minidiario scritto un po’ così di una scampagnata inglese: cinque, luoghi dell’umanità, cattedrali uno e due, cartoline dalla città

Mentre lascio Oxford per andare a Basingstoke, il mio telefono passa al 5g. Ecco, è arrivato quel momento, l’avevano detto: mi hanno attivato. Attivato quei pezzi di chip che Loro, loro!, avevano inserito nel mio corpo con le vaccinazioni anti-covid, ora chissà cosa succederà. Cioè, io mi sento come prima o, forse, è quello che vogliono. Loro. Da adesso tutto quel che farò e scriverò sarà di mia volontà? Come saperlo? Scendo e cambio treno e, senza saperlo, passo da Crosscountry a South Western Railway, altri biglietti, altre modalità, altro account. Vadavialcul, Thatcher. Ed ecco un altro momento in cui arriva Marconi e scopre le cose: la campagna inglese è meravigliosa. Eh, infatti. Lo è in generale, qui nel Wiltshire particolarmente. Fiume, boschetto, ponticello, chiesina, pratone, pecore, pecore, pecore, pratone, guglia gotica. E non ci sono centrali nucleari come invece più su.

Arrivo e chiedo all’esperta del luogo, la gestrice del caffè della stazione, notizie del tempo. Mi assicura tre ore senza pioggia, ce la faccio. Un’ora di cammino, un’ora là e poi ritorno. Ce la faccio. Certi luoghi bisogna un po’ guadagnarseli, questo è uno. Imbocco un sentiero fangoso a fianco del fiume Avon e mi dirigo a nord, perché voglio vedere un posto speciale: Old Sarum. È una collinona abitata da sempre, preistoria, celti, certi chiamati romanes, sassoni, normanni, sbancata fin dai millenni prina di Cristo in funzione difensiva. Ne cadauno una foto che ho fatto volando, che è più semplice:

È la foto del pannello all’entrata, in realtà non volo. Con il tempo, nella zona centrale fu edificato un castello, poi palazzo reale di re Enrico I di inizio XII secolo, e più sotto una grossa cattedrale di cui si vedono le fondamenta, anche qui sopra. Beh, sono emozionato. Come in tutti i luoghi in cui la presenza umana esiste da che esistiamo e le tracce si sovrappongono incessanti, mi percorre un brivido. Non lontano da qui c’è Stonehenge ma noi viaggiatori la consideriamo una baracconata da turisti, riattata senza criterio a fine Ottocento. Come che sia, le zone sono ospitali da parecchio.

Il posto è magnifico e non c’è nulla, né bar né abitazioni né zone di logistica. Un paio di campi da rugby sghembi, con un lato più alto dell’altro. Nel mezzo di quella che era la cattedrale, mi siedo comodo forse sul basamento di un altare e faccio una delle cose che preferisco in assoluto: mangiare un panino all’aperto. Nessun ristorante è all’altezza, per quanto mi riguarda. Nessuno, diciamo, ha del cibo così buono per rinunciare alla vista e al vento.

Poi, come molti, sono attratto dalle rovine e dai luoghi maestosi abbandonati, quello qui sotto era il chiostro della cattedrale.

Non è che sia tutto svanito, il luogo fu volutamente abbandonato per una ragione precisa: c’era acqua, come ce n’è ovunque qui, ma non comoda. E non era più necessario accoccolarsi in cima a un cucuzzolo per aver salva la vita, bisognava anzi aprirsi ai commerci. E così la comunità si trasferì quattro chilometri a sud, alla confluenza di cinque fiumi, in piano, l’odierna Salisbury. E costruirono una cattedrale anche più grande e maestosa, riutilizzando tutte le pietre possibili della vecchia Sarum, visto che erano già comodamente tagliate. Derogo alla mia abitudine di non postare foto da cartolina perché questa sotto rende bene le dimensioni della nuova cattedrale e il colpo d’occhio per chi veniva dalla pianura. E poi per una volta che me ne viene una, la uso.

Scendo anch’io a sud, rifacendo il cammino dei vecchi sarumanici, seguendo la valletta del fiume Avon e anziché migliorare il mio makeup mi riempio invero di fango. Passo a fianco di un campo in cui, coventrizzata Coventry, cominciarono a costruire gli Spitfire per la guerra, tutto in gran segreto grazie alla popolazione. Talmente segreto che a parte un cartello non si vede niente e che la cosa risaltò alle cronache locali solo tre anni fa. La particolarità della cattedrale, invece, la sua bellezza intrinseca, è che essendo stata costruita in soli trentotto anni dal 1220 è un esempio raro di gotico puro, coerente, mentre, che so?, Colonia o Milano per citarne un paio sono influenzate da otto secoli di stili architettonici fino al bizzarro neogotico con cui sono state concluse. È davvero imponente e quando arrivo è buio e rimango sorpreso constatando che non è illuminata. Giusto, ben fatto. Non avendo edifici addossati devo stare fermo un po’ e pian piano la vedo emergere dal buio grazie alle mie retine. Alcuni finestroni illuminati da dentro insieme alle stelle completano la magia.

Strepitosa, del 1994 quando la vidi la prima volta ne ricordo l’emozione, non i dettagli. Salisbury ha quarantamila abitanti, non è piccola, grossomodo come Mantova, Lecco, Lodi, per stare a noi. Ha una parte della città lasciata a campi in cui l’acqua scorre liberamente, ricordo una cosa simile al Marais di Bourges, chi volesse. A differenza però delle città padane, qui fuori dall’ultimo metro della città non c’è nulla se non colline e pecore e boschi, mentre va tu a trovare l’ultimo metro di una città padana. E anche dentro la città il culto e l’attenzione per gli spazi verdi sono davvero encomiabili e mi lasciano di stucco tanto sono incantevoli. Per cui: ora farò una breve carrellata di immagini di spazi cittadini di Salisbury, tutte foto mie, proprio quelle da romanzo inglese di Trollope o Dickens o Austen, e le dedico a R. che so che legge sia i romanzi che più modestamente me e che di recente è un po’ disillusa dagli inglesi; se qualcuno si innervosisse a sapere che qua fuori esistono posti più vivibili della padania, fisica e morale, e so che ce ne sono anche di insospettabili, allora si fermi qui e ci vediamo alla prossima.

Ma come si dice in inglese, face the reality.


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