minidiario scritto un po’ così di un giro balcanico-carpatico: quattro, troppa conoscenza tutta insieme, dov’è Willendorf?, altro paese, altra lingua, italiani all’estero

Sul cuscino trovo dei semi di zucca, sono sorpreso. Perché sono ignorante, scopro solo adesso che i semi di zucca sono non ‘un’ ma ‘il’ prodotto tipico della Stiria, una vera e propria chiave di ricerca su Amazon. Tergiverso, magari vengono riutilizzati ogni volta, poi me li magno, buonissimi, mica come quelli spagnoli secchi secchi, di questi la metà del peso è grasso. E infatti con l’olio ci condiscono qualsiasi cosa, gnam. Vorrei andare verso nord, nord-est, e nel mio tempo quotidiano dedicato allo studio delle mappe mi rendo conto che non c’è altra via che passare da Vienna. Oddio, c’è di peggio, me ne rendo conto. Mmm, Vienna… Che faccio? Passo dritto e non mi fermo? Nemmeno un’occhiatina? Questi sono i dilemmi, profondi ed esistenziali, mentre attraverso in treno la Stiria e la Niederösterreich, la Bassa Austria che va a capire quella Alta è a ovest, di fianco. Comunque, grandi boschi, su ogni rupetta un castelletto o un monastero abbarbicato, la ferrovia curva dove il fiume Mur curva e va dato loro merito, agli austriaci, di aver mantenuto in sostanza intatte queste regioni di grande bellezza. Curva e ricurva mi risolvo per una ventiquattro ore viennese, il tempo minimo di una sosta da Demel. In realtà, io che son piuttosto sbalestrato, correrò una maratonina: due museoni, Kunsthistorisches e Naturhistorisches, e il Belvedere che è a fianco della stazione, vabbè, a ciascuno il proprio. Che raccontare di Vienna? Niente, ci si vada, non è un brutto posto, qualcosina da vedere c’è, mica devo stare qui a dirlo io.

Alla fine del secondo museo sono un pugile suonato, di quelli che tirano colpi a caso e nel vuoto in attesa di crollare, scimmie, Brueghel, meteoriti, felci lamellari, i fossili di Memling. Certo, ho visto gente morta sui divani alla fine di un museo solo ma conta poco. Comunque, due musei fenomenali e con pochi confronti per qualità e quantità, tre enormi sale solo per i meteoriti di là, ventidue Tiziano in una vista sola di qua, se par poco. Fatto bene a fermarmi anche se al volo, il caffè nel giardino della chiesa di Belvederegasse è motivo sufficiente, la temperatura mattutina perfetta, musicisti e ciclisti compagni di inizio giornata, quattro muratori che giocano a ping pong sul tavolo in cemento a fianco della chiesa in attesa, forse, di qualche materiale, una città che chissà come mai mi pare sempre un placido paesone.

Mi muovo, torno alle città medie che si confanno al mio viaggio. Scavallo quel che al tempo di Maria Teresa era un non senso, il confine con la Slovacchia appena fuori Vienna, e vado a est, a Bratislava, cinquanta minuti scarsi di treno, sono le due capitali più vicine d’Europa. Ma al tempo dell’impero Bratislava era la capitale dell’Ungheria, le cose si complicano, comunque basta seguire il Danubio e parecchie cose diventano chiare. Sarebbe un bel viaggio seguire il fiume, partire da Ulm e arrivare dopo quasi duemila chilometri al mar Nero. Nel pezzettino che faccio io stavolta, il treno regionale lento lento attraversa una pianura tirata con il righello, sempre il fiume immagino, piena di pale eoliche, terra di un bel marrone acceso colorata dai girasoli. Tocca passare anche la Morava, altro bel fiumone che si getta nel Danubio poco prima di Bratislava e che fa proprio da confine e subito al di là finalmente qualche rilievo, assaggio precarpatico.

La città è graziosa, in centro, e moderna attorno, parecchi grattacieli. Sicuramente l’essere diventata capitale ha la sua importanza, l’impressione è che Bratislava sia stata oggetto, e sia, di assedio da fuori, sia per ragioni di costi, una volta, che probabilmente fiscali adesso. Storicamente, era la città in cui gli italiani venivano per bere molta molta birra spendendo poco e fare le cose che a casa non erano consentite, ancora oggi i voli sono parecchi. I prezzi sono oggi come quelli italiani ed europei e qui l’euro ha il suo peso ma l’impressione è che il resto della città, e del paese, non giri su questi ritmi. Appena fuori dalle mura gli starbucks scompaiono e, anzi, ci sono negozi e case più vicini a un recente passato che all’Europa attuale; come ricordavo all’est di un tempo, ancora si fa la coda per tutto, le biglietterie, le macchinette automatiche, i negozi. Un enorme palazzone di Unicredit domina la vista. La lotteria nazionale è arrivata a settantaduemila euro di montepremi. Fa caldone per davvero e si va a chiacchierare con i piedi nelle fontane, qui quella della libertà. Anch’io.

Dopo di che, la città ha tutte le sue cose al posto giusto: il fiume, enorme, le colline e quella con il castello, la parte piana ma non troppo, una posizione funzionale. E come spesso accade in Europa centrale, molti sono passati di qui, dai romani con il loro limes, agli unni, ottomani, ungheresi, Napoleone vi firmò la pace vittoriosa dopo Austerlitz con l’altro impero, russi e così via. Si intenda: la città è gradevole e fascinosa, contiene molti stili e tempi diversi, una rara chiesa blu in stile Secessione, alcuni dicono art Nouveau, ma se alle due del pomeriggio i bar nella piazza principale sparano gli Eiffel65, gli italiani sono decisamente troppi per i miei gusti. Basta fare qualche giro più largo e, infatti, la città è piuttosto interessante anche nella sua parte dal passato socialista e il presente europeo.

Per cui, bene. Domani, l’altro pezzo di ex Cecoslovacchia.


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