minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 43

Prima non avevo capito. Vedevo parecchia gente al supermercato – l’unico posto che frequento, dato che in questo periodo non ho voglia di andare al cinema – con la mascherina solo sulla bocca, col naso fuori. Alla Bertolaso, per capirci. Con tutti quelli che mi riusciva, ho fatto lo sguardo di disapprovazione, pensando a quanto si possa essere stupidi per propria pigrizia e vantaggio. Qualcuno l’ho anche apostrofato, ottenendo solo un mugugno da fatticazzituoi. Pensavo, infatti, che lo facessero per una ragione pratica, senza ovviamente pensare alle conseguenze: fa più caldo e con la mascherina si respira meno piacevolmente. Poi, grazie alla rete che purtroppo frequento solo in pochi anfratti e mi perdo il mainstream, ho capito: «ATTENZIONE!! Occhio alle mascherine!!», avverte Carmen (al posto dei primi punti esclamativi ci sarebbero dei simboletti di pericolo radioattivo, per capire il problema), e spiega: «Chi copre naso e bocca, respira una quantità maggiore di anidride carbonica, rischiando di andare in alcalosi e quindi rischiando lo svenimento. Perché, in questo modo, si respira una miscela di CO2 superiore a quella presente nell’aria». Il concetto generale è parecchio sbilenco, poiché attribuisce alla mascherina fatta di telina capacità superiori a una camera iperbarica e non sono sicuro che l’alcalosi c’entri. Carmen ribadisce: «Con la mascherina si respira un’aria malata, parte di quell’aria emessa dai polmoni, ricca di CO2. Servirebbe, invece, aria fresca, ricca di ossigeno». E qui ho capito: questi girano consapevolmente con la mascherina abbassata per non andare in alcalosi. Certo. Il fatto che non abbia alcun fondamento non importa. Il fatto che così si vanifichi il senso stesso della mascherina evidentemente non è per loro rilevante. Mi prendo la briga di controllare e fare un minimo di ricerca e ci metto poco a rilevare che le parole di Carmen sono prese paro paro dall’intervista di un certo Alberto Macis, medico coordinatore regionale antidoping della Federazione medici sportivi sarda. A parte che lui ne parla a «chi si sottopone a sforzo» ma resta una sonora puttanata ed è, ovviamente, l’unico a dirla sul globo terracqueo. Il problema è che un medico pistola batte le ali in un punto qualsiasi della Sardegna e le Carmen di tutto il paese, vualà, girano col naso fuori dalla mascherina. Il che, per venire al punto, mi dà un certo fastidio perché espongono me a un certo grado di rischio superiore. Se vogliono evitare l’alcalosi a casa loro, lo facciano. Per fortuna, per ogni Carmen c’è uno Jacopo che le risponde: «Ma che cazzo dici… mica ti sei infilata in uno scafandro da palombaro (…). La maschera è traspirante, un filtro tra l’aria esterna e quella che respiri». La discussione poi prosegue perché Carmen non è convinta – lo so, ma mi diverte – e stanca a un certo punto chiede: «E allora cosa respiri?» (il punto interrogativo è un mio omaggio) e Jacopo, altrettanto stremato, butta lì un: «Cotognata e scaloppine al limone. (…) Ma Cristo (…) aria cazzo» (il tutto in maiuscolo perché sta gridando). Grazie, Jacopo. Direi anche: #andràtuttobene.

Finita la parte di servizio di pubblica utilità (ora potete con maggiore consapevolezza mandare affanculo quelli con la mascherina calata), che resta da dire sul giorno? Il novanta per cento dei nuovi contagiati italiani sono in Lombardia, il che dovrebbe indurre ancor più alla cautela, e la situazione al centrosud pare congelata, in effetti, ma credo ci metterebbe ben poco a scongelarsi in caso di riapertura sciagurata, con le conseguenze che possiamo solo immaginare. Però i dati complessivi sono sempre più in calo e qua e là si festeggia la chiusura di qualche improvvisato reparto covid-19. Se la Lega fa casino, il movimento 5 stelle non è da meno e, in assenza di Di Maio, che forse non è stato avvertito, ci pensa Di Battista, ricomparso, a creare confusione sul cammino del governo Conte, votando a casaccio con quella che a tutti gli effetti è ormai la sua corrente. Il fatto che venga definito «sciacallo» da alcuni dei suoi compagni di movimento la dice lunghissima. Saviano scrive un articolo dei suoi sugli errori della gestione lombarda, CL risponde e muove schiere di giovani infermiere di belle speranze che ribattono allo scrittore con i buoni sentimenti, Salvini perde un’altra ottima occasione per tacere, Saviano controbatte e la cosa prosegue. A sinistra, come sempre, si irritano per Saviano (che simpatico non è) e perdono di vista la questione. Come con Renzi che, però, è qualche ora che tace.
Tra sciacalli, cani sfruttati per uscire di casa, gatti infettati dal virus, anatre a passeggio avvistate a Parigi, Roma, Faenza, Padova e Sirmione, a Firenze addirittura entrano in farmacia, i cervi in Abruzzo girano per le strade tranquilli, volpi politiche e non che appaiono in ogni città, tutti animali che c’erano anche prima ma loro erano meno sfacciati e noi più indifferenti, spicca in positivo il delfino che pare si avvisti in ogni parte d’Italia nelle acque sempre più caraibiche del paese, il quale nuota giocondo e felice per le nuove condizioni dell’habitat e indifferente alle nostre disgrazie. Sarà perché è un animale intelligentissimo e, come dice Luttazzi, non gli è mai venuta voglia di presentare «Porta a porta».

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Un commento su “minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 43

  1. Il pozzo e il pendolo

    L’essere umano, si sa, è uno strano animale, con qualità tutte sue.
    Mi rendo conto che questa sia un’ovvietà e che lo stesso possa dirsi sostanzialmente non soltanto di tutti gli animali, ma anche di tutti gli esseri viventi e probabilmente anche degli oggetti inanimati: dal delfino che oggi nuota commuovendoci nel porto di Cagliari alla stella alpina sul sentiero di montagna, dalla pepita d’oro nella miniera del Klondike al super buco nero al centro della galassia. Nondimeno, essendo antropocentrici per natura, per noi le persone, con le loro caratteristiche e le loro esigenze, risultano proporzionalmente più importanti delle tante altre cose che popolano l’universo.
    Nei giorni scorsi, lamentando spesso la carenza (quantitativa e soprattutto qualitativa) di informazioni relative all’italica gestione del covid, ho presupposto l’umano bisogno di conoscere, che poi da un certo punto in avanti si è trasformato anche in uno specifico desiderio di corretta conoscenza, di un conoscere cioè supportato da una metodologia “scientifica”.
    Oggi, sempre pensando ai comportamenti e alle reazioni della gente in questo periodo, mi sono ritrovato a riflettere su un’altra caratteristica, non meno importante e per certi versi anche contrapposta alla prima, dell’uomo e della donna che viene in rilievo in questo periodo: il bisogno emotivo di essere rassicurati. Da qui la popolarità dell’#andràtuttobene, anche a dispetto delle evidenze più clamorose, da qui il rifiuto di considerare gli scenari più foschi, da qui la volontà di riaprire “e poi si vedrà”, da qui anche la speranza talora prossima alla distorsione cognitiva che da tutto questo si debba uscire in qualche modo necessariamente migliorati: ex malo bonum. In particolare, adesso che più di quaranta giorni sono trascorsi dall’inizio del lockdown, vogliamo un po’ tutti essere rassicurati circa il fatto che a breve potremo uscire, riappropriarci per lo meno di alcuni spazi della libertà che ci è stata sottratta, non piombare nella recessione più cupa, tornare a rivedere gli amici e a brindare nei ristoranti.
    Credo che non ci sia niente di male nel riconoscere il bisogno di essere rassicurati. Di fatto, consiste semplicemente nell’ovvia ammissione che, tra i nostri molti sentimenti, c’è posto anche per la paura e per l’esigenza di superarla.
    L’istanza del ben conoscere e quella dell’avere pace emotiva, beninteso, non sono in necessario conflitto. Nulla vieta che la (corretta) conoscenza possa rassicurare, insomma. Tuttavia, la conoscenza di per sé non offre garanzie in tal senso: così come può confortare, può anche atterrire o ancora risultare neutra nell’una o nell’altra direzione. L’importante è non confonderle e soprattutto di non utilizzare l’una come strumento di realizzazione dell’altra: qualora voglia ricercare la verità, avrò verosimilmente in sospetto le informazioni troppo rassicuranti; se viceversa il mio obiettivo sia la tranquillità, certe informazioni non dovrei proprio ricercarle, oppure mi limiterò a quelle opportunamente predisposte ad usum Delphini.
    Ma le cose, purtroppo, non sono così semplici. Proprio il covid, infatti, attesta che le persone sono mosse da entrambe le finalità e che tendano anche a perseguirle contemporaneamente: anche chi voglia correttamente informarsi, dunque, in fondo desidera ricevere conforto dalle informazioni che raccoglie; e anche chi abbia come obiettivo prioritario di essere rassicurato desidera che supportare questo suo desiderio di elementi che abbiano per lo meno la parvenza di dati plausibili.
    Da qui un groviglio di contraddizioni dove trovano posto sia le sequenze di farmaci miracolosi, test e vaccini dai quali avremmo già dovuto essere di fatto sommersi, sia le fake news complottistiche, che pur alludendo a oscure trame umane come causa di tutti i nostri mali strizzano comunque l’occhio a un possibile rimedio (“svegliatevi e sarete liberi!”).

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