte altre ancora) si alternano e si combinano in modo vario e diverso per ciascuno, ma tendono ormai ad acquisire una certa regolarità quotidiana.
    Salvo il non uscire praticamente mai di casa, dunque il non poter fare le mie escursioni in Maddalena, e il non poter ricevere gente a casa, quello che faccio non è molto diverso dalle mie giornate tipo quando sono a Brescia. Oggi però c’è una piccola novità: ho provato a utilizzare la terrazza come piccolo campo da calcio, come non facevo da almeno vent’anni. L’esperimento mi pare andato bene, conto di approfondirlo anche nei prossimi giorni: essendo da solo a tirare calci al pallone l’estetica sarà a metà strada tra l’autismo e l’ora d’aria del carcerato, ma va bene così.
    Altra cosa che scandisce questi giorni sono le lunghe telefonate. Anche i messaggi, a dire il vero, ma quelli (per fortuna) stanno un po’ calando. La gente, per lo meno quella che è in contatto con me, si è stancata di scrivere continuamente. Però, quando ci si parla al telefono, la conversazione si protrae mediamente molto più di prima. Ripensandoci, si protrae di più con quelli che prima vedevi più frequentemente di persona. Con gli altri dipende. Certo è che una certa parte delle chiacchiere finisce inevitabilmente per vertere ancora sul Covid o altri argomenti implicati. Penso sia inevitabile, del resto: è tanta parte della vita attuale e non è ancora scattato il meccanismo di rimozione.
    Alla sera si tirano un po’ le somme, le quali peraltro sono complicate dal fatto che non si sa quanto la nuova routine potrebbe durare. Per capire se sto percorrendo una via che sia giusta per me, prima di andare a letto mi pongo ogni giorno due domande: com’è andata oggi? come andrebbe se questa dovesse essere la tua vita per i prossimi tre mesi? Se la risposta a entrambe è (per lo meno) “non male”, allora tutto ok.

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