le storie di come alcuni popoli ebbero le proprie terre: georgiani e colombiani

Infinite le storie sulle fondazioni delle città, sulle costruzioni di ponti ed edifici, meravigliose, e anche le storie che raccontano come i popoli ebbero le loro terre. Più rare queste ultime, al momento ne conosco due e riguardano georgiani e colombiani e, ovviamente, spiegano come essi abbiano ottenuto terre così belle e migliori di tutte le altre. Hanno però entrambe un accento ironico sulla qualità – diciamo discutibili in alcuni ambiti – dei propri abitanti, racconti splendidi. Eccole.

La prima, su come i georgiani ebbero la Georgia, l’ho letta nel resoconto di viaggio da Lisbona a Pechino su un Ape Piaggio di Paolo Brovelli, la riporto:

Narra la leggenda che, mentre il Signore assegnava un pezzo di terra a tutti i popoli del mondo, i georgiani fossero impegnati in una delle loro solite mangiate, innaffiate da abbondante buon vino. Quando venne il loro turno, stavano brindando e non potevano interrompere un momento tanto importante. Fu così che rimasero senza terra. Quando se ne accorsero, si precipitarono subito da Dio chiedendo perdono, dicendo che era proprio alla sua salute che stavano brindando. Il Signore allora, mosso a compassione, assegnò loro il pezzo di terra che aveva conservato per sé.

Per sé, addirittura. La seconda la ricordo e la scrivo a memoria, la sentii anni fa in ‘Narcos’, la serie:

Quando il Signore creò le terre del mondo, si accorse che la Colombia gli era venuta particolarmente bene, fiumi, montagne, clima. Allora realizzò che gli altri popoli del mondo ci sarebbero rimasti male, al confronto. E così, per pareggiare le cose, la riempì di figli di puttana.

Questa seconda potrebbe essere adattata a molti altri posti, la Sicilia su tutti. Di solito è raccontata con un certo compiacimento, come del resto la prima.

speriamo non cominci l’invasione stasera, che abbiamo una cena

Così a un certo punto scrive Andrei Kurkov nel suo notevole Diario di un’invasione (2022), per dare sostanza al sentimento prevalente dopo mesi e mesi di attesa per un’invasione annunciata, leggasi Ucraina, mentre i russi ammassano truppe al confine, le diplomazie la prevedono come inevitabile, il governo si attrezza, la tensione dell’attesa è continua. Quasi, a un certo punto, uno desidera che accada.

Un diario chiaro e diretto, interessantissimo, letto con il magone di sapere che non è finita. Infatti, c’è un seguito, ormai diventato La nostra guerra quotidiana (2024), in realtà probabilmente una risistemazione e ripensamento di quanto già scritto in questo giorno per giorno, intuisco, lo saprò presto.
Chiunque abbia provato a scrivere un diario in tempi d’emergenza ha incontrato alcune delle difficoltà di Kurkov, ben sapendo però che un diario è essenziale, perché alla fine la memoria non saprà ricostruire come si sia arrivati a certi punti. Per esempio, come e quando le persone abbiano smesso di rifugiarsi al suono delle sirene, preferendo piuttosto una vita rischiosa alla continua paura, in che punto l’abitudine abbia il sopravvento su cariche emotive altrimenti insopportabili.
Ancor più interessante, visto che Kurkov è russo sovietico di nascita e formazione, scrive in russo, in trasparenza dell’asciuttezza del diario si percepisce il grande scrittore e la persona di sostanza e valore, una delle migliori letture da tempo.
Sperando che questa guerra finisca.

totale ignoranza di chi?

Oggi il corteo pro Pal passa da Termini e qualcuno pensa sia una buona idea scrivere ‘Fascista di merda’ all’interno della statua di Giovanni Paolo II in piazza dei Cinquecento, firmando con una falce e martello che non vedevo da tempo.

La statua in effetti non è un granché, sembra un grande orinatoio, e la sua presenza è avvertita da molti, me compreso, come un’imposizione in uno Stato che dovrebbe essere laico. Già gli hanno indebitamente intitolato la stazione, magari le statue dei papi le facciamo al di là del Tevere.

La presidente del consiglio di qualcuno qui nel paese sbraita: “Dicono di scendere in piazza per la pace, ma poi oltraggiano la memoria di un uomo che della pace è stato un vero difensore e costruttore”, e già qui avrei da ridire, per poi affondare: “Un atto indegno commesso da persone obnubilate dall’ideologia, che dimostrano totale ignoranza per la storia e i suoi protagonisti”. A me piace molto ricordarlo così, il papa santo:

È una delle foto che preferisco. Per Meloni, che evidentemente non sa: quello a destra non è Marcinkus o il rapitore di Emanuela Orlandi o uno dei diecimila preti che hanno molestato o violentato ragazzini in ogni parte del mondo durante il papato di GPII o una delle suore assassine nelle lavanderie irlandesi, no, è un ex presidente del Cile, Pinochet. Un altro protagonista della storia.

chi ne sa più di chi? O dello sviluppo etico, spirituale e intellettuale

È appena finita l’edizione 2025 del festivalfilosofia di Modena, Carpi e Sassuolo, dedicata stavolta alla ‘Paideia’ ed è stata, come le altre, direi ricca e interessante di spunti. Almeno finora, visto che sto ascoltando le conferenze partendo dalle migliori, Pievani e Aime, ed evitandone altre, per esempio Veneziani. Così, sì, vittima del pregiudizio ideologico.

Pievani, sempre piacevole e interessante, conclude la sua conferenza citando a memoria un dialogo tra padre e figlio, presumibilmente tratto da Verso un’ecologia della mente di Gregory Bateson, per spiegare il concetto di ‘Paideia’:

Una volta conoscevo un ragazzino in Inghilterra che chiese a suo padre: «I padri sanno sempre più cose dei figli?».
E il padre rispose: «Sì, hanno studiato di più, hanno più esperienza…».
Poi il ragazzino chiese: «Papà chi ha inventato la macchina a vapore?».
E il padre: «James Watt».
E allora il figlio ribattè: «Ma perchè non l’ha inventata il padre di James Watt?».

Qui il feed, per quelli golosi

la chiesina a Largo dei Librari

Sempre commovente la chiesina romana di Santa Barbara dei Librai.

Così detta perché in carico alla confraternita dei Librai, la piazzetta irregolare davanti le dà rilevanza e collocazione in vista. All’interno della chiesa, la botola di sepoltura dei confratelli, con un’iscrizione che recita: “SODALIBUS BIBLIOPOLIS DONEC APERIATUR LIBER ÆTERNITATIS” (“[luogo destinato] Ai confratelli di Bibliopoli fino a quando si aprirà il libro dell’eternità”). Niente male anche questa, mia foto di tre giorni fa.

una piccolissima storia ignobile e personale

Venerdì scorso una donna, a bordo di una vecchia Peugeot, percorrendo una rotonda ha ben pensato di tamponarmi e di buttarmi a terra, dato che io ero in motoscurreggia. Al di là del fatto che io non mi sia fatto male, quindi niente telecamere per i carabinieri, il punto è che ella vilmente scappò.
La cosa mi sta dando parecchio da rimuginare, anche se le conclusioni possono essere ben poche e nessuna eclatante. O, almeno, finora.
Piuttosto, giova rincuorarmi con le persone che, dietro, si sono fermate a sincerarsi del mio stato. E sperare che lei abbia almeno qualche notte inquieta, anche solo per paura di essere rintracciata, e ciò le porti maggior saggezza in futuro.

abbattere lui sperando che cada su di lei

Netanyahu, che il diavolo se lo pigli il prima possibile, ha fatto un intervento agghiacciante all’Assemblea dell’Onu, sostenendo cose indicibili che corrispondono alle cose indicibili che fa, con tanto di cartelli, tra maledizioni e benedizioni.

Ma è interessante notare la rotta dell’aereo che l’ha portato a New York: se si è ben guardato dall’entrare negli spazi aerei francesi e spagnoli, ha volato serenamente sul nostro, sorvolando il ponte sullo stretto e la Sardegna. Giova al riguardo ricordare che sul suo capo maledetto pesa un mandato di cattura internazionale.

Che tanto internazionale non dev’essere, se noi non lo applichiamo. Oppure, e questa è la spiegazione più plausibile, siamo noi – cioè lei, Meloni, che rappresenta lo Stato che ha autorizzato il volo ad attraversare il nostro spazio aereo, come stabilito dalle carte internazionali che regolano il traffico aereo globale – fuori dal mondo. Quel mondo civile che, a differenza nostra – cioè, e che cazzo: sua, di Meloni – non sceglie di facilitare la vita a un criminale di guerra. Ancora.

’sti francesi, però, niente male

“Umiliata la Francia” dice a vanvera quello, perché semmai è proprio lui ad averlo fatto.

E Sarkozy, ricorsi permettendo, andrà in carcere. No domiciliari, almeno non solo, carcere carcere. E non hanno un carcere per gli ex-presidenti o una clinica di lusso nei dintorni di Roma in cui fargli trascorrere il tempo a flebo di aragosta. No, certo non sarà l’isola del diavolo ma vivaddio, dentro. Lei gnaola come tutte le volte, come faceva anche col covid, la vigliacchetta. Che invidia.

Aggiornamento: con la tigna che la contraddistingue, Carla Bruni alla fine di una dichiarazione pubblica del marito pregiudicato ha strappato la spugna da un microfono di un giornalista e l’ha gettata a terra. Ma non una a caso, la spugna del microfono di Mediapart, organo di informazione che con la sua inchiesta aprì il caso che si è appena concluso con la condanna ai lavori forzati dell’ex-presidente. Da Mediapart, molto divertiti dalla cosa, fanno sapere che per fortuna le condizioni della spugna non sono gravi e che tornerà al lavoro quanto prima. Un sospiro di sollievo da parte di tutte le brave persone. Bruni, invece, ha postato un’immagine con un titolo del tipo: “l’amore è la risposta”, proprio ipocrita come sempre.