minidiario scritto un po’ così dalla punta estrema del mondo di sotto: zero, che ideone che ho, introduzioni, fiumi che sembran mari, Plata senza plomo

Alla fine è accaduto: la connessione internet sugli aerei. Il gentile annuncio porta invece sciagura, i ping, i bip, le notifiche ma soprattutto i video imbecilli e, ancor peggio, i vocali nell’ultima oasi priva di telefoni. La chiesa, forse, la sauna ma non so.

Sembrerebbe una bazzeccola ma se il viaggio è da quattordici ore in stretta compagnia di una certa quantità di persone assume una sua rilevanza.

Perché sono su questo aereo? Perché ho avuto una serie di idee di seguito che non esiterei a definire geniali. Geniali per me, non in assoluto, sono ancora qui che me ne compiaccio. Prima idea: andare via per natale. Ma via via, niente cene, niente pacchi, niente capitone, niente multe, niente cestini. Seconda idea: allungare la cosa anche a capodanno, insomma non contate su di me. Niente giorni tra natale e fine anno che comunque si lavora, niente notti insonni, niente essere a disposizione. Adios. Astaluego. Lo so, una persona normale ci arriva facilmente ma io no, solo ora. Ecco perché geniali. Terza idea: andare nel posto più lontano e capovolto che mi è venuto in mente. Bravo me, così sia. L’avevo pensata anche ben più sporca ma la realtà mi ha costretto, diciamo, a non estendere oltre la mia assenza. Uh, quanto la sto facendo lunga: sono su un aereo per Buenos Aires, ah, l’Argentina che tensione. Primo natale al caldo, sembra il titolo di un cinepanettone e forse un po’ lo è pure. Dai due gradi padani ai trenta di questi miei primi minuti argentini, pare strano. Se Millei, dunque, staziona da noi limonando con la nostra presidente del consiglio e gli si dona pure la cittadinanza, beh allora io vengo qua mentre lui non c’è, mentre la motosega è spenta, voglio vedere come stanno le cose in uno dei paesi politicamente ed economicamente più disgraziati di sempre, non da oggi. Ma voglio dire: Gardel, Piazzolla, Borges, Bioy Casares, Ocampo, Wilcock, Guevara, Quino e chissà quanti ne dimentico, tutti formidabili. E il culto invece è rivolto alla triade Maradona-Messi-Bergoglio, nemmeno in quest’ordine. La combinazione indigeni più europei vari e poi una robusta iniezione di nazisti non è che sia venuta benissimo, la ricetta poteva essere ampiamente migliorata, magari con ingredienti differenti.

Ma chi sono io per dirlo? Chi sono io per dire qualsiasi cosa, voglio dire? Mangio le mie empanadas a Caminito, tra le case colorate, e penso al porto, agli immigrati genovesi, al Boca, a San Telmo, al treno che non passa più e al fatto che sono stato proprio bravo a mettere un freno alla deriva dei mesi scorsi e un argine preventivo ai prossimi venendo qui. Dovevo capovolgere proprio il tavolo. Con me sopra, o sotto, visto lo stato di partenza. Tant’è che delle quattordici ore del volo ne ho dormite tredici e che, fortuna temporanea, la connessione dell’aereo non funzionava per davvero. Massimo otto persone collegate, è pur sempre un residuo di Alitalia, e dai. E così ho lungamente parlato con Oli, giovane nederlandico cresciuto in Argentina di ritorno per le feste che mi spiega gentilmente dove andare a fare surf e dove a sciare, perché il paese dei cinquemila chilometri di latitudini ha davvero tutto: dalle cascate tempestose di Iguazu alle terre estreme del fuoco e in mezzo tutte le cose medie.

Dopo la seconda empanada apprendo l’esistenza del lunfardo, un argot che chi sa lo spagnolo fa fatica a capire e chi sa l’italiano meno, laborar e birra, per dire due parole, e così i testi dei tanghi son più chiari. Chissà se poi sarà vero che venga da lombardo, fantasie. E mi vien da ridere non poco a leggere di El juego del calamar che sta su Nefflics come lo Squid game coreano. Le strade sono costeggiate da enormi manifesti pubblicitari e da enormi murales, pure molto ben fatti, di Messi con la coppa del mondo. Una fissazione. Molti di loro, dei manifesti, sono di compagnie assicurative private che offrono cure sanitarie premurose e complete, nessuno stupore purtroppo, non esiste manco più il ministero. Chissà quanto ci vorrà perché un Luigi Mangione si alzi dal letto anche qui con un’idea per la testa. A plaza de Mayo – si dice Màgio, sensatamente – qualcuno protesta, è il luogo giusto, sto lì e immagino le madri. Ma questo è il minidiario zero, quello introduttivo, in cui ancora non succede nulla e pare proprio strano parlare di Buenos Aires qui ma è così, è ancora avvio. Vediamo, dunque, che c’è qui, in questo posto così lontano e capovolto che per arrivarci bisogna volare su una bella fetta d’Africa, su un oceano davvero grande, su tutto il Brasile e su tutto l’Uruguay. Vediamo che succede.


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