minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 53

Oggi giornata di grande attività: cavi alla mano, si è trattato di rimettere in moto un’auto in cortile che nei cinquanta giorni aveva perso la scintilla. Grande fervore, cavi, motori, brum brum, pareva quasi una vita fa. Pure la pioggia a lavare le auto, una meraviglia. Una volta messa in moto, ho accluso gita dall’elettrauto (giustificazione: sia di necessità sia il mio codice ATECO che è tra quelli legittimati alla circolazione) e ho dovuto fare per forza qualche chilometro per ricaricare la batteria. Un giorno pieno di cose. Che stanchezza, a sera. Che succede, oggi? Fitch declassa il debito dell’Italia a BBB-, che è appena una tacca sopra l’umido per il compost, chiaramente reagiamo dicendo che non hanno capito. Il governo ha imposto un prezzo calmierato per le mascherine, cinquanta centesimi al pezzo, e le farmacie che le hanno pagate di più ora si rifiutano di venderle. Bene. Il percorso dell’app per il tracciamento ha finalmente preso una piega istituzionale con un, minimo ma necessario, controllo sui dati raccolti che, pare, saranno cancellati alla fine dell’anno. Va ben pur tutto, va bene l’emergenza, ma che una società privata tra i cui soci ci sono i figli di Berlusconi raccolga con un’app i dati sanitari degli italiani senza che si possa esprimere almeno perplessità, è davvero un po’ troppo. I sondaggi degli umori politici degli italiani dicono grande fiducia a Conte e discesa costante della Lega, data adesso al 25,6% suppergiù (qualcuno con una buona battuta ha detto: «la discesa del contagio»). Salvini sbanda e non sa come riconquistare l’attenzione, ci ha provato mettendosi gli occhiali, facendosi la barba, postando il video della figlia che suona, strepitando contro il MES, facendo il versipelle ancor di più e invocando prima la chiusura poi l’apertura poi la chiusura e poi l’assoluzione per infermità mentale ma a nulla sono valsi gli sforzi. Intanto, spalleggiandosi con l’amico e sodale Renzi, lavora a indebolire il governo ogni volta possibile. Anche la Meloni, certo, ma è la meno convinta dall’ipotesi di un governo di unità nazionale con dentro tutti. Ovvio, lei al governo ha solo da perdere. Se poi è costruttivo, manco dipinta.

Al di là delle critiche al governo – Confindustria accusa il poco coraggio, CEI come detto di non riaprire le Chiese, le categorie di far finire sul lastrico i commercianti – c’è una critica legittima da fare: la mancanza di un piano sanitario per la «Fase 2». Mentre si parla di «congiunti», di sport, di seconde case, nessuno parla di un piano organico che includa i tamponi e i test sierologici, nessuno comunica le forme di una condotta omogenea, o eterogenea su base territoriale, che con chiarezza esplichi quali saranno i prossimi passi per affrontare la pandemia. Forse, tra le priorità, certamente dopo i nostri amici cani e gatti e i le uscite dei bambini, se ne potrebbe parlare. Anche perché, a oggi, è del tutto oscuro quanto duri l’immunità (pare poco) e se sia possibile essere infettati nuovamente (sì) e qualcuno sostiene che il virus sia già mutato trentatré volte dalla Cina in poi. Quindi, prima delle gite al lago, forse bisogna affrontare altro. Per domani è attesa una circolare, vedremo cosa si dice. Al momento non è ancora chiaro di chi sarà la competenza e il dovere di stabilire delle nuove zone rosse in caso di nuovi contagi dopo il 4 maggio, se del governo o delle Regioni. Sarà il caso di capirlo, visto che pare sia uno dei cardini delle prossime strategie.

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Un commento su “minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 53

  1. Deliri regionali

    Da qualche tempo, ogniqualvolta un Presidente regionale la spara grossa su come sta pensando di “riaprire” di più o in anticipo rispetto non tanto alle altre regioni, ma a ciò che prevede la normativa nazionale, mi domando come mai il Governo non dica nulla, o comunque nulla di netto. Magari qualche esponente non tanto di spicco replica qualcosa, ma per lo più ci si limita a nicchiare e storcere il naso.
    Così, dopo le grigliate in giardino (dove sono finite poi?) che Zaia sembrava promettere per i ponti che si accingono a terminare proprio questo fine settimana, oggi arriva la notizia che la Presidente della Calabria, la forzista Santelli, avrebbe autorizzato già da domani “la riapertura dei locali con tavoli esterni, dei mercati e la ripresa degli sport individuali”. Quanto agli sport individuali, visto che sarebbero stati comunque ammessi a partire da lunedì, la misura sarebbe di per sé innocua propaganda. Afferma però un principio che pure è propaganda, ma nient’affatto innocua, vale a dire che le singole regioni potrebbero, all’occorrenza, disporre anche al di là e se del caso in contrasto con quanto previsto dalla normativa nazionale.
    Ora, la situazione delle fonti del diritto nella gestione del covid si è da subito profilata come un totale ginepraio, a partire da quegli atti di cui ormai oggi tutti conosciamo l’acronimo – DPCM: Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri – ma che fino a ieri erano studiati solo dai costituzionalisti di professione. I quali ultimi, aggiungo io, avrebbero spergiurato che mai e poi mai con tali decreti – al più fonti secondarie, più probabilmente atti amministrativi – si potessero sospendere libertà costituzionali, ma tant’è.
    Ad ogni modo, in questo simpatico casino non potevano mancare (e infatti fin da subito non sono mancate) anche le c.d. fonti locali, in particolare le ordinanze di Sindaci e di Presidenti regionali, che però inizialmente anticipavano le misure governative rendendole più stringenti e restrittive: ricordiamo ad esempio le ordinanze con cui i sindaci emiliani chiudevano i parchi e vietavano le corse, l’ordinanza di Bonaccini che istituiva Medicina come “zona rossa” o anche quella (purtroppo solo immaginata) di Fontana per chiudere la val Brembana.
    Dal punto di vista della forma, costituzionalmente questi atti regionali erano ancora più problematici di quelli del governo centrale perché, se al pari di questi andavano necessariamente a comprimere dei diritti fondamentali, si muovevano in forza di competenze ancora più discutibili e generiche in capo ai soggetti che licenziavano i relativi provvedimenti. Tuttavia, per lo meno dal punto di vista pratico, un’utilità l’avevano, ed era quella di poter reagire tempestivamente – nelle more di un intervento statale – a improrogabili emergenze più facili da percepire a livello locale.
    A questa logica si adattò, retroattivamente, il decreto-legge 25 marzo 2020, che al suo art. 3 (Misure urgenti di carattere regionale o infraregionale) prevede che “Nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri […] e con efficacia limitata fino a tale momento, le regioni, in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso, possono introdurre misure ulteriormente restrittive […], esclusivamente nell’ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale”.
    Dunque, sì alle misure regionali, ma (1) soltanto finché non sia adottato un DPCM (che ogni volta azzera tutto), (2) con riferimento specifico a un aggravamento del rischio sanitario sul loro territorio e (3) ulteriormente restrittive. Restrittive, non permissive. Per le regioni NON c’è la possibilità di allentare i lacci che il governo decide sotto la sua responsabilità di tenere stretti. E infatti anche l’ultimo DPCM 26 aprile 2020 lo conferma all’art. 10 (Disposizioni finali) quando al suo secondo comma dice “Si continuano ad applicare le misure di contenimento più restrittive adottate dalle Regioni, anche d’intesa con il Ministro della salute, relativamente a specifiche aree del territorio regionale”.
    Quindi Santelli giuridicamente vaneggia, violando il diritto e mettendo a repentaglio la strategia (va bene, parola grossa) del Governo della Repubblica. E il Governo che fa? La replica è affidata al Ministro Boccia (nomen omen) che ha subito l’idea giusta: “Propongo un metodo: ordinanze regionali coerenti con il Dpcm”. Secondo questa logica, la soluzione al problema della mafia sarebbe quella di proporle d’ora in avanti atti coerenti col nostro codice penale. La soluzione geniale è spesso anche la più semplice: vi sentite anche voi un po’ stupidi per non averci pensato prima, vero?
    Sarei ingiusto però se, a parziale ristoro dell’onorabilità del Boccia, non riportassi anche le parole al vetriolo pronunciate in videoconferenza ai presidenti regionali: “Se ci sono ordinanze non coerenti invio una diffida, una lettera con la scheda indicando le parti incoerenti e la richiesta di rimuoverle (solo in caso di allentamento delle misure)”. Insomma: rapido, efficiente e marziale. Solo a fronte di un ulteriore rifiuto si sentirebbe “costretto a ricorrere all’impugnativa al Tar o alla Consulta”. Me li vedo proprio tutti quei governatori versipelli rimessi in riga come scolaretti: there is a new sheriff in town.

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