UE: i blu e i rossi

La cosa interessante, tra l’altro, è che tra i più ostinati oppositori all’Europa unita ci sono le nazioni che ricevono più soldi, ovvero hanno il saldo più favorevole tra quanto dato e quanto ricevuto. L’Irlanda, voglio dire. Le ragioni sono molteplici e parecchie di abbastanza facile comprensione ma ciò nulla toglierebbe al piacere di prendere un po’ a calci nel culo gli euroscettici polacchi e ungheresi. E anche i belgi, ma quella è una cosa mia.

«pidocchi ci chiamavano a noi sloveni»

È morto Boris Pahor. Ultracentenario, conobbe il successo e il riconoscimento del valore di ciò che raccontava ben dopo i novant’anni, in Italia, e qualche anno prima in Francia. Necropoli è un libro di memorie importante, scritto in maniera magistrale, l’ho letto come tutti dopo il 2008, quando lo abbiamo scoperto. Per questo lascia un po’ straniti Rumiz che oggi definisce Pahor «lo scrittore del secolo», avrà le proprie ragioni, per fortuna è vissuto abbastanza per vedere riconosciuta la propria opera. Era sloveno ed era uno che non taceva, molte cose si spiegano anche così.
Il fatto che lo stesso giorno in cui Pahor se ne va alcuni criminali vandalizzino la tomba di Alfredo Rampi ricoprendola di svastiche mi dice una cosa sola, la solita: nulla è mai acquisito, la memoria va alimentata ogni giorno. Niente di nuovo, continueremo a farlo, è di certo davvero un peccato insensato che persino Pahor non lasci un segno indelebile nella coscienza di tutti.

forse la mia prima volta

Forse stavolta non andrò a votare.
Mi riferisco ovviamente ai referendum del prossimo 12 giugno. Dico forse perché sarebbe la prima volta e, per quanto profondamente infastidito, magari non ce la faccio a non andare, troppi anni di cultura del voto civile. Però è dura. Perché, vivaddio, ricapitolando alla brutta: separazione delle carriere (tra giudici e pm), custodia cautelare durante le indagini, legge Severino – incandidabilità dopo la condanna, pagelle ai magistrati, riforma del Consiglio superiore della magistratura (Csm). Ovvero, in gergo tecnico così:

Novantadue righe incomprensibili, ed è quello più significativo, sappiamo pure come andrà a finire. Le pagelle? PAGELLE? Ma son questi argomenti da sottoporre a referendum? Oh, attenzione, abbiamo votato sulle piattaforme di perforazione come su argomenti di grande inutilità a largo spettro, non è che siamo di primo pelo, ma santoddio, possibile? Non solo nessuno ha la minima coscienza delle domande e delle implicazioni connesse a una scelta, ma son cose che spettano al parlamento e a chi ne ha competenza. E che la proposta Cartabia tolga qualche referendum da qui a metà giugno non ha alcuna importanza, la sostanza resta: i referendum sono una cosa importante e non andrebbero usati per questioni di lana caprina o tecnicismi di categorie che non riescono altrimenti a gestirsi. Eddai, porcocane.

quarantottesimo ventotto maggio

Quarantottesimo anniversario della strage, anche oggi in piazza.

Sole, piazza abbastanza piena, non come dovrebbe essendo anche sabato. È che gli anni passano, poi non ci sono più gli operai e quei pochi che ci sono votano di là, i partiti non costituiscono più forza attiva nel paese e, comunque, preferiscono diluirsi sullo sfondo, un po’ di sindacati, rappresentanze di decine, qualche scuola volonterosa, cittadini più che altro.

Ma son cambiate tante cose, una relatrice dopo la commemorazione apre con una frase di Moro, fino a pochi anni fa sarebbe stata sommersa dai fischi. Forse non in peggio, chissà.

il 23 maggio trent’anni fa

Uno dei giorni più neri dei miei vent’anni.

Ricordo come fosse ora come mi sentii. Eravamo sull’onda dell’entusiasmo per mani pulite, forse non saremmo morti democristiani, tutto stava cambiando, forse l’immutabile sarebbe mutato, avevamo vent’anni e a differenza di altri avevamo l’età giusta per cambiare. E invece no, saltò l’autostrada, crollò tutto, la fiducia, la giustizia, la speranza per questo cazzo di paese, e pensai, come tanti altri, che no, non ce l’avremmo fatta.

Botticelli’s birth of Bananarama’s Venus

Per cominciare, questo è un vero colpo di genio:

Non bisognerebbe nemmeno spiegarle certe cose, talmente sono azzeccate. A ogni modo, per chi avesse vissuto sul cucuzzolo della montagna del sapone a ragionar del senso della vita con la fede e la scienza negli ultimi cinquant’anni, qui si tratta di I want to break free dei Queen mescolata a Sweeping It Under The Carpet di Banksy, e la mistura è riuscitissima, bravo Q4nobody.
L’occasione è stata un concorsello estemporaneo, di quelli che se ne fanno a bizzeffe in certi angoletti di rete, il cui tema era Musicians in art, che un po’ si spiega da solo. Altri esempi graziosi, anche se a parer mio meno riusciti dell’eccellente qui sopra, potrebbero essere questo, di Andy_R:

Ovvio, è una tubular bell. Ottimo anche il Virtual Arnolfini di Dr.Dunno, ed è ovvio che il nesso è il cappello:

Come non menzionare anche il magnifico Bridge Over Tribbled Waters di plankton?

La Grace Jones in Nefertiti di Slave To The Rhythm di Octo:

E per chiudere il Bananarama di 2kindsofherring che unisce in un ottimo cortocircuito il disco, la banana situazionista di Cattelan, il tizio che si è mangiato la banana che al mercato un altro tizio comprò:

Se ci avete capito delle cose, allora vi sarete divertiti e avete una manciata di ottimi dischi, album o artisti da ripigliare in mano. Se non ci avete capito granché bon, a posto, mica è successo niente.

al festival di arte urbana di B-Milano

Quando la mia città incontra la cultura di solito qualcuno si fa male.
La cultura, di solito.
Mi parlano di un festival di arte urbana, il LINK – nuove strategie culturali per le periferie, organizzato da un’associazione culturale che si occupa della «valorizzazione visiva di architetture pubbliche e private attraverso progetti mirati legati al mondo della street art», non che mi aspetti Banksy ma vado a vedere.
Ecco cosa vedo:

Ahah, vi prego, basta. Mi arrendo, esco con le mani alzate e fate di me ciò che volete.
Ed è tutto un bellissimo, bellissimo, geniale e provocatorio. Io qui dovrei fare una salace battuta per chiudere ma non mi viene, devo prima andare a ritrovare la mia gioiadivivere e certe mie parti molli.

le allegre nonché inutili guide turistiche di trivigante: creare l’illusione della regolarità a Vicenza

Ogni volta che mi capita, vado a Vicenza. Perché sia che si insegua un sogno pigafettiano, sia che ci si voglia lustrare gli occhi con la perfezione olimpica del teatro, sia che si sia palladiani come me, sia che si abbia quel desiderio di gatto al palato, ecco, la destinazione vale il viaggio.
Ma siccome queste sono le mie “guide inutili” – ovvero per le indicazioni vere arrangiatevi, in giro c’è un sacco di gente che sa le cose – a me interessa parlare qui di una cosa specifica a Vicenza. Vado.
Se a certe persone l’afflato al cibo viene improvviso e dirompente e bisogna provvedervi d’urgenza causa rischio morsi, così viene alla mia amica C. e in poco troviamo un posto dove mangiare; sul muro di fronte, c’è questa bombolettata di street art che rimanda, direttamente e con evidenza, a un altro posto di Vicenza.
[Ah, se la vedete, di fronte si mangia molto bene].

Esatto, la basilica. La basilica palladiana. Ricordando che la basilica nasce come edificio civile, là dove si trattano gli affari, i commerci e le dispute giuridiche, e che tale è a Vicenza, eccola in tutta la sua sfolgorante e angolare bellezza nella mia foto:

Ora mi tocca spiegare un paio di cose, se no non si capisce. La basilica palladiana era prima il palazzo della Ragione, ovvero un edificio medievale di mattoni, con logge a volte, al cui primo piano stavano botteghe e al secondo un’enorme sala di ispirazione veneziana per l’amministrazione della giustizia e le trattative commerciali, il tutto un po’ sghimbescio e irregolare, tant’è che ci passava una via in mezzo, prima, essendo frutto di sovrapposizioni di secoli. La tipologia è presente in molte altre città della pianura padana, l’esemplare più eccellente è a Padova.
Bene. Al volger del Rinascimento, ai vicentini come a tutti gli altri gli vengono un po’ a noia le forme medievali, quei mattoni sghimbesci, quelle finestre una alta e una bassa, quelle volte un po’ dirupate e anche scassine, a dirla tutta. Allora, e la faccio brevissima, ci pensano su più di un secolo, coinvolgendo fiori di architetti, cominciando in un modo e poi cambiando idea, a un certo punto ne crolla pure un angolo, finché un ancora poco noto Andrea di Pietro della Gondola poi Palladio presenta un progetto che viene approvato, grazie anche al caldeggiamento dei maggiorenti della città, leggi Trissino e Valmarana.

L’idea è dotare il palazzo della Ragione di un involucro esterno di marmo che regolarizzi le forme e laddove sia impossibile farlo, che dia l’illusione che lo siano. Mica si può tirar giù tutto e ricostruire, costa un sacco di sghei. E Palladio sa cosa si può usare in questi casi: la serliana. Che è quell’elemento formato da un arco a tutto sesto affiancato a destra e sinistra da due aperture con un architrave sorretta da due colonne (o due coppie, vedi Palladio). E che nonostante abbia il nome di Sebastiano Serlio, architetto classicista del Cinquecento, è in realtà un elemento architettonico romano e bizantino, a Spalato al palazzo di Diocleziano si possono vedere. Ecco le serliane d’angolo della basilica palladiana, dai Quattro Libri dell’Architettura:

E vualà, la basilica tutta bella regolare che ancora oggi è lì da guardare. Bravo Palladio.

Ma il trucco, l’ho detto, c’è. Ed è questo: la serliana mantiene immutato l’arco, ed è qui che avviene l’illusione e l’occhio si inganna, ma varia di volta in volta la distanza delle colonne dai pilastri, cioè la dimensione delle aperture laterali. Lo disegno che si capisce meglio:

Non ce n’è una uguale all’altra, le variazioni son talmente spinte che in alcuni casi, in un angolo per esempio, ha dovuto togliere i tondi, al primo piano, o devono essere mantenuti pieni per non indebolire la struttura, talmente è stretta, al piano terra.

Ecco, fatta la magia, è ancora lì da vedere, meglio se contemplare. Ed è fatta anche la guida, quel che avevo da dire l’ho detto. Quindi, baccalà.

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