La Patagonia è terra oltre ogni confine e là le regole sono a capo capovolto, il sopra è là e il sotto chissà. È per questo che il campionato patagonico di bugie, giunto alla diciottesima edizione, si svolge proprio in Patagonia: servono le persone della Patagonia, serve l’aria e servono le cose che accadono solo là. Io ci sono stato, sono stato anche al campionato, sono arrivato quarto una volta molti anni fa, tutti lo possono dire. Il campionato viene trasmesso da Radio Ventisquero e al vincitore, si sa, va una vitella Holsten.
Ed ecco la prima bugia, Luis Sepùlveda, Feltrinelli e Guanda non me ne vogliano, comprate il libro:
Isidoro Cruz, di Las Heras, nella provincia del Chubut, manda giù un lungo sorso di vino prima di iniziare.
“Quanto sto per raccontarvi è successo un po’ di tempo fa, l’anno in cui venne un inverno davvero da cani, lo ricorderete. Io ero povero e magro, così magro che non facevo neppure ombra, così magro che non potevo usare il poncho, perché appena infilavo la testa nel foro, il poncho mi scivolava giù fino ai piedi. Una mattina mi dissi: ’Isidoro, non si può continuare così, devi partire per il Cile’. Il mio cavallo era magro quanto me, per cui prima di montare gli chiesi: ’Ehi, matungo, pensi che ce la farai a portarmi?’. Lui mi rispose: ‘Sì, ma senza la sella. Accomodati qui, fra le costole’. Seguii il consiglio del cavallo e assieme ci dirigemmo verso la cordigliera. Mi stavo avvicinando al confine cileno quando, da qualche punto vicino, sentii una vocina debole, ma davvero debolissima, che diceva: ’Non ce la faccio più, io mi fermo qui’. Spaventato guardai in tutte le direzioni cercando il padrone della voce, ma non vidi nessuno. Allora mi rivolsi alla solitudine: ’Non ti vedo. Vieni fuori’. Di nuovo sentii quella vocina debole: ’Sotto la tua ascella sinistra, sono sotto la tua ascella sinistra’. Infilai una mano sotto la camicia e palpai qualcosa. Tirai fuori la mano, e aggrappato a un dito c’era un pidocchio magro quanto me e il mio cavallo. Povero pidocchio, pensai, e gli chiesi da quanto tempo viveva sul mio corpo. ’Da molti, molti anni. Ma è arrivato il momento di separarci. Anche se non arrivo neppure a un grammo, sono un peso inutile per te e per il cavallo. Lasciami a terra, compagno.’ Capii che il pidocchio aveva ragione e lo misi sotto un sasso, ben nascosto perché non se lo mangiasse qualche uccello delle vette. ’Se in Cile mi va bene, al ritorno ti cerco e lascio che tu mi pizzichi quanto vuoi,’ gli dissi salutandolo, poi ripresi il cammino.
In Cile mi andò bene. Aumentai di peso, e ingrassò anche il cavallo, e quando un anno dopo riprendemmo la via del ritorno, soldi in tasca, sella e speroni nuovi, cercai il pidocchio dove lo avevo lasciato. Lo trovai. Era ancora più magro, sembrava trasparente e si muoveva appena. ’Ehi, pidocchio, eccomi qua. Vieni. Pizzicami, pizzicami pure quanto vuoi,’ gli dissi prendendolo e mettendomelo sotto l’ascella. Il pidocchio mi pizzicò, prima pianino, poi con forza, con la voglia di succhiare il sangue. All’improvviso il pidocchio cominciò a ridere, e anch’io risi, e le mie risate contagiarono il cavallo. Attraversammo la cordigliera ridendo, ubriachi di felicità, e da allora quel passo di montagna si chiama il Passo dell’Allegria. Tutto questo è successo, come vi ho detto, un po’ di tempo fa, l’anno in cui venne un inverno davvero da cani…”
Isidoro Cruz finisce la sua bugia col volto serio. I gaucho esaminano la trama, la valutano, decidono che è una bella bugia, applaudono, bevono e promettono di non dimenticarla.