minidiario scritto un po’ così di un giro nel paese che non va d’accordo con nessuno: tre, legati a doppio filo

Dice Tahar Ben Jelloun che «La Libia non va realmente d’accordo con nessuno Stato» perché «il problema è che la Libia non è uno Stato, ma un coacervo di tribù, con due governi, di cui solo uno è riconosciuto dalle Nazioni Unite». Ecco il titolo. Tra i due governi nemmeno si riconoscono la moneta ma uno senza l’altro non avrebbe petrolio, gas e banche. Andiamo verso ovest, verso il confine tunisino, ad Az Zawiyah, una città al centro del traffico di droga, di esseri umani, di armi. Gli edifici sono crivellati di proiettili, mancano le strutture minime di una città, i negozi essenziali come le farmacie, ci sono solo ricambi per auto, parabrezza ammonticchiati. In giro per le strade un buon grado di mondezzaio e la sensazione chiara di essere controllati a vista. Da qui partono i barconi, per lo meno per la gran parte, e i centri di detenzione, dopo quelli nel deserto, sono qui attorno. E chi, chi gestisce tutto questo? La risposta dopo la foto.

Usāma al-Maṣrī Nağīm, conosciuto come Al Masri, prontamente liberato dal governo Meloni quando purtroppo hanno avuto la sfortuna di trovarsi la patata bollente tra le mani mentre, bel bello, lui usciva dallo Juventus stadium. Criminale internazionale, difficile dire quanti capi di imputazione gli siano riconducibili, non nego che arrestarlo e detenerlo possa essere una rogna ma anche sbarazzarsene al primo colpo di tosse è un pessimo modo. La giustizia e la dirittura morale, personale e collettiva, sono proprio un’altra cosa. Sarà forse perché lo paghiamo, come Stato, per trattenere i migranti nei centri e seviziarli? Sarà perché siamo sotto scacco? Proseguiamo qualche chilometro e sulla costa di Sabratha il gasdotto che va in Italia si immerge nel mare. Ecco. Dopo le sanzioni alla Russia e l’acquisto di gas ed energia differenziato, siamo noi a dipendere da loro. Altrimenti non si spiega.

La parte di Libia a ovest del golfo della Sirte, ovvero la Tripolitania, è nelle mani di cinque milizie in lotta tra loro, un caos significativo. Il presidente è un palazzinaro che sotto Gheddafi divenne molto ricco, riuscendo a prendere il potere con la corruzione alla caduta del colonnello. In Cirenaica, l’altra parte del paese, c’è un altro governo, al cui capo c’è un militare che tiene il controllo sulle milizie, un’altra capitale, Bengasi, un’altra moneta. L’accordo tra i due governi regge perché a Tripoli ci sono le strutture e le banche e il gas, a Bengasi il petrolio. C’è un parlamento unico che, evidentemente, non conta nulla. A Bengasi è molto forte l’influenza russa e le premesse di equilibrio non paiono solide, lo stesso capo del governo cirenaico ha provato di recente a esautorare il rivale. Bombardandolo.

Sabratha fu una delle tre città storiche della Tripolitania, anch’essa con una storia simile a Leptis magna: prima  insediamento commerciale fenicio, poi con Leptis Magna e Oea parte dell’impero di Cartagine e città romana nel 46 a.C. con la creazione della provincia d’Africa. Se Leptis magna di città imperiale, Sabratha fu uno dei poli commerciali per la sua posizione, connessa con l’interno dell’Africa e la costa mediterranea. Di fatto, la stessa che condiziona la situazione attuale e offre la via per il traffico di esseri umani da sud a nord. Vedere ‘Io capitano’, per questo. I resti sono sontuosi, enormi, anche qui gli ultimi scavi furono italiani e tutto è lasciato a sé stesso e, ciò nonostante, i colori, la posizione e la grandiosità della strutture hanno la meglio su incuria, malaffare e rifiuti.

Forse anche meglio di Leptis magna, da molti punti di vista. A questo punto, è necessario tornare rapidamente indietro, a Tripoli, che c’è da prendere un aereo.


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