Köln Concert

Cinquant’anni fa avvenne la magia, il Köln Concert di Keith Jarrett.

Era tutto sbagliato, il piano, l’atmosfera, l’umore, la sala, la strumentazione, il pubblico eppure – o forse proprio per quello – ne uscì l’improvvisazione più clamorosa della storia delle registrazioni jazz. E comincia riprendendo il gingle degli annunci del teatro, per dire. Divenne l’album per pianoforte più venduto di tutti i tempi. «Le migliori improvvisazioni sono quelle che vengono quando non ho nessuna idea», diceva Jarrett, viva la mente sgombra del lui ventinovenne. Scrive Ricciarda Belgiojoso sul domenicale: “Trovò ispirazione nella melodietta con cui il teatro annuncia l’inizio dei concerti, il pubblico ne ridacchiò e iniziò un flusso inarrestabile di groove e vamp, ostinati di lunghi minuti su un solo accordo o un paio di armonie alternate, sonorità modali e moti swingati, idiomi blues e gospel ma anche classici e debussiani. Evitò i registri più deboli, gli acuti, i gravi e diversi tasti neri a centro tastiera, con melodie seducenti come solo lui”. E prosegue: “Come tirar fuori il meglio da una situazione di difficoltà: il Köln Concert diventò poi caso studio per le lezioni di management del «Financial Times»”. A me il disco, doppio, lo regalò il mio amico P. alla fine degli anni Ottanta e per me si spalancarono territori da esplorare di cui non sospettavo nemmeno l’esistenza. Te ne sono ancora grato, P. Se qualcuno volesse sentirmi fischiettare tutto il primo lato, vengo volentieri a domicilio la sera.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *