Quando si dice ‘Venezia del nord’ è piuttosto vero, almeno per quanto riguarda il centro: difficile svicolare tra Tussaud’s, musei delle torture, localini hot e fumerie d’accatto, ristoranti italiani da mangia-quel-che-puoi, negozi di souvenir in cui troneggiano più che altro peni colorati e oggetti con foglie di marijuana, negozietti di superalcolici da asporto, crocierette con mobili bar al centro della barca, insomma tutta la parata possibile di trappolone per turisti. Per il resto no, a differenza la città è grande, soprattutto abitata e vivace invero. Non c’è quell’aria malinconica da tinta per i capelli che cola sul viso.
In effetti, Amsterdam è un’invenzione piuttosto recente, festeggia ora i settecentocinquant’anni dalla fondazione. Perché una volta qui, ragazzo mio, era tutto mare. Poi alcuni intraprendenti strapparono la terra al mare chiudendo certi varchi sabbiosi a nord e grazie alla concomitante decadenza di Anversa prima e di Delft poi una modesta città delle province settentrionali divenne ricca e prosperosa. Il ‘dam’ del nome è appunto la diga. Poi periodi di grande successo, commerciale e artistico nel Seicento, coloniale e imprenditoriale poi, di nuovo artistico e architettonico tra Otto e Novecento. Certo, le Fiandre sono più fini, questo è certo. Qui è il posto dove Chet Baker muore poco in sé, ed era qui per lo stesso motivo di molti.

Dunque, può essere l’occasione per esplorare parti della città che non ho mai visto e che non si vedono mai. Per esempio, il Zuid, un’ampia parte residenziale senza troppi canali, verde e ben abitata, ricca di negozi e locali accattivanti, attraversata dall’Amstel. Eh sì, c’è un fiume in città e pure bello grosso che diventa indistinguibile a un certo punto dai canali del mare. È grazie a quello se ci sono certi pond coltivati a rettangoli regolari in questa parte della città, appena a nord dell’arena dedicata a Johan Cruijff in cui gioca l’Ajax. Oppure a est, arrivo fino a Flevopark, oltre Zeeburg. Qui la situazione è diversa, pur residenziale ma di case di meno pregio e abitate, mi par tutte, da immigrati. Oddio, non ho la consapevolezza per distinguere le generazioni di immigrati qui, quali di prima o più generazione, se da colonie o ex o invece da altri paesi. Di sicuro ci sono indiani e pachistani, molti negozi sono loro, alternati a qualche giovane nederlandico che propone bagels e felicità, il candido. Tutta la faccenda pare più abbordabile dal punto di vista economico anche se, a differenza di anni fa, ora il fatto che i nostri stipendi non si siano alzati in relazione all’inflazione si sente, eccome.

Se il Rijksmuseum è sempre un gran piacere, basterebbe la galleria centrale con i Vermeer a sinistra, gli Hals a destra e la Ronda in fondo, dritta, stavolta sono andato per la prima volta al Van Gogh museum, sempre sulla spianata dei musei. Non che abbia nulla in contrario, per carità, anzi ne apprezzo il tratto straordinario. Dico che però è uno che si capisce, cioè non serve uno sforzo sovrumano per cogliere gli aspetti principali della sua pittura, basta studiare e vedere qualcosa. Quindi non ho mai anelato l’approfondimento, sono sincero. Stavolta ho i biglietti per i motivi detti, ne ho ben cinque, vado una volta. Bella la struttura, belli anche molti dei dipinti, specie dei primi periodi, diciamo fino ad Arles. Difficile parlare di ‘primi periodi’ per uno che è vissuto trentasette anni, in effetti. Comunque, i più noti sono a Parigi, i girasoli vari, le notti stellate, i campi, qui ci sono quelli prima; che non sono niente male, per carità, descrittivi, tratto che comincia a diventare peculiare. Una volta ne vale la pena, senza troppo rapimento mistico, ecco.

Diciamo che Van Gogh rientra nelle categorie apprezzate nei nostri tempi, quelle dei genii irregolari ed eclettici, tutti genio appunto e sregolatezza per come ci piace descriverli e catalogarli oggi. Leonardo, Einstein, Caravaggio con i suoi contrasti, van Gogh e i suoi colori, il manicomio e l’orecchio. Ovviamente non è così, vedi il detto del novantacinque per cento del sudore nel cosiddetto genio, ma importa poco: è uno dei nomi che richiama folle e visitatori in ogni dove, al solo nominare. E di conseguenza, vengono ideate mostre farlocche dai titoli evocativi, per esempio: ‘Lo stupore da Nefertiti a Van Gogh’, che sottintendono quattro opere già in magazzino e il resto fuffa. Furfantelli.
Bene, anche stavolta il mio giro è finito, piglio su le mie cose e torno a casa, che a breve ne ho uno davvero bello, un bel progettino da tre giorni che non vedo l’ora di fare. Al parcheggio trovo l’auto segnata da un ignoto le cui capacità, evidentemente, non sono al livello tecnico del parcheggio, e ciao biglietto o altro. È un periodo in cui gli altri interferiscono pesantemente con me, spesso in forma anonima, non so che dire. Mi porto a casa e con me comunque la soddisfazione del giro. Grazie a chi ha seguito.