minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 100

Cen-to cen-to cen-to! Gira la ruota. Direi che ci siamo, o quasi, con la fine di questo minidiario, le frontiere sono più o meno riaperte, l’Austria riaprirà domani, la Grecia chiede un test veloce (se sarete positivi dovrete però fare la quarantena di due settimane là, a spese del governo greco; dubito su una spiaggia o in una bella isola dell’Egeo, quindi fate bene i vostri conti prima di leccare una persona positiva), la Spagna rimanda di una settimana, la Gran Bretagna mantiene la quarantena, l’Islanda pure a meno che non ci si sottoponga a tampone ma, insomma, ci siamo quasi: la prigionia è finita. E siccome fin dal titolo, «minidiario dei giorni di reclusione», intendevo raccontare i giorni assurdi del lockdown, ora posso uscire, possiamo tutti, e andare a vedere com’è la fuori. Domani, per esempio, andrò a Venezia. Con il treno. Lo so, sono pure un po’ emozionato, perché dal 7 di marzo tutto ciò era proibito o se non lo era esplicitamente non lo si poteva fare comunque. Ora no, si può, seppur con cautela e con condizioni. Quali siano queste condizioni è tutto da vedere e io, modestamente, lo voglio vedere. Il tempo di chiudere un po’ di cose e vado. Poi racconto, per chi vorrà. Perché adesso viene il bello, adesso bisogna venirne fuori da tutti i punti di vista, adesso bisogna farsi venire le idee e, magari, non ricominciare come prima ma in un modo nuovo (o diverso, almeno). Perché se avevate un bar vicino a degli uffici e ora gli uffici lavorano da casa in smart working qualche idea bisogna farsela venire per forza. Se avevate un negozio di minchiate e ora le persone hanno meno soldi da investire nelle minchiate, qualcosa dovrete pur fare. Se prima eravate gli unici in città a produrre mascherine sanitarie e le vendevate a un sacco l’una, adesso serve cambiare registro. Se, purtroppo, avevate un lavoro e ora non ce l’avete più, mi spiace molto. Tocca ricominciare, ancora una volta.

Per esempio, ecco un brevissimo viaggio nella fantascienza più spinta: per agevolare la ripresa, in Germania hanno abbassato l’IVA. Abbassato. Sì. Anch’io non credevo fosse possibile, credevo fosse proibito per legge e invece no: si può. Non hanno fatto Stati generali per deciderlo, l’hanno fatto, per la comunità. Già vedo le spallucce e il sospiro, eh ma loro possono, eh lo so, ma mica per grazia divina, magari stanno più attenti al debito pubblico e alla corruzione, per dire una roba da ignorante. Vedremo. Nel frattempo, Immuni è attiva in tutte le regioni e io non ho ancora ricevuto nemmeno una notifica. Possibile che non ci sia nessuno che finga per vedere se va? A sera, pizza con familiari e amici nella stessa pizzeria dove avevamo mangiato l’ultima volta prima della reclusione forzata, un po’ per riprendere il giro da dove l’avevamo lasciato. Speriamo sia di buon auspicio e che non sia un’altra ultima volta. Domani e dopodomani un po’ di sospesi del minidiario, così come vengono.

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Un commento su “minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 100

  1. Un’estate italiana

    La Lombardia si accomiata da questo diario primeggiando come sempre ha fatto in questo periodo. I dati relativi ai nuovi contagi possono non essere incoraggianti, soprattutto se comparati col resto del Paese, ma certo non sono più così drammatici, e comunque oggi non vengono considerati preoccupanti abbastanza da divenire oggetto di conversazione e riflessione comune, se non in una compagnia di irriducibili “pesantoni”. Reintrodurre l’argomento del quale per tante settimane si è parlato in modo quasi esclusivo, magari anche solo per ribadire quelle cose che ormai dovrebbero risultare ovvie e acquisite ma evidentemente non lo sono, è percepito ora come molesto e anche un tantino fuori luogo. Basta! È arrivato il momento di voltar pagina, di scegliersi un nuovo orizzonte di discorso e una scenografia più lieta.
    Detto fatto. Sono passati trent’anni dalle “notti magiche” di Italia 90, rese indimenticabili dalla colonna sonora della Nannini, dai gol di un ispiratissimo (e altrettanto spiritato) Totò Schillaci e da una serie di mostruose speculazioni edilizie rese evidenti di lì a pochi mesi quando la metà degli stadi rimessi a nuovo iniziò – letteralmente – a perdere pezzi. Se ci ripenso mi rivedo piccolo, a seguire la nazionale più bella (e più forte) che abbia mai avuto modo di vedere, in un periodo vacanziero e felice che a sprazzi un po’ mi ricorda questi giorni divisi a metà tra pioggia e sole di questo strano giugno.
    Ecco, il clima della definitiva riapertura vorrebbe essere un po’ su questa falsariga: gli italiani che usciti da un’esperienza unificante finalmente diventano una comunità e insieme ritrovano la voglia di divertirsi, di appassionarsi, di lanciarsi “belli carichi” in una nuova “estate italiana”. Le premesse ci sono: grandi festeggiamenti per i cent’anni dalla nascita di Alberto Sordi, Salvini che va in visita a Gardone e che – circondato da una folla festosa refrattaria a mascherine e distanze di sicurezza – si lamenta perché sono ancora fermi i cantieri (?) della “autostrada della Valtrompia” mentre in altra sede il genial-generale Pappalardo annuncia il progetto di costruire un ponte dalla Sicilia alla Tunisia (ma perché non direttamente alla luna, a questo punto?).
    Se non proprio come allora (non ricordo tante cene fuori, ma le cene insieme sì) e come prima che questo diario iniziasse, ci siamo ritrovati “in famiglia” in una pizzeria all’aperto e, per la prima volta dopo tante prove, all’aperto siamo rimasti, nonostante un po’ di pioggia, piacevolmente. Mascherine un po’ sì e un po’ no, più no che sì, anche se poi a tratti, parlandone, ne è nato qualche blando ripensamento. È stato bello ritrovarsi e pensare che anche una cosa così effimera come una pizza (o un piatto di pasta) il lunedì sera possa regalare un sorriso o il tepore di un ricordo già l’istante dopo esserci salutati.
    Mentre scrivo penso anche a chi non era con noi a quel tavolo ma avremmo voluto che ci fosse. Non si tratta di una persona specifica e neppure di una sola persona, ma semplicemente di coloro che allora, in quell’estate italiana, hanno magari visto con noi il gol di Baggio alla Cecoslovacchia e che oggi vorremmo ancora vicino a noi, non soltanto col pensiero. Qualche volta mi è capitato di evocarli in sogno, dove mi stupisco di ritrovarli e intuisco che sarà per poco, ma comprendo – nel sogno – che anche quel poco è un regalo e che l’affetto non ha bisogno di molte parole.

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