minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 61

In Francia analizzano il sangue di un paziente affetto da polmonite a dicembre, poi guarito, e scoprono che aveva già il covid-19. Alla faccia di noi italiani untori. Poi un italiano nazionale militare di scherma racconta di come durante i mondiali militari, a ottobre, già lui e molti altri avessero tosse e sintomi respiratori simili a quelli poi riscontrati nelle infezioni da covid-19. Dov’erano i mondiali? A Wuhan. Coincidenze. E siamo a ottobre. Andando indietro di volta in volta, scopriremo che il covid-19 è tra noi dal 1993, nientepopodimeno. E che ciò che sembrava una discesa in campo in realtà era in realtà un contagio. Lo chiameremo Futura, ah no, covid-93. Il Regno Unito diventa il paese europeo con il maggior numero di morti, i famosi «cari» a perdere di Johnson che, furbastro, l’ha scampata e ha pure avuto l’ennesimo figlio dopo il ricovero. A malattia fatta, si è reso conto della gravità della cosa. Bravo, vedo che la capacità di astrazione preventiva è sempre ben distribuita, pensavamo scherzassero quelli che gridavano che la situazione era drammatica. A proposito di pirla, la Lega in Piemonte ha chiesto ieri in consiglio regionale che la Regione faccia causa alla Cina per chiedere un risarcimento «per le migliaia di morti e per i danni economici senza precedenti a causa della pandemia». Fatela, poi noi facciamo causa a Fontana e alla Lega stessa. Il Piemonte è il Missouri italiano. Siamo a circa trentamila morti riferibili alla pandemia, di cui circa la metà in Lombardia. Immagino siano molti di più, fa effetto constatare però che a oggi la cosa non fa molta presa su tutti noi: solo centottanta morti oggi in Lombardia? Bene, va bene. Anche i giornali riportano stancamente. Certo, ci si abitua, è vero che il dato è in decelerazione, bene, ma pensarci un secondo fa impressione. A oggi, prenotare in ospedale qualunque tipo di visita o esame è davvero difficile, la risposta non solo è che ci vorrà molto tempo ma che non riescono proprio a ipotizzare date utili. Anche per casi piuttosto seri. Gli ambulatori sono ancora chiusi o comunque smobilitati, i reparti sono sottosopra, gli ospedali stessi sono stati riorganizzati per l’emergenza e, giustamente, si aspetta un momento prima di fare finta che vada tutto bene. I malati seri, negli ultimi due mesi, si sono sentiti davvero abbandonati, molti hanno saltato cicli di chemioterapia, spero ci si prenda cura di loro il prima possibile, il pensiero mi angustia.

Che poi, con le mascherine, è pure difficile riconoscersi. Incontro uno che sembra, mah, mi pare, forse è un mio conoscente, non sono sicuro, ha pure gli occhiali scuri, lo riconosco dai capelli e dalle scarpe plausibili. Io ho il casco, quindi è impossibile per lui. Magliette con i nomi? Simpatici cartellini? App che oltre a indicarti i contagi ti indica anche le persone che conosci? Utile. Ci fermiamo a fare due chiacchiere dopo, piuttosto buffo, esserci scambiati le generalità, per essere sicuri. Manco i carabinieri.

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Un commento su “minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 61

  1. Se vince il peggiore

    Le immagini delle persone accalcate sui Navigli di Milano, senza mascherina né alcun tipo di distanziamento che chiacchierano amenamente bevendo una birra lasciano di stucco. Ma allora? Immagino sia una sorta di reazione collettiva da sopravvissuti: noi, a questo punto, ce l’abbiamo fatta, l’abbiamo scampata. Il nemico è vinto, o quanto meno è lontano, ormai incapace di nuocere, quindi è ora di festeggiare lo scampato pericolo. Forse tutto questo è un effetto tardivo della metafora bellica che dall’inizio di questo periodo ci accompagna ed affligge.
    Ad ogni modo, mentre tutto questo accade, la Lombardia continua a registrare le peggiori performance di tutta la penisola. Per dare un’idea: non solo siamo messi peggio di ogni altra regione, ma praticamente facciamo nientepopodimeno che la metà dei morti e dei nuovi contagi di tutto il resto delle regioni messe insieme. Per festeggiare questo ragguardevole risultato, oggi Fontana ha adottato l’ordinanza 541, ai sensi della quale “Le attività sportive individuali all’aria aperta (a titolo esemplificativo e non esaustivo golf, tiro con l’arco, tiro a segno, atletica, equitazione, vela, canoa, attività sportive acquatiche individuali, canottaggio, tennis, corsa, escursionismo, arrampicata sportiva, ciclismo, mountain-bike, automobilismo, motociclismo, go-kart) possono essere consentite nell’ambito dei rispettivi impianti sportivi, centri e siti sportivi”.
    Restando in attesa di come il tennis possa essere considerato sport individuale, e sperando che i ciclisti nei centri sportivi siano meno propensi alla socializzazione dei loro omologhi liberamente circolanti sulle strade comuni, in un certo senso provo a essere contento di questa decisione. Si tratta di attività che possono essere svolte in sicurezza. Che effettivamente lo siano è una variabile dipendente in prima battuta dallo scrupolo di chi le pratica, in seconda battuta da chi gestisce i centri e gli impianti e in terza battuta da parte di chi deve garantire l’ordine pubblico. Confido mediamente nei primi (valutando quel che vedo per strada in termini di osservanza spontanea delle misure di sicurezza), poco nei secondi (troppo in questo momento l’interesse ad avere frequentatori per poterli rimbrottare) e mi resta una grossa incognita sui terzi. Certo è che la polizia, che prima era tanto solerte nei controlli, oggi per le strade sembra scomparsa, eppure di gente da sanzionare perché senza mascherina o non sufficientemente distanziata ce ne sarebbe.
    L’impressione è che ci si stia dirigendo verso un modello di convivenza basato su un’osservanza ampiamente lasciata al senso di responsabilità dei singoli, ma senza un congruo e previo banco di prova in proposito. Mi rendo conto che si tratta di un azzardo, ma che del resto anche impedire di svolgere quello già che potrebbe essere ragionevolmente sicuro ha dell’arbitrario, quindi mi taccio e deglutisco, sperando di non dover inghiottire troppo amaro di qui a breve.
    Intanto – leggo in una pagina del tutto marginale di Repubblica – un ospedale di Varese sembra aver sperimentato con successo un test rapido per verificare la positività o meno al covid in sette minuti. Presto dovrebbe essere in commercio, così sta scritto. Il prezzo non è precisato, d’accordo, ma sono soltanto io a trovare la cosa una svolta che dovrebbe meritare la prima pagina fino a poco fa occupata – della serie “a volte ritornano” – dalle dichiarazioni di Zingaretti sul futuro del PD?

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