minidiario scritto un po’ così di un giro balcanico-carpatico: sei, devozioni, bei treni, fabbriche città, il carbone lo portan tutti, altro che befana

La chiesa di San Giovanni Battista e di San Giovanni evangelista a Brno ha una facciata minima e poco appariscente, ha però al suo interno una copia della casa di Maria di Loreto alla stessa scala e, non contenti, una specie di scala santa, più corta di quella di Pilato a Roma, appena dietro. Ogni pochi minuti, una fedele offre le priorie rotule all’atto di devozione. Sono tutte giovani, e questo lo spiego con il gesto atletico richiesto, e donne, e questo me lo spiego con più fatica. Anche coppie di genitori assistono orgogliosi alla salita della figlia e la abbracciano con approvazione. Anche a Roma, nel caso della scala, o Fatima, o Lourdes, o Loreto eccetera, il gesto della sottomissione in ginocchio e del percorso fisico da compiere mi infastidisce, trovo la devozione servile al limite della mortificazione così poco spirituale ed esecrabile, ancor più se riservata alle donne e negli anni Venti del Duemila. Non è nemmeno un gesto antico, primitivo, è piuttosto controriformista, padronale, quando la chiesa decise di non avere più a che fare con la vita e l’umanità delle persone e di occuparsi, piuttosto, di peccato, senso di colpa ed espiazione. Desideri qualcosa? Un figlio? La salute dei tuoi? Una vita felice? Sottomettiti.

Che distanza dalla Venere di Willendorf vista a Vienna, simbolo di prosperità materna, dell’unione con la terra e la vita stessa, di equilibrio e proporzione fisica e spirituale, trentamila anni prima dei pretacci tridentini.

A est di Repubblica Ceca e Slovacchia c’è l’Ucraina, quindi di là no. A nord ci sono i monti Tatra, una bella catenona di montagne carpatiche con caratteristiche alpine molto spesso oltre i duemilacinquecento metri di altitudine che devo in qualche maniera circumnavigare, per cui sfrutto il primo passaggio utile. Con l’app delle ferrovie ceche, molto ben fatta, mi costruisco passaggio e giornata, oggi un po’ più articolati del solito. Punto la zona mineraria della Repubblica Ceca, dove normalmente i turisti non vanno – e chiamali stolti -, vado al ‘cuore d’acciaio della repubblica’, a Ostrava. Mi piace l’incipit della guida: “Anche se Ostrava non è di solito tra le mete più ambite dei turisti, ci sono alcuni luoghi interessanti…”, ahah, che tatto, e poi elenca la cattedrale dell’Ottocento e basta. Ma io non son turista, son viaggiatore e mi interessano anche i posti brutti, sporchi e cattivi. O quasi, diciamo. Centro dell’estrazione carbonifera dell’ex Cecoslovacchia, quindi della metallurgia – basi solide e determinanti per l’espansione del socialismo, cui va aggiunta la sola elettrificazione – va da sé che Ostrava è posto un filo respingente, anche perché per gli stessi motivi fu bombardata con furia dagli alleati. Ci si aggiunga un certo inquinamento da combustione di carbone e vualà, anche se oggi promettono grandi conversioni. Chiaro che voglio andare a vedere ma non mi ci fermerò.

Parto, prendo il RegioJet, anzi un RegioJet, che altro non è che un intercity che mi dimostra, ancora una volta, che è possibile farlo: connettere un paese con equilibrio tra costo e velocità e comfort, nonostante da noi ci spieghino sempre il contrario e perforino qualsiasi cosa non sia pianura. Perché noi abbiamo i capitani coraggiosi che fanno il nostro bene, noi poveri idioti, vedi Colaninno che ha stirato le gambe poco fa. Per fare i centosettanta chilometri tra Brno e Ostrava il costo è circa tredici euro, due ore di viaggio. Posti per bici, carrozzine e cani in ogni vagone, vagone bar e ristorante, piccolo supermercatino, giornali e ricche colazioni, convenzioni con alberghi lungo la tratta a mostrare il biglietto del treno. E i posti sono comodi e il treno più che accogliente. Sì, continuiamo a considerarla arretratezza al cospetto della nostra velocità. Disponibile a fare spot gratuiti al RegioJet, amici, sono qui. Un difetto: niente prese elettriche, almeno in seconda dove sono io.

L’app delle ferrovie ceche mezz’ora prima della partenza fa ciuf ciuf ad alto volume per avvisare, il che mi ha sorpreso non poco in un bar e mi ha fatto ridere. E poi attenzione in stazione: prima c’è la Nástupiště (il?) da tenere d’occhio, la piattaforma, poi il Kolej (la?), il binario, e infine il Sektor (la? No, dai), cioè quale parte del binario, in lettere. Non è raro che su uno stesso binario ci siano due o, a volte, tre treni ma siccome non ho mai sbagliato direi che sia comprensibile proprio a tutti.

E invece no, scendo alla stazione sbagliata. Appena scritto, eh. Ostrava Svinov, nel mezzo del nulla post-industriale. Ma che vai a fare in una città piena di fabbriche? mi hanno chiesto stamattina. Già, eppure pensandoci bene io ci abito in una città così. Prendo un tram per avvicinarmi alla città, biglietto a bordo con carta di credito, nuovo e pulitissimo, cadauno particolare per suprematisti italiani orgogliosi.

Già. Sono le prese che non c’erano sul treno. E che peraltro si trovano in quasi tutti i bar. Non capisco bene dove stia il centro città, anche dalla mappa non si evince ma evinco benissimo dove voglio andare: a Vítkovice. Ovvero, la zona industriale di Ostrava o, almeno, la prima parte visibile. Vorrei spiegare loro quanto inquini il carbone. Con gentilezza.

Da oggi l’aggettivo industriale ha una nuova connotazione per me. Mai visto niente del genere, la metallurgia di stampo sovietico adesso ha una proporzione nella mia testa e se oggi c’è un bel sole e il cielo è azzurro provo senza esito a immaginare un gennaio degli anni Ottanta a caldaie accese. L’inferno in terra, altroché. Però che fascino, per me è come vedessi un treno merci lungo venti chilometri che trasporta ruspe e camion insieme e che a un certo punto deraglia e poi esplode e poi delle gru ancora più grosse recuperano tutto. L’eccitazione è quella. È con questi impianti che i Rothschild fecero fortuna e l’impero austroungarico pure, con il ferro e l’acciaio, di conseguenza le ferrovie e le armi, qui stavano i robota, oggi gli impianti dismessi sono visitabili, pieni di gente cui gira la testa a guardare in alto talmente sono grandi. L’idea stessa di recupero e di conversione va rivalutata e rivista in toto. In un pezzettino aperto è in programma un concerto per stasera, direi che qualcosa di industrial sarebbe del tutto appropriato ma temo non sarà così. Pensavo di trovare gli abitanti di Ostrava con i capelli impiastrati di polvere di carbone e i visi anneriti, così non è ma se gli impianti in città sono stati dismessi di sicuro fuori ce ne sono molti così in funzione. Se la Polonia chiede ciclicamente fondi all’UE per non bruciare carbone, immagino lo facciano anche qui. Vabbuò, sono andato lungo anche stavolta, alla prossima, cioè immagino domani, che io ho ancora un sacco di cose da fare oggi, compreso cambiare stato (Stato, non il mio stato, anche se ci sono andato vicino un paio di volte, oggi, per il caldo).


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