minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 99

Siamo agli sgoccioli: a novantanove giorni dalla chiusura della Lombardia e a novantatre dall’inizio di questo diario, le cose procedono su due binari poco paralleli, uno di normalità e uno di anormalità, si intersecano di continuo, condizionandosi a vicenda, domani riaprono teatri e cinema ma la mascherina resta obbligatoria almeno fino al trenta giugno, i voli aerei possono viaggiare pieni purché il ricambio dell’aria sia efficace ma fuori dagli aerei restano immutate le prescrizioni di distanziamento, due metri fuori ma uno nei ristoranti, uno e mezzo nei luoghi che cominciano per ‘c’, nel mondo la pandemia galoppa ma in Europa no, avendo noi cominciato prima, insomma la vita normale ha tracimato dentro l’emergenza, per fortuna, anche se la normalità, purtroppo, si porta dietro la farsa Di Battista. Mille volte meglio una normalità sbilenca e sguaiata che l’emergenza fatta di strade vuote e diari scritti dentro casa chiedendosi che sarà. E se normalità dev’essere, allora sia, i diari tornino personali, registrazione di fatti comuni, si parli anche di altro, magari di più edificante e piacevole, divertente, ognuno riprenda la propria direzione e i propri interessi, ognuno si sposti dove crede e interpreti l’estate imminente come desidera. Due mesi, marzo e aprile, in cui ci siamo stretti tutti, ci siamo tenuti compagnia e ci siamo parlati come bisognerebbe fare sempre ma che non si fa, perché?, abbiamo parlato tutti delle stesse cose per cercare di capire e prevedere, per non aver troppa paura, un curioso periodo in cui tutti sono stati disponibili, ogni telefonata è andata a segno, ciascuno ha avuto un sacco di tempo, le lamentazioni sono state messe da parte, andiamo avanti con la Fase 3, o 4, non so bene dove siamo. Se dovessimo tornare alla Fase 1, e si spera di no, con tutto il cuore, si tornerà anche ai diari e alla registrazione del presente per non dimenticarsi. Non vuol dire che non continueremo a parlare della pandemia e di ciò che si porta dietro, direi che lo faremo in maniera meno strutturata e puntuale, esattamente come stiamo già facendo nella quotidianità. Il virus, da cui anche il titolo di questo diario, è stato fin dall’inizio una disgrazia, una menata colossale, una sciagura, quindi il fatto che ora passiamo oltre è solo positivo.

(Cecilia Fabiano/ LaPresse)

Per come la vedo io, ora, non siamo andati bene nella gestione della pandemia. Abbiamo ignorato per alcuni mesi i segnali, chiarissimi, del contagio, in nome dell’idea che «tanto da noi non può accadere» e che «non si può mica chiudere un paese» – ora lo sappiamo: si può – causando un vero disastro: oltre trentamila morti in Italia e, secondo uno studio dell’Imperial College di Londra pubblicato in questi giorni, se l’Italia avesse attuato il lockdown anche solo una settimana prima si sarebbero potute evitare ben tredicimila vittime. La risposta al contagio, a quel punto in emergenza, è stata medievale, nel senso che non è stata diversa da quella della peste del 1348: siamo scappati in casa. Non abbiamo mai avuto un’altra opzione, razionale, scientifica, perché non ci avevamo mai pensato prima, perché i nostri piani al riguardo, quando esistevano, erano teorici, ridicoli, insensati, e quindi abbiamo dovuto fare l’unica cosa, a quel punto, possibile. Nasconderci. Avrei voluto un approccio aperto, pensato, sistematico, come cerco di affrontare ogni cosa della vita e invece no, non eravamo pronti. Speriamo di esserlo ora, almeno di più, speriamo di aver messo a fuoco qualche procedura più utile. La maggior parte delle persone preposte alla gestione della pandemia, elette invece per gestire al massimo qualche appalto stradale e qualche fornitura di attrezzature, si è rivelata del tutto inadeguata e le scelte sbagliate questa volta hanno avuto come conseguenza diretta i morti, non pastoie burocratiche. Non «ci sono stati degli errori», come dice Fontana oggi, è stato un disastro. Può anche nominare un suo gruppo di lavoro «che entro metà agosto indicherà le cose da fare e quelle da evitare», ottimo modo per rimandare a divinis qualunque ragionamento, ma i fatti restano. E ci è andata bene, sia che il contagio si è fermato grazie alla quarantena sia che, per il momento, l’infezione pare essere meno violenta e aggressiva, nonostante noi non abbiamo messo in azione alcun tracciamento né altra indicazione fondamentale per il contenimento di cui si è tanto detto negli ultimi mesi, se non metterci una mascherina, nemmeno tutti, e sperare in bene. Amen, medievali anche qui, anche se il termine è davvero improprio, a favore del Medioevo e sfavore nostro. Il piano al momento pare sia stare a vedere e se torna il male cattivo richiudere tutto. Di solito, osservare un incendio per vedere da che parte tira il vento non è una grande idea ma tant’è, di solito siamo fortunati.

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Un commento su “minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 99

  1. Arrivederci

    Domani riaprono i confini nazionali e all’interno di essi non tutto, ma certamente molto finisce in farsa. A guardare i giornali di oggi c’è l’intero repertorio: Renzi che risponde a Di Battista con le consuete battutine, il calcio che ritorna a deliziare gli italiani con la coppa Italia dove il Napoli raggiunge la Juve in finale, le polemiche sulle statue imbrattate, le risse in discoteca del fine settimana (discoteca poi? Ma il distanziamento lì come lo fanno rispettare? Per non parlare delle risse, che a distanza è difficile farle…), l’esercito polacco che invade per sbaglio la Cecoslovacchia, il dibattito trentennale su come riformare il CSM, l’immancabile “pippone” domenicale di Scalfari.
    Non dirò che “era meglio morire da piccoli” però dico che almeno nel periodo del covid a questo schifo mi ero un attimo, piacevolmente disabituato. A proposito, il rapporto tra tamponi effettuati e nuovi casi di positività in Lombardia sta andando maluccio negli ultimi giorni, ma #chevveloficoaffare? Persino quelli che si dichiarano più cauti vanno a mangiare all’agriturismo e vedono gli amici, sicché a questo punto la questione si semplifica anche per me. In settimana conto di fare, come gesto di responsabilità, il test sierologico e nel caso più probabile mi butterò nella mischia con la serenità del provvisoriamente negativo. Qui in Lombardia mi sembra un buon punto di partenza, insieme alla app, per provare a tracciare i possibili casini per lo meno con un certo grado di sicurezza da un certo momento in avanti.
    Delle varie speranze di cambiamento che questa esperienza aveva innescato non saprei davvero ad oggi cosa sia rimasto. È naturalmente ancora presto per fare bilanci, non foss’altro per la buona ragione che l’emergenza, a differenza di questo diario, non è ancora finita, ma io non sento parlare di rivoluzioni ambientali, di cambiamenti nello stile di vita, di svolte antropologiche nel senso di una maggiore consapevolezza. Comprensibilmente, ma solo fino a un certo punto, la spinta è stata finora quella di recuperare il tempo perduto facendo esattamente quello che si faceva prima, solo un po’ di più o un po’ di meno a seconda della personalità di ciascuno, della propria disponibilità a rispettare le regole o a infrangerle e naturalmente dell’efficacia (da un mese e mezzo pressoché nulla) delle sanzioni.
    Non avendo nutrito reali aspettative, non ho neppure titolo adesso per essere deluso. Però ammetto un pochino di averci sperato. Ho sperato che la consapevolezza, favorita se vogliamo anche in modo assai brusco dal covid, circa il fatto che le esigenze individuali potessero sensatamente essere posposte a quelle collettive riuscisse a far scattare un meccanismo collettivo virtuoso che andasse al di là dei flashmob sui balconi a intonare l’inno nazionale e le canzoni per gli angeli in camice bianco. Mi sarebbe piaciuto che tutto quello che di tragico e di traumatico abbiamo vissuto non fosse rimosso così rapidamente dal nostro orizzonte intellettivo (in quello emotivo, purtroppo, rimarrà, facendo danni), ma che fosse da stimolo per produrre insieme qualcosa di migliore del modello di società e di individuo dal quale eravamo partiti e nel quale ancora siamo saldamente immersi. Dico che ci ho sperato, non che ci ho creduto. Ma ci ho sperato perché non penso che i singoli – da singoli, agendo solo secondo coscienza – che la possano fare a cambiare il mondo e che in fondo sarebbe anche ingiusto pretenderlo da loro, però adeguatamente stimolati da un evento che ci rende palesi quanto in certe circostanze siamo davvero per molti aspetti “sulla stessa barca”, forse… vedremo, la partita non è ancora finita. Al momento vince ancora Wittgenstein: “non esiste altro mondo se non il tuo mondo: se vuoi migliorare il mondo, devi migliorare te stesso”.
    Arrivederci.

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