minidiario scritto un po’ così dalla punta estrema del mondo di sotto: cinque, cattedrali di roccia, meccaniche moderne, ciliegie e stelle

A Puerto rio Tranquilo osservo il lago general Carrera, piatto, blu, glaciale. Qui una volta era tutto ghiacciaio, ragazzo, tutto ghiacciaio. Si distinguono le cime sotto il livello del ghiaccio, ventimila anni fa, da quelle che emergevano: tonde le prime, aguzze le seconde. Il villaggio è piccolo e campa sui giri sul e attorno al lago, ne approfitto per salire in barca e andare a vedere la Capilla de Mármol, un parco naturale in cui le acque del lago hanno corroso e scavato le formazioni di carbonato di calcio formando monumenti quali la Catedral, le Capillas e le Cavernas.

Che soddisfazione. Ne è valsa la pena, anche qui, le centinaia di chilometri di sterrato sfasciaculo sono un ricordo. E la salsiccia alla brace e birrona subito dopo rendono il momento perfetto.

Eccedo nelle foto. Nessun filtro, nessuna correzione, è proprio così questo mondo di sotto, è saturato di suo, i colori abbacinanti, la natura sfrontata. Se ne esce ebbri. Sarà dura tornare alle cose quotidiane, stare in casa, guardare fuori le macchine che passano, prendere un treno locale pieno.

Sono cotto dal sole, a gennaio al lavoro faticherò a giustificarmi senza essere mandato a quel paese. Mi prende quella voglia di sterrato, di nuovo, quel desiderio di strada per cui mi rimetto in moto: proseguo per Puerto Guadal, circumnavigando il lago, poi Chile Chico, tutto sterrato e a volte a strapiombo, qualche carcassa di auto. Come diceva il mio amico slavo una volta: non ti preoccupare, cosa vuoi che sia? Al massimo muori. Infatti, che vuoi che sia? Sono parecchie ore di battimento di denti, di culo, di trippe, di viti svitate e di foto storte e tremolanti. A metà di una salita il cruscotto del pullmino dà di matto, si accende tutto, si spegne, si riaccende e nel frattempo né servosterzo né, più importante, servofreno funzionano più. Cominciamo a scivolare all’indietro, non tanto festosamente. Viva il freno a mano meccanico. Alè, tutti giù di nuovo, cofano aperto e pantaloni stile idraulico. Stavolta la diagnosi è facile e la soluzione anche: il cavo della terra si è staccato dal dado della carrozzeria e fa contatto. Soluzione? Basta toglierlo. Quanti pezzi inutili nella meccanica contemporanea.

Dimenticavo di dire che su tutti i mezzi sui quali sono salito finora quasi tutte le spie dei cruscotti erano accese costantemente, comprese quelle che qualche preoccupazione a me la darebbero, tipo la gialla del motore. Ma così non è, che vuoi che servano le spie? In effetti mi fa abbastanza ridere vedere gli autisti che sereni guidano con tutte le spie accese e Enrique Iglesias a manetta alla radio. Vedi a prendere la vita in un modo diverso?

Valico il confine, di nuovo, e torno in Argentina, a Los Antiguos, la capitale internazionale della ciliegia, ancora sul lago. Quelle ciliegie natalizie gigantesche che arrivano da noi a quarantacinque euro al chilo, ecco, vengono da qui. E siccome ci sono molti alberi liberi ne mangio davvero parecchie. Come resistere, proverbialmente?

Il lago e il cielo hanno lo stesso colore, per tutte le rive che riesco a scorgere non c’è nulla, più tardi ne avrò conferma guardando le stelle, non c’è una luce. Si vede la via lattea in modo impressionante, Sirio brilla evidente. Che culo che hanno certi io.


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