minidiario scritto un po’ così di un giro balcanico-carpatico: nove, le città ideali, padova non Padova, sulla via del ritorno, ben concludere

Novanta chilometri a sudest di Lublino, raggiungo Zamość con un regionale che ferma continuamente nel nulla. Finalmente, la mia destinazione era un segnalino verde sulla mappa delle cose da vedere ormai da parecchio, in effetti per raggiungere questo angolino di Polonia bisogna proprio averlo deciso. La storia è che Zamość è una di quelle città ideali fondate puntando il dito e tirando le vie con il righello. Palmanova, per esempio.

Jan Zamoyski, figura centrale nella Polonia della seconda metà del Cinquecento, divenuto tra le mille cariche anche ciò che oggi chiameremmo segretario di Stato del re di Polacchia, già possessore di svariate terre e città, decise di fondare una propria città secondo i canoni architettonici militari e di armonia del Rinascimento. Poiché aveva studiato a Padova, peraltro convertendosi al cattolicesimo e diventando rettore di una delle facoltà di giurisprudenza, apprezzava lo stile espresso dalla città e decise di portarlo al nord. Assunse un architetto padovano, per l’appunto, Bernardo Morando, cui commissionò il progetto della città e alcuni edifici rilevanti di essa. Zamość è una classica città rinascimentale con cinta di mura circolare, fossati e bastioni possenti, all’interno una piazza rettangolare circondata da palazzi di uguali proporzioni e grande bellezza e dominata dall’odierno municipio, strade a reticolo tutte della stessa larghezza e percorse da portici, alcuni edifici funzionali come la cattedrale, la caserma, l’arsenale e così via.

Qui la chiamano ‘la Padova del nord’ per ovvie ragioni. Ho dimostrato in un altro mio viaggio polacchico come sia invece Cracovia la Padova del nord, scritto qui, mentre Zamość è senz’altro avvicinabile a Sabbioneta, davvero simile anche per dimensioni. E come a Sabbioneta, una giornata intera è persino troppo, fatto il giro delle mura, percorsa ogni via del reticolo, osservata la cattedrale con attenzione, non resta che sedersi e mangiare. Anche perché come non è agevole arrivarvi, non lo è nemmeno andarsene. Comunque, sono contento di averla vista, essendo peraltro del tutto conservata e lo sviluppo contemporaneo avvenuto fuori dalle mura. Ed è qui, in questo angolino di Polonia a pochi chilometri dal confine ucraino che il mio viaggio ha la sua ultima destinazione, ora è tutto ritorno, a Lublino e poi di conseguenza. Per carità, ora un paio di giorni a Varsavia sono in programma ma è soggiorno finale, non più viaggio. Tutto facile, tutto comodo. E poi ci sono già stato, ne ho un buon ricordo nonostante, povera città, sia stata rasa al suolo prima, sovieticizzata poi e oggi si ritenti di darle una fisionomia decente. Ho anche un ricordo personale, ricevetti una bella notizia che poi, purtroppo, rimase notizia e non divenne fatto. Di Varsavia sicuramente è da ricordare, e celebrare, la sollevazione del ghetto contro i nazisti, una rivolta coraggiosa soffocata dall’aeronautica, troppa la sproporzione e per questo ancora più memorabile. La ricostruzione avvenne anche grazie ai quadri di Bellotto, precisi casa per casa, il centro storico oggi è così, rispettoso anche dei colori dei quadri. Ma, insomma, di Varsavia ho poco da dire, questa non è una guida e le informazioni si trovano facili. Oh, comunque: è una bella città, vivace. Non vorrei trasmettere un giudizio dimesso.

È stata, questa mia, ancora una volta un’esplorazione di una zona d’Europa che conoscevo poco, il filo conduttore l’essere a est e, per buona parte del viaggio, afferire culturalmente e storicamente all’impero austroungarico. In questo senso, l’ascolto di 1914 di Luciano Canfora è stato più che opportuno. A un certo punto, ho realizzato che stavo ripercorrendo le tratte dei prigionieri dall’Italia allo Spielberg, poi ho proseguito per quelle zone centrali d’Europa che sono molto più centrali, da sempre, di quel che riteniamo noi, periferici del sud. Tra le città viste, spicca senz’altro Graz per bellezza e completezza, poi notevoli Brno, Lublino, Ljubljana, dò per scontate Vienna e Varsavia, Zamość un piccolo gioiello, Maribor bella per contesto e posizione, Ostrava stupefacente per le dimensioni colossali dell’industria metallurgica di stampo sovietico.

Viaggiare in questo modo, di dettaglio se in Europa, e in queste zone, le meno comprensibili per quel che sappiamo noi in Italia, è un modo per sapere di più del mondo in cui vivo. Ed è una cosa che, è ovvio, mi piace. Non pretendo di essere capito in questo, ovviamente c’è chi capisce e condivide ma la maggior parte delle persone non dice nulla per gentilezza e si vede che non comprende. O non gli importa, è giusto. Telefonata, oggi: mi scusi ma sono in vacanza. Ah, mi faccia invidiare: dove? In Polonia. Silenzio. Ma per lavoro? Ahah. Anche al ritorno, qualcuno chiede come si fa dopo le vacanze e alla mia risposta poi tace. Se dicessi Bali chiederebbero. Anche per questi miei raccontini, me ne rendo conto, serve interesse per l’argomento, altrimenti devono essere ben noiosetti. La cosa buffa sarà quando tra alcuni giorni, a una pizza con amici, qualcuno racconterà di essere andato a Budapest e verrà ascoltato come l’esploratore eroe avventuroso, certi meccanismi mi restano davvero oscuri. Sarà che son curioso di tutto, sarà quello. Oppure che ne so, mica le devo capire io tutte le cose.

Ora è davvero il momento di andare a fare il tramontista sulla Vistola con i miei nuovi amici e celebrare la golden hour in compagnia. Perché ben concludere un viaggio è importante quanto ben iniziarlo.

Alla prossima, quindi, quando ci sarà occasione.


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