«possiamo concludere che il sovrano, ben lungi dall’essere il padrone assoluto dei popoli che sono sotto il suo dominio, per quel che lo concerne non ne è che il primo servitore»

Molto buono il saggio di Alessandro Barbero su Federico il grande.

A differenza di altri suoi saggi, vere e proprie lungaggini in cui si perde in rivoli interminabili di particolari minimi senza distinzione – per esempio il suo Carlo Magno in cui per quattrocento pagine pretende di descrivere gli aspetti più minuziosi dell’organizzazione sociale, politica e dello stile di vita dei carolingi, o come diciamo noi più avvisati pipinidi – questo è un saggio breve, ben scritto, dritto al punto. Persino divertente, sicuramente piacevole. E racconta una figura di sicuro interesse a capo di una nazione di grande interesse anche per il ruolo, inconsapevole e in parte immeritato, rivestito alcuni decenni dopo nell’ascesa nazionalsocialista.
Raro che qualcuno riceva in vita il titolo di Grande, der Große, a Federico II capitò, sia per capacità che per circostanze fortunate che fecero di un amante della musica e delle belle lettere, un po’ impacciato, insicuro e succube dell’ingombrante e fastidioso padre, un ammirato capo militare in tutta Europa. Sfacciato, pure, nell’invadere la Slesia approfittando della debolezza della successione di Maria Teresa, disinvolto in Boemia, illuminato verso i sudditi, interessato sempre alla cultura, aspirante filosofo, giusto nel suo Anti-Machiavel, divenne comunque il militare che aveva odiato nel padre.
Una bella occasione anche per ascoltare l’Offerta musicale di Bach, non farò finta la conoscessi prima, che il musicista compose su un tema suggerito da Federico, modesto flautista e compositore appassionato, mentre gli mostrava in cosa consistesse la scrittura di una fuga.

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