Sabato scorso in un bel parco sul Po a Cremona per sentire gli Offlaga Disco Pax dopo tanto tempo, dalla morte di Enrico Fontanelli.
Sempre loro, due almeno, un repertorio cristallizzato non solo dalla sospensione delle attività ma dal tempo e dalla Storia, mi chiedo che ne capiscano i venti-trentenni che vedo tra il pubblico, sarà come sentire Barbero che canti del medioevo.
Ma lo scopo della serata, raggiunto, era di farsi spaccare la faccia da The Bloody Beetrots.
E così è stato, quasi del tutto. Bel festival, complimenti.
‘We did not live up to our Christianity’ si scusano le suore del Buon Soccorso dell’infame Tuam Home all’apertura di quella che pare proprio essere una fossa comune con oltre ottocento bambini sepolti nel giardino della loro casa di ricovero per donne immorali. Si scusano inutilmente e tardivamente. Le Case Magdalene, attive fino a pochi anni fa, erano gestite da ordini religiosi per conto del governo inglese e irlandese, giova ricordarlo, e si occupavano delle donne non rispettabili secondo la morale, ovvero madri nubili, donne o ragazze troppo avvenenti o troppo brutte, vittime di stupro e così via, che in nome di una presunta riabilitazione venivano messe a lavorare nelle famigerate Magdalene Laundries, catene industriali di lavanderia all’interno degli istituti religiosi che procuravano grandi profitti agli ordini e grandi sofferenze alle donne e ai loro figli. Che, spesso, venivano soppressi.
E allora quando nel 1992 Sinéad O’Connor in diretta al Saturday Night Live stracciò una fotografia di Giovanni Paolo II dicendo: «fight the real enemy» per protestare contro la chiesa cattolica per denunciare anche questo tipo di abusi chi aveva ragione?
Fu massacrata, fu un coro quasi unanime di condanna, la sua carriera rovinata, lei insultata per strada – fortuna non c’era la rete – e nei suoi affetti, un vero disastro. Mi alzai in piedi quando la vidi, non ci potevo credere, e l’ammirai molto per il coraggio. Ma no, i benpensanti tutti a dire che no, la disadattata aveva parlato a vanvera. Attaccata a giudicata da quegli ipocriti stronzi che poi nel privato delle case e delle canoniche facevano le cose più immorali e indegne, furono devastati i suoi affetti, le sue opere, il suo lavoro e la sua vita privata. Ci vollero nove anni, nove!, da allora perché Giovanni Paolo II riconoscesse gli abusi sessuali all’interno della Chiesa, maledetti, Madonna non perse occasione per guadagnare visibilità alle sue spalle, ipocrita pure lei con quel tanto di nome. Lei sì, oscena. Sinéad O’Connor disse poco tempo dopo: «Everyone wants a pop star, see? But I am a protest singer. I just had stuff to get off my chest. I had no desire for fame» e io la elessi a mia guida. Se mi avesse detto di lasciare tutto e andare a guidare una tribù di Ubangi nel deserto, probabilmente l’avrei fatto. Poi disse che quel gesto così contestato in realtà la rimise sulla giusta carreggiata: «I feel that having a No. 1 record derailed my career and my tearing the photo put me back on the right track». E allora, stronzi? Chi diceva il vero?
Raoul Hynckes, Self-portrait, olio su tavola, 1928. Si trova al Museum MORE di Gorssel, in Nederlandia. Un magnifico autoritratto, a parer mio, che ho scoperto per caso andando a vedere una mostra stupenda sul realismo europeo del Novecento e i suoi movimenti a Chemnitz un mese fa. Hynckes, pittore olandese di origine belga, cominciò come impressionista per poi virare su temi classificabili nell’ambito del realismo magico, non solo, e su paesaggi e marine apprezzabili. L’autoritratto, in generale, è uno dei soggetti più interessanti dell’arte, come lo è l’autobiografia, ed ebbe un periodo di particolare successo tra le due guerre in Europa di cui la mostra, peraltro, dava conto (oggi mi è arrivato il catalogo, ecco perché). I colori, il taglio, le ombre e le luci sono particolarmente riuscite in questo autoritratto di Hynckes che dà di sé una rappresentazione pacata e realistica, quasi tridimensionale. Secondo me è molto bello. Butto lì, tra i tanti contributi sul tema: Laura Cumming, A Face to the World On Self-Portraits, 2009.
Vado alla basilica di Superga, per la vista, per il Grande Torino, per vederla dentro, per la vista e, anche, per le tombe reali, quelle per cui i monarchici organizzavano visite di gruppo per novemila lire pullman compreso quand’ero ragazzino. Sono chiuse, confesso che non è che la cosa mi faccia versare calde lacrime, visito l’interno che, a parte la basilica e la cupolona juvarriana notevoli, non è che rapisca la mia immaginazione. Mi fermo però sull’invocazione esasperata del parroco, che ha fatto fare anche il cartello:
Lo ascoltano? Macché.
Anche dritto e storto, mica ascoltano questi.
Clito Poltronieri potrebbe essere il mio prossimo pseudonimo, niente male. E non lo ascoltano al punto o, anzi, forse sì, che scrivono anche sui muri di legno.
Dell’anno prossimo. In vendita in tutti i peggiori negozi di souvenir di Cara… Roma. È pur vero che il calendario dei preti bellocci è in vendita ininterrottamente e incorrottamente dal 2005 almeno, alcuni di loro ora avranno il girello. Nel frattempo, ancora una bella codona per entrare a Santa Maria Maggiore, basilica eccezionale in cui si entrava sempre quasi in visita esclusiva. Effetto tomba del papa.
Ieri ho sentito un bravo astrofisico divulgatore che mi ha spiegato che siccome il punto della densità infinita della materia del big bang non è che risponda propriamente a ciò che ora sappiamo, un modello che è stato proposto di recente e che potrebbe spiegare quel punto e altri, forse, meglio è questo:
il nostro universo sarebbe dentro un buco nero dentro un altro universo.
Ecco, a questo punto io saluto e chiudo, grazie a tutti, scendo che sono arrivato.
Vado a Carobbio degli Angeli per motivi miei e mentre parcheggio incappo in una pensilina. Anzi no, in ThaPensilina.
Che non è nemmeno una pensilina, è un luogo di culto. Culto di cosa, tutto da scoprire. Cercando di scoprire qualcosa in più compare un certo Nicola, misterioso, oltre al Ghilardi che è ovviamente il responsabile di tutta la faccenda.
Resto nei dintorni per vedere se mi venga, sai mai?, un afflato di fede, nel mentre leggo le recensioni del luogo di culto.
Ed ecco il misterioso Nicola, mentre Ghilardi ovviamente gigioneggia e mi è sempre più simpatico. Vediamo che dice nella recensione completa della ThaPensilina, cinque stelle:
E chi è Giacomo, adesso? Poi passa il tempo – era il 2023 – e ThaPensilina non è più luogo di culto, Ghilardi, Nicola e Giacomo non sono più lì, come non lo sono più io, sono certamente in giro per il mondo reale o a inserire altri luoghi notevoli in maps, chissà. Per fortuna io ci sono stato quando era un luogo incantevole e di culto, ricco di possibilità anche religiose.
Settimana scorsa ‘Aida’ all’Arena. Lasciate le piramidi zeffirellate, la messa in scena contemporanea di Stefano Poda ci è piaciuta, con la manona che si apre e chiude e la luna e sole volante, i pugni aperti e chiusi, oltre a costumi splendidi e molte variazioni sul tema.
Notevoli per un profano come me anche orchestra e solisti, che voci potenti. L’unica valutazione che farei è che, mentre Verdi usava la patina egiziana come pretesto per parlare di tutt’altro, Patria, libertà, indipendenza, fedeltà, con atteggiamento ovviamente colonialista e di appropriazione culturale ai nostri occhi, oggi non c’è alcun motivo – non potendo comunque modificare testo e ambientazione – di usare simboli complessi della cultura e religione egiziana a caso su costumi contemporanei, per esempio l’occhio di Iside stampato sulle vesti bianche e le teste di Ra indossate dal coro. Visto che tutto è rivisitato, non c’è bisogno di tali richiami, a parer mio. La cosa funzionerebbe lo stesso e striderebbe meno, direi.
facciamo 'sta cosa
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