le allegre nonché inutili guide turistiche di trivigante: tre tentativi di indipendenza tra Solferino e san Martino

Oggi è il 24 giugno e quale giorno migliore per tornare sempre al 24 giugno ma del 1859? Nessuno, ovvio. Il momento in realtà sono tre, 1848, 1859 e 1866, ma i luoghi sono sempre quelli: i luoghi delle tre guerre di indipendenza. Il nemico? Sempre loro, l’impero austroungarico. Noi, prima con la casacca piemontese nelle prime due e, poi, con quella italiana nell’ultima. Ma il problema era sempre quello: spingere verso oriente il confine, sia che fosse al Ticino, prima, o al Mincio, poi. E ora attenzione, rivelo il finale: una vinta e due perse. Quella vinta un po’ è perché con noi c’erano i francesi, tocca ammetterlo anche se poi a Roma ci crearono un sacco di problemi, una di quelle perse è andata comunque bene perché la Prussia vinse per noi, permettendoci di guadagnare terreno. Il resto è indecisione, ripensamenti, inazione, intempestività, timore, banderuolismo, tutta roba nostra. Ma ne parliamo dopo.

La zona è il basso Garda o l’alto mantovano, a seconda del punto di vista, ovvero le colline moreniche del Garda, la parte a colori nella mappa qui sotto. Tra Castiglione delle Stiviere e Valeggio sul Mincio, Peschiera e Volta mantovana, si alternano pianura pianurosa come un tavolo da biliardo e rilievi dolcissimi e vari, verdi, alberati e coltivati. Vale la pena di dirlo: una fascia di territorio di grande bellezza, che varrebbe la pena girare a prescindere da quanto dirò tra poco. Piena zeppo di castelletti scaligeri, borghi e borghetti di buon fascino, cascine e agriturismi, cantine e ristoranti, buoni e pacchiani, e un bellissimo fiume, il Mincio.

Il filo conduttore per un giro in zona, se ne servisse uno, potrebbe ovviamente essere il Risorgimento, anzi più circoscritto: le tre guerre di indipendenza. Lungi da me farne qui una storia, di tutto il Risorgimento a me piacciono i Garibaldi e i Pisacane, i mille e la guerriglia contro i barbogi viennesi, mica i Carlo Alberto che tentennavano, per cui rimando alla guida perfetta per questo: le tre guerre raccontate da Alessandro Barbero. Ho già parlato delle lezioni di storia del professore e dell’ascoltarsele in versione audio, quindi rimando di là, per questa gita il bello è che vi mettete su il podcast, auto o cuffie o telefono, e se siete bravi sarete nei posti precisi quando lui ne parla. O quasi, perché a Custoza toccherebbe tornare due volte ma, insomma, si fa del proprio meglio. Se poi riusciste a farlo non dico il 24 giugno come ho fatto io ma almeno in stagione cogliereste alcuni aspetti importanti. Il caldo, per esempio, notevole per me in camicia, in un giugno bellissimo e con del turismo da fare, figuriamoci per dei soldati vestiti di panno pesante, senza alcuna nozione di igiene personale, in giro per settimane a far la guerra. Morivano di sincope, ben prima di arrivare al campo di battaglia. Eccolo il campo, ho fatto una comoda mappetta con qualche posto che suggerisco. Non stupiscano le dimensioni, si trattava di eserciti ottocenteschi, centinaia di migliaia di persone spesso disorganizzate su fronti lunghi anche settanta chilometri, che ci mettevano giorni e giorni per passare un fiume. L’abilità dei generali era raggruppare l’esercito in tempi brevi dove serviva e noi i generali bravi non li avevamo. Oddio, uno c’era, ma nel ’48 lo lasciarono a casa perché troppo di sinistra, e nelle altre due, pentiti ma fino a un certo punto, lo spedirono verso Trento perché bravo sì ma non tra i piedi.

Solferino, citato fino a non poco tempo fa sempre nella locuzione «San Martino e Solferino», proprio per via della battaglia, è un bel paesello su un colle, con un castello gonzaghesco che oggi è la piazza principale, e la famosa rocca, la «Spia d’Italia» per la retorica risorgimentale, perché stava sul confine fino al 1866. Come molti paesi coinvolti nelle guerre di indipendenza, come San Martino, Custoza e così via, ha un sontuoso ossario, nel quale, con gusto barocco e cappuccino, i resti sono disposti per tipologia, crani con crani, tibie con tibie. Considerando che la battaglia di «San Martino e Solferino», appunto, durò un solo giorno, da mattina a sera, e contò circa quarantamila morti, più i cavalli, i muli e tutto il resto, è facile immaginare la portata di tutta la faccenda.

C’è anche scritto «non toccare», evidentemente era un problema. A Solferino consiglio di arrivarci da Castiglione delle Stiviere per poi proseguire fino a Valeggio sul Mincio. Belle colline, meno abitate del resto della zona, scorci notevoli. A Valeggio uno dei passaggi obbligati del fiume, il ponte visconteo fortificato trecentesco, enorme, impressionante, basti dire i seicentocinquanta metri di lunghezza e i ventuno di altezza. A Valeggio, poi ci sono i tortellini ed è un ottimo punto per fermarsi a mangiare, ogni posto è buono a patto dei tortellini. Di carne quelli tipici, piccoletti buoni per l’umido e il secco. Il fiume è molto bello e vale la pena, avendo tempo e occasione, costeggiarlo a piedi o in bici verso nord.

Passato il colle di Valeggio, avanti verso il colle di Custoza. Ha proprio ragione Barbero, le guerre fino al nostro secolo erano condizionate dalla geografia, perché fiumi e montagne costituivano degli ostacoli considerevoli. Era, quindi, naturale che una volta passato il Mincio da ovest verso est le battaglie sarebbero avvenute a Custoza. Oddio, Custoza, il riferimento è generico, si intende la piana intorno a Custoza; ed è proprio lì che perdemmo non una ma due volte contro gli austriaci: una prima volta il 25 luglio 1848 contro le truppe del maledetto generale Radetzky e il 24 giugno (ancora!) 1866 contro l’esercito guidato dall’Arciduca Alberto d’Asburgo-Teschen. Per gli amanti delle frittole di De Amicis, è a Custoza che il tamburino sardo corse giù dalle colline per chiamare i rinforzi.

Su una collina morenica isolata, Custoza offre gran vista, un ossario non inferiore a Solferino, una grande villa veneta con viale alberato prospettico, il memorabile bianco di Custoza, bello freddo d’estate, e un broccoletto tipico di qui, mai sentito ma che pare sia gran specialità. Scendere verso Monzambano, altro passaggio del fiume, è un attimo, ed è bello, grandicello e placido. Il ponte storico fu fatto saltare dagli austriaci in retrocessione il 9 aprile 1848, inseguiti dalle truppe del generale Breglia i cui genieri riuscirono a ristabilire il passaggio in breve tempo. Durante la terza guerra, invece, furono gli italiani del generale Pianell a difendere il ponte vittoriosamente lo stesso giorno della sconfitta di Custoza, andava così, un po’ vinte e un po’ perse. Ci sarà stato pure qualche ragazzo del novantanove di allora che nel ’48 aveva diciotto anni e che se le è fatte tutte e tre, le guerre? Fortunato perché vivo e sfortunato perché giovane?

Da Monzambano a Peschiera del Garda sono meno di sei chilometri e la visita alla cittadina fortificata del quadrilatero austriaco (le altre erano Verona, Mantova e Legnago) è abbastanza d’obbligo. Per chi lo ricorda, se noi facevamo i renitenti alla leva venivamo mandati al carcere militare di Peschiera, non credo sia più così, o all’ospedale militare, sempre lì, per degenze prolungate. Ed è ovvio, è pieno di caserme, istituite prima per le guarnigioni della Repubblica di Venezia e per gli austriaci poi e, infine, per gli italiani. Belle le mura a spiovere nell’acqua e le due isole che costituiscono il centro abitato, oltre alla vista ampia sul Garda e il monte Baldo sullo sfondo.

Altri sei chilometri per la tappa finale di questo piccolo giro, San Martino della battaglia, appunto. Altra collina da cui guidare gli eserciti, una torre costruita dopo per celebrare la vittoria contro gli austriaci del 1859, una manciata di cascine storiche sparse attorno, luoghi anch’esse dello scontro con tanto di cronologia ora per ora della giornata, un ossario sempre nello stesso stile, accatastamento di ossa per tipo.

Alla fine, le tracce del Risorgimento, della Storia e della storia si trovano un po’ dappertutto, ogni paesello ha un cippetto, numerose lapidi, statue memorande, e anche dove meno uno se l’aspetta (o si sarebbe aspettato lui, quando pensava a un «nome onorato dalla Patria e dagli Italiani»). Bìra e bagno?

Ah sì, in zona c’è un certo delirio per parchi acquatici e di divertimento ma quelli, a me, interessano nulla. A meno che, appunto, non abbiano dei bei nomi.
Buon giro, dunque, a chi seguirà. E mi raccomando i racconti di Barbero.

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