e avanti con l’ETA

Che no, non è l’Euskadi Ta Askatasuna, che non esiste più dal 2018, bensì l’Electronic Travel Authorisation che non è propriamente un visto ma una previa autorizzazione (elettronica) a viaggiare che, proprio, funziona quando non c’è un visto. Autorizzazione che di solito si paga. La più nota è quella americana, l’ESTA, Electronic System for Travel Authorization, ma esiste da tempo anche in Australia, Canada, Nuova Zelanda, Sri Lanka, Hong Kong e dal primo aprile anche in Gran Bretagna. Appunto. Eccola qua, la mia:

Si fa con l’app o online, vale due anni, si lega al numero di passaporto e costa dodici euri e qualcosa. Siccome a fine mese io vado, son pronto. Ogni documento in più a me spiace, di principio, qualsiasi cosa si opponga alla libera circolazione delle persone, più che delle merci, cui siamo di solito più attenti. Noto or ora che questa pratica ha un qualche legame con paesi di stampo anglosassone, coloniale o diretto, probabilmente qualcosa significa, anche se non so esattamente cosa.
E poi? E poi anche l’UE, inutile scuotiamo la testa: dall’ultimo quarto del 2026 metteremo anche noi europei un’autorizzazione per tutti i paesi cui non richiediamo un visto, la nostra sarà l’ETIAS, il Sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (European Travel Information and Authorisation System), sempre più complicato, noi. Sette euro il costo, validità tre anni, c’è già il sito. Mmm.
Potevamo essere meglio? Eh, forse sì.

a Londra Musk non piace (un bar che ammette i nazisti è un nazibar, stacce)

La prima avvisaglia è stato un manifesto alle fermate degli autobus:

Non male. Ovviamente dopo il saluto che l’incauto ha fatto pubblicamente, nonostante le spiegazioni bislacche di autismo o meno. A Tesla è seguito X, ovvio, altro prodotto connotato pesantemente con l’uomo più ricco del mondo. Tra l’altro.

Sempre alle fermate, operazione non male. Poi è stata la volta dell’interno dei vagoni della metro, con un profumo, il Muschio di Elon, profumo di 1939, anche qui, per segaioli (wankers), per precisione.

Sempre nella metro, poi, è seguito un manifesto finanziario sulla perdita di valore delle azioni Tesla, perché l’odio non vende. Chiedete a Tesla, invita.

E poi l’ultimo o, almeno, l’ultimo che ho visto io, molto elegante di nuovo alla fermata dell’autobus. Elegante ma meno fine, dritto dritto (il bellend è la testa di cazzo, firmato UK).

Ora: chi si prende la briga di stampare manifesti, inserirli e sostituirli alle fermate e nella parte alta dei vagoni ha la mia ammirazione e apprezzamento. Ne vedremo altri, sono certo, nel frattempo li raccolgo qui per memoria di questo periodo stracciato, di cui io e molti altri avremmo volentieri fatto a meno. E che non finirà tanto a breve, argh.

Aggiornamento dell’oggi: nuova versione, là dove il rot è il marciume, anche non danese.

un disco di policarbonato trasparente

L’otto marzo 1979 la Philips presentò ufficialmente l’optical digital audio disc, altrimenti noto come compact disc.

Leggenda voleva fosse dell’esatta dimensione di un sottobicchiere da birra olandese e che il buco fosse, alla stessa maniera, dell’esatta dimensione di una monetina da dieci centesimi di fiorino, sempre olandese vista la provenienza della Philips.
A dirla giusta, non fu merito solo della Philips, bensì andrebbe condiviso con DuPont e con Sony, che stava sviluppando un progetto autonomo. Se poi si volesse sapere quale fu il primo disco compatto stampato, di che genere musicale e come e perché e dove, allora devo rimandare a ciò che scrissi tempo fa a riguardo, «di rara bruttezza». La melodia, non necessariamente il mio.
Beh, fu un cambiamento epocale che, tra l’altro, ci costrinse a rinnovare la collezione di LP e cassette, senza sapere che vent’anni dopo avremmo dovuto rifarla tutta in digitale, per la terza volta. Il mio primo cd acquistato fu, credo, The final cut dei Pink Floyd, uscita nuova nuova, da far girare su un lettore costosissimo che, il dannato, saltava e non poco. La stabilità era ancora da venire, chi avrebbe immaginato che in breve ce li saremmo duplicati da soli a casa? Da non credersi no.

9/11: una cosa

Ecco, a me più che i terroristi e gli aerei usati come bombe e l’integralismo religioso fanno più paura questi qui:

O quella che io interpreto come assoluta mancanza di empatia, sintonia con la situazione, compassione. E allora i social non c’erano e i telefoni non facevano le foto, figuriamoci.

le allegre nonché inutili guide turistiche di trivigante: tre cose per una notte a Edimburgo

Tre cose tre, semplici semplici, da fare a Edimburgo arrivando tardi la sera, ovvero livin’ like a scottish. Microguida con le immagini che è più semplice.
Prima cosa, precipitarsi al pub, scegliendo possibilmente uno tra i grandi classici.

È vero che dopo le otto le cucine sono chiuse ma la birra c’è e qualche nuts o crisps da metterci insieme si trova sempre, con quei gusti aceto-rognone che hanno loro. E poi ci sono le persone, che due chiacchiere appena arrivati sono un’ottima accoglienza. Anche se in prima battuta non si capisce una vera fava, storpiando loro qualsiasi termine vagamente vicino all’inglese oxfordiano. Ma poi si avvia.
Seconda cosa: scegliere, se possibile, un albergo all’altezza. Che vuol dire non necessariamente caro, anzi può essere una stamberga, ma che abbia carattere. Io l’ultima volta, un anno fa, sono arrivato tardi, non c’era molta scelta, e ho fatto il signore. Dopo le pinte, dunque, ho salito le scale per farmi la finta che io abbia una vita sana.

E in tema sono arrivato nella mia camera-biblioteca. Estasiato da cotanto sfoggio british, ho poi tommasianamente controllato, non poteva essere vero.

E infatti, costole tagliate a un centimetro, per fare la libreria tutta uguale, ikeanamente. Non smettendo di ridere, mi sono accostato ai dettagli, alla lampada-macchina da scrivere, di grande eleganza e ho scritto alcune cose ben illuminate, immaginando che Safran Foer sia stato qui.

Sul tavolo tipografico ho trovato la rivista che si confa al posto, la rivista sui castelli scozzesi, ovvio. Con ben diciassette pagine di ispirazione per i matrimoni in salsa highlands. Tutto come si deve, per fortuna.

Fortuna avevo il mio ereader che in quella stanza-biblioteca non c’era un libro nemmeno per caso e così mi sono addormito felicemente, sognando brughiere e mastini dagli occhi di brace.
Finalmente mattina ed ecco la terza cosa, compimento delle dodici ore notturne a Edimburgo della guida: la colazione. Questo posto sì, lo segnalo, in centro e sgangherato e fantastico per questo: lo Snax cafè, gestito da sbrigative ragazze scozzesi, pronte a spaccarti la faccia se esiti appena appena.

Bellissimo. E avanti con la full scottish breakfast, che a differenza dell’english, fuck!, ha link e lorne sausages, speziate che poi ti chiedi perché? ma al momento avanti tutta, black pudding, niente scones fighetti ma un panino intero buttato lì così, poi i classici: fagioli, uova, patate, quello sì il tattie scone, bacon ma a fettazza spessa. Perché siamo scozzesi.

Bene, tutto fatto. Poteva essere una notte più eccitante e movimentata, certo. Ma per quello ci sono le guide apposite, la mia è quando arrivi tardi e non si riesce nemmeno a cenare. Fatte queste, è mattina, la colazione dei campioni si è fatta ed Edimburgo è tutta da girare.

Magari facendo un salto dentro quell’edificio lungo e basso a destra, che c’è la venditrice di uova di Velázquez da vedere. Ed è gratuito, perché in quell’isola i musei sanno farli girare, perdio.

Le altre guide inutili:

adda | amburgo | berlino | bernina express | bevagna | budapest (gerbeaud) | edimburgo | ferrara (le prigioni esclusive del castello estense) | libarna | mantova (la favorita) | milano (cimitero monumentale) | milano (sala reale FS) | milano (tre abbazie) | monaco di baviera | monza e teodolinda | tre giorni in nederlandia | oslo | pont du gard | roma (attorno a termini) | roma (barberini) | roma (mucri) | roma (repubblica) | roma (termini) | da solferino a san martino (indipendenza) | torino (le nuove) | velleia | vicenza