pippottoni emirateschi

Gli sceicchi turbantosi arricchiti grazie al nostro vizio di andare ovunque in macchina hanno, in settimana, posato la prima pietra di un altro superpistolone dopo il Burj Khalifa, il Dubai Creek Harbour.

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Il DCH sarà un pippottone di quasi un chilometro, affidato a Calatrava che di certo cercherà di farne un ponte, del quale gli appartamenti sono già in vendita, con la benedizione del sovrano Mohammed bin Rashid Al Maktoum e del Dubai tutto.
Certo, vivere a ottocento metri di altezza ha il suo fascino, o potrebbe averlo, nel senso che come sempre conta poi quello che hai attorno e quello che vedi: se è Dubai e il deserto, non è detto che sia entusiasmante.

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Ma siccome i posti sono pochi, costano. Tremila euro al mese per l’affitto di un appartamento al 29° piano del Burj Khalifa (bassino, invero, visto che i piani sono 160) – tre bagni, due camere da letto e soggiorno con cucina a vista (tre bagni?) – e poi alcune scomodità insuperabili, come racconta Simone Pagliani, già pilota delle Frecce Tricolori, che abitò a Dubai per parecchio tempo mentre stava addestrando la pattuglia acrobatica emiratina Al Fursan:

«non stendi mai i panni, c’è l’asciugatrice; la raccolta differenziata viene fatta al piano, a mano, da un inserviente che sta chiuso in una stanza; in caso di incendio non devi correre fuori, ma ogni tot piani ci sono camere ignifughe che fanno da punti di raccolta; non puoi mai aprire le finestre; puoi scegliere l’aroma da farti spruzzare con l’aria condizionata; è tutto elettrico; non ci sono i citofoni, devi sempre parlare con il personale della reception»

Bellino. Il concetto, più o meno, che si applica a queste nuove case è quello di «appartamenti più piccoli, simili a suite (…). Sono spazi molto privati, che servono solo per dormire, perché poi ci sono spazi condivisi per pranzi o cene con ospiti, per far giocare i bambini, per guardare un film» (dice Antonio Citterio, che nel frattempo costruisce alveari a Hong Kong). Tornando a Pagliani e al Burj, sebbene lui fosse contento, racconta anche che:

«senti inquietanti schiocchi di assestamento del metallo, che si dilata o si restringe a seconda della temperatura»

Non male, in effetti. Poi succede che, quando il Burj Khalifa è stato finito, Google ha preso uno dei suoi Street view Program Manager, Pascal Malite, le ha messo sulle spalle il trekker, immagino la felicità, e l’ha spedita in cima al grattacielo, percorrendo tutti i corridoi possibili, così da produrre le immagini per Street view:

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È più divertente il video della manager che guarda giù dall’ottantesimo piano, secondo me, mentre porta sulle spalle una baracca da non so quanti chili sorridendo, secondo la filosofia del prodotto.
Ecco altri posti notevoli del pianeta da esplorare con Street view, se la cosa piace, in attesa del nuovo cilindrone.

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