Irene Pivetti, ex presidente della Camera e sbruffona leghista del primo governo Berlusconi, molti di noi la ricordano, è stata condannata in primo grado a quattro anni per evasione fiscale e riciclaggio e intanto ha un nuovo processo anche sulla compravendita di mascherine dalla Cina per il Covid. Dichiara: «È un sistema che colpisce tanti imprenditori come me. In un momento perdi tutto, già solo per il fatto di essere un imprenditore sei dalla parte del torto» e: «Non aver minimamente immaginato i risvolti del fare impresa in Italia, la possibilità di finire nel tritacarne. Non rifarei più l’imprenditrice». Ovviamente l’implicito è l’accanimento giudiziario contro chi si dà da fare, già sentito. Conclude con: «Il Signore sa quello che fa e mi affido a lui». Lo stesso Signore che mentre lei imperversava tra compravendite di Ferrari, affari cinesi di mascherine, evasione fiscale, evidentemente dormiva o guardava da un’altra parte. Per cui stia tranquilla, la assisterà ancora nei processi, auguri.
Passeggio per Torino e un giorno sbatto contro una facciata senza il resto dell’edificio.
Machecaz? Cioè, c’è un resto ma non è il suo. Facciamo subito il nome, Francesco Gioia, e le date, 1985-1989, così lo sappiamo tutti. Ma non basta, c’è anche l’altro lato, cadauno immagini esplicative non mie, dopo questa prima:
Le due facciate sono raccordate al centro proprio in un bel modo:
Ma è nei dettagli che viene il meglio. Per esempio, le finestre tagliate:
Mi permetto di insistere frontalmente:
Il Gioia trovò la soluzione talmente bella da ripeterla anche sull’altro lato, con successo:
Il senso di escrescenza cresciuta appunto dietro la facciata originaria è difficile da negare, avendo lasciato lo spessore con sensibilità che certamente al Gioia sarà stata riconosciuta in un sacco di salotti. Vien però un po’ di malessere da sovrapposizione da collage fatto da un recluso ventennale.
Risparmio l’interno, diciamo, e proseguo per la mia zonzolata, un poco più morto dentro. Vale la solita raccomandazione: ma santoddio, piuttosto tirateli giù, ’sti brandelli, abbiate pietà. Altrimenti è come strappare la faccia a un cadavere e metterselo a mo’ di maschera a una festa. Non dico non piaccia a qualcuno, per carità, ma insomma, mai che telefonino prima.
Nel frattempo a Londra si preparano per l’arrivo di Donald Trump, in visita ufficiale ai primi di settembre:
Sarà ospite di Re Carlo a Windsor. Peccato, perché dal fratello Andrea avrebbero potuto ricordare i bei vecchi tempi dal loro amico Epstein. Nine Elms è vicino all’ambasciata USA.
Sul vialone che passa proprio davanti al castello estense, poche centinaia di metri, e che divide il nucleo storico dall’addizione erculea, c’era una volta la chiesa di Santa Maria della Rosa. Una chiesa medievale con un bel convento e chiostro, di una certa importanza per funzione, lasciti e sepolture, fu poi danneggiata pesantemente dai bombardamenti della seconda guerra mondiale.
Deciso che la ricostruzione non ne valesse la pena, il che può anche essere legittimo, si decise di salvare il chiostro inglobandolo in un bel palazzo dell’INA, che la zona era ghiotta. Circondato e assediato.
Operazione molto ben fatta, apprezzabile anche da dentro, son rimasto estasiato da farne una foto.
Il cemento armato lambisce da vicino la struttura, soffocandola purtroppo non definitivamente. Sarebbe stato più onesto tirarlo giù, ’scoltate me. Mai che telefonino prima.
‘We did not live up to our Christianity’ si scusano le suore del Buon Soccorso dell’infame Tuam Home all’apertura di quella che pare proprio essere una fossa comune con oltre ottocento bambini sepolti nel giardino della loro casa di ricovero per donne immorali. Si scusano inutilmente e tardivamente. Le Case Magdalene, attive fino a pochi anni fa, erano gestite da ordini religiosi per conto del governo inglese e irlandese, giova ricordarlo, e si occupavano delle donne non rispettabili secondo la morale, ovvero madri nubili, donne o ragazze troppo avvenenti o troppo brutte, vittime di stupro e così via, che in nome di una presunta riabilitazione venivano messe a lavorare nelle famigerate Magdalene Laundries, catene industriali di lavanderia all’interno degli istituti religiosi che procuravano grandi profitti agli ordini e grandi sofferenze alle donne e ai loro figli. Che, spesso, venivano soppressi.
E allora quando nel 1992 Sinéad O’Connor in diretta al Saturday Night Live stracciò una fotografia di Giovanni Paolo II dicendo: «fight the real enemy» per protestare contro la chiesa cattolica per denunciare anche questo tipo di abusi chi aveva ragione?
Fu massacrata, fu un coro quasi unanime di condanna, la sua carriera rovinata, lei insultata per strada – fortuna non c’era la rete – e nei suoi affetti, un vero disastro. Mi alzai in piedi quando la vidi, non ci potevo credere, e l’ammirai molto per il coraggio. Ma no, i benpensanti tutti a dire che no, la disadattata aveva parlato a vanvera. Attaccata a giudicata da quegli ipocriti stronzi che poi nel privato delle case e delle canoniche facevano le cose più immorali e indegne, furono devastati i suoi affetti, le sue opere, il suo lavoro e la sua vita privata. Ci vollero nove anni, nove!, da allora perché Giovanni Paolo II riconoscesse gli abusi sessuali all’interno della Chiesa, maledetti, Madonna non perse occasione per guadagnare visibilità alle sue spalle, ipocrita pure lei con quel tanto di nome. Lei sì, oscena. Sinéad O’Connor disse poco tempo dopo: «Everyone wants a pop star, see? But I am a protest singer. I just had stuff to get off my chest. I had no desire for fame» e io la elessi a mia guida. Se mi avesse detto di lasciare tutto e andare a guidare una tribù di Ubangi nel deserto, probabilmente l’avrei fatto. Poi disse che quel gesto così contestato in realtà la rimise sulla giusta carreggiata: «I feel that having a No. 1 record derailed my career and my tearing the photo put me back on the right track». E allora, stronzi? Chi diceva il vero?
I’m Xxxxxx (Osiris Amanpour), a long-term subscriber to Spotify, and some day ago I decided to quit. I’m not supporting your decision to invest on Helsing and their AI strike drones and I don’t want my money to be used for such a shameful thing. I think that music is a joyful but a serious issue, so it’s life, ethics and the production and trade of weapons, it’s a matter of judgment and responsibility. I have mine too so I stop giving you my small money and I’m deleting my profile and my playlists on Spotify. I obviously want that you continue to have a satisfactory salary for the finer things in life and like you all the employees at Spotify but I hope many people like me would leave your platform due to your reckless decisions. You have a lot of money and I think you should use it for more useful and noble things, not invest them where it is convenient to make many more. In particular, involving lives of others. By the way, thanks for many enjoyable years.
Poi, le altre ultime cose. La chiusura dell’account e l’eliminazione di qualsiasi cosa contenuta, compile, preferenze e tutto quanto. La pagina è questa e si può eliminare l’account gratuito o, come nel mio caso, quello premium, scegliendo se tornare al free mantenendo il profilo oppure cancellare tutto. Ecco, prendo quella, me ne porti una per favore.
Bene, dovremmo aver finito. Sì, ora è proprio tutto.
Se a qualcuno potesse interessare, ora sto qui. Ne manca ancora una, piccolina, di cosa, che però riguarda me.
Daniel Ek, fondatore e signore di Spotify, ha deciso di spendere una parte congrua dei nove miliardi e rotti di dollari del suo patrimonio in armi.
Helsing è una delle aziende emergenti nel panorama europeo della difesa. Fondata nel 2021 in Germania, la società sviluppa software militari basati su intelligenza artificiale per l’analisi in tempo reale di dati provenienti da sensori e sistemi d’arma. Dal 2023, ha iniziato anche la produzione di droni da combattimento, tra cui il modello HX-2, già impiegato nel conflitto in Ucraina. Secondo Helsing, l’obiettivo è contribuire all’autonomia strategica dell’Europa riducendo la dipendenza da tecnologie non europee.
Con tutto il mio entusiasmoooah, stavolta sono pienamente d’accordo con Piero Pelù che ha affermato: «Visto che la Musica da cui il suddetto succhia i suoi profitti giganti parla oltre che di mille cazzate anche di amore per la vita, di rispetto per l’ambiente, di Pace, noi poveri ingenui abbiamo pensato che questi nuovi investimenti (600.000.000 seicento milioni di €) andassero alla ricerca per il cancro o alle Ong che salvano vite in posti di guerra o in mezzo ai mari, oppure alla costruzione di macchine che liberino i mari dalle microplastiche che ci avvelenano ogni giorno di più» e condivido il nesso e la causalità tra ciò che commercia, la musica, e i fini con cui investe ciò che guadagna. Va quindi presa una posizione, per quanto mi riguarda, da abbonato. Da rilevare che il mondo musicale, almeno quello italiano attorno a Pelù, anche se sollecitato tace.
Un tempo, in tempi migliori dal punto di vista della consapevolezza collettiva, ci si sarebbe fatti sentire, tempestando la segreteria di Spotify di proteste minacciando la dismissione degli abbonamenti finché il capo non avesse capitolato, rientrando dalla scelta avventata. Oggi invece viviamo in tempi individuali e individualistici, per cui toccano anche risposte individuali, sicuramente di minor effetto. Quindi: o non fare nulla, come quasi sempre, o protestare minacciando, o prendere provvedimenti. In questa ultima ipotesi, da un primo sguardo le prime opzioni alternative per catalogo paragonabile mi paiono Deezer e Tidal. Se queste due ultime offrono senz’altro una migliore qualità del suono, oltre mille kbit di bitrate rispetto ai modestissimi trecentoventi di Spotify, e interfacce equivalenti se non migliori, sono senz’altro inferiori per algoritmi capaci di suggerire ascolti analoghi – e quindi, in definitiva, di scoprire musica nuova -, offerta di podcasts e funzioni social. Non indifferente, la questione della proposta di musica affine, almeno per il mio tipo di uso. Deezer e soprattutto Tidal, proprietà in parte di musicisti da Jay-Z in giù, se è ancora così, offrono migliori retribuzioni agli artisti, il che ha un suo significato non da poco, e i ricavi personali di Ek un po’ lo dimostrano. Entrambe le piattaforme propongono un servizio di importazione delle playlist da Spotify e sono entrambi a pagamento oltre le cinquecento canzoni per playlist. Da valutare. Deezer, infine, ha una versione gratuita mentre Tidal no, propone un mese gratuito. Non ultimo, visto il punto di partenza del ragionamento: la proprietà di Deezer è di Access Industries, che si occupa di: «biotechnology, entertainment, external funds, global media, strategic equity, technology ventures, and real estate», quindi forse siamo daccapo; da Tidal è uscito nel 2017 Kanye West, il che è solo bene; la compagnia è in maggioranza di proprietà di Block, Inc., in cui si ritrova Dempsey di Twitter e che ha larghi interessi in forme di pagamento e mining di criptovalute, lui un aspetto ideale l’aveva e non pare avere a che fare con il mercato delle armi. I servizi di audiostreaming sono decine – qui una tavola di comparazione, di Amazon music, Youtube music, Apple music eccetera non mi occupo proprio – e i fattori di scelta sono numerosi e non tutti determinanti. Se per i podcast io avevo risolto così, qui tocca fare un ragionamento più esteso: per quanto mi riguarda, di sicuro la caratteristica principale di Spotify fin dall’inizio, ovvero l’istantaneità, ottenuta con un complicatissimo sistema misto di p2p e chiamate al server, è persa, a volte ci mette un bel po’ a partire. E l’app mangia una quantità di batteria considerevole. Cose comunque da verificare anche in ogni altro servizio. Devo ancora studiare SoundCloud che è, peraltro, il servizio con il catalogo più grande del mondo ma che, da quel che so, è più orientato verso i creatori di musica. Non male, comunque, oltre duecento milioni di brani, figuriamoci, bastano appena.
Ma il punto, qui, restano le armi. E viva Pelù, lo dico. Ora devo dirlo alla mia famiglia di Spozzifai.
Mentre il ministero degli Esteri israeliano sbeffeggia i volontari equipaggio della Freedom flotilla, fermati e intercettati come la nave “Madleen” con gli aiuti per Gaza, definendoli: «I passeggeri del “Selfie Yacht” sono arrivati all’aeroporto Ben Gurion per partire da Israele e tornare nei loro paesi d’origine. È prevista la partenza di alcuni passeggeri del “Selfie Yacht” nelle prossime ore. Coloro che rifiutano di firmare i documenti di espulsione e di lasciare Israele saranno portati davanti ad un’autorità giudiziaria, in conformità con la legge israeliana, per autorizzarne la deportazione. I consoli dei paesi di origine dei passeggeri li hanno accolti all’aeroporto», compiendo numerosissimi illeciti in barba a ogni diritto internazionale, l’esercito israeliano i selfie se li fa davvero, a Gaza:
In Israele ci sono anche le brave persone, lo so, le ho viste e ne sono certo, ma sono troppe quelle che hanno davvero molto che non va.
Meloni dichiara: «Ai referendum vado al seggio, ma non ritiro le schede». Ma santoddio, non andare, vai al mare, ma le stronzate no, per piacere, l’astensionismo mascherato no. Il quorum, se sarà, e quindi la tutela dei lavoratori e dei richiedenti cittadinanza, li raggiungeremo di certo senza di te e le tue scemenze.
Ieri all’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), l’agenzia dell’ONU per la salute, si votava un accordo importante, un testo vincolante che serve a coordinare la risposta dei vari paesi a un’eventuale futura pandemia. Il senso dell’accordo è, per l’esperienza del passato e in previsione del futuro, facilitare la collaborazione e lo scambio di ricerche, prodotti, farmaci, brevetti per affrontare in maniera coordinata eventi futuri. Tre anni di trattative, ora il documento c’è, sembrerebbe facile, no? Invece no, perché siamo in mani pericolose: voto favorevole di 124 paesi e 11 astensioni, indovina chi? Una bella combriccola: Russia, Iran, Israele ed eccoci qua, anche noi. Già. Il governo Meloni ha definito l’accordo un rischio per «la sovranità degli stati» e qui bisogna dirlo: non vi è alcun punto che preveda – e comunque l’OMS non ne avrebbe nemmeno la competenza o la forza – la possibilità di scavalcare l’autorità di uno Stato in tema di lockdown o procedure sanitarie o sociali né è l’intento del testo, nessuna sovranità in discussione. Ma naturalmente siamo nelle mani di chi non si fida dell’OMS, vedi la proposta leghista di uscirne un minuto dopo gli Stati Uniti, e crede che le pandemie si risolvano sovraneggiando nel proprio cortile non sapendo alcunché di nulla, occhieggiando ai no-vax. Ci siamo già passati e grazie al signore Salvini non era più al governo ma i Fontana, gli Zaia, i Gallera li ricordiamo benissimo, i medici da Cuba, i morti pesano anche sulle loro spalle.
L’accordo è storico, è un passo avanti notevole pur con mille compromessi, e noi ci siamo astenuti. Cioè, noi, loro. Ricordarselo chi ha votato Meloni, Salvini e compagnia bella, Russia e Iran seduti appena davanti. Bravi.
facciamo 'sta cosa
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