minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 17

Bertolaso, al secondo giorno di lavoro, si è ammalato. Nella migliore tradizione del raccomandato appena ottenuto il posto fisso. Lo so, potevo non dirla ma non sono riuscito a trattenermi. E non ho detto nulla sulle massaggiatrici. Anche il principe Carlo è positivo: te ne pensa se muore prima della vecchia, che smacco! Erede per tre secoli e poi tàc, un maledetto virus che si chiama pure corona non guarda sulle teste altrui. Vabbè, amenità nel vasto panorama del disastro.
Mi colpisce notare che in questo momento la mia visuale sulla situazione è davvero minima, molto ma molto più ridotta del solito, in condizioni normali, quando è già ridotta di per sé. Le fonti informative sono alla fine poche e le stesse per tutti, poi ci si confronta, magari, ci si scambia qualche idea in più, ma il giro del fumo è sempre lo stesso. E ciò che noto, al momento, è che regna una certa confusione: i dati altalenano, non paiono aver preso una direzione decisa, nessuno esprime idee su cosa accadrà poi, su come far ripartire le aziende, le fabbriche, i negozi, le persone stesse, perché è sì prematuro ma anche perché nessuno ha realmente idea di cosa e come succederà. Il Governo, per stare a oggi, promulga un altro decreto, l’ennesimo, e nell’arco di ventiquattro ore ci sono seicento aziende che chiedono di cambiare codice ATECO, evidentemente per restare aperte. E già il decreto era dalle maglie molto larghe, per non scontentare Confindustria.
Ora, io non so quale sia la linea migliore da seguire, se la quarantena e l’isolamento o altro, ma so che se si sceglie di prendere una strada poi bisogna seguirla con decisione, non ondivagando. Altrimenti ogni progresso è perduto e la meta resta sempre lontana. Se tutti noi siamo chiusi in casa da quasi tre settimane e, poi, ci sono ogni giorno più di un milione e mezzo di persone, solo in Lombardia, che si muovono per andare a lavorare, io resto un poco perplesso. E ancor di più se a ogni decisione c’è una massa di irresponsabili che si dedica a trovare la scappatoia: per uscire, per non chiudere, per partire, per scappare, per vedere la nonna. Una massa, per fortuna, molto minoritaria, secondo gli Interni, ma pur sempre presente e visibile.
Secondo i sondaggi, sondaggi?, rispetto a sette giorni fa la Lega è in calo dello 0,5% e scende al 26.5%. Viceversa i democratici guadagano quasi mezzo punto, passando dal 22,5% della scorsa settimana all’attuale 22,9%. Non c’è che dire: prendi Zingaretti, chiudilo in casa con un virus brutto, riducilo al silenzio e il partito guardagna.
I giorni cominciano a essere un po’ tutti uguali, tutti brevi per me che non riesco a fare tutto ciò che vorrei, è tornato un po’ anche il freddo, dopo alcuni giorni di primavera inebriante. Le piante sono fiorite, il cielo è stranamente azzurro e non bianchiccio, più si va avanti e più sarà difficile dire alle persone di stare a casa.

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Un commento su “minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 17

  1. Riprendere i sensi

    Timidi segnali di miglioramento. Non a Brescia, d’accordo, e da verificare nei prossimi giorni, va bene, ma intanto qualcosa sembrerebbe cambiare. La crescita dei contagi (attenzione, l’aumento percentuale dei casi, che vista la base sempre più ampia è un indicatore da prendere con le pinze…) sembrerebbe ridursi e con essa parrebbe finalmente avvicinarsi anche il famigerato “picco”.
    Si aspettava di poterlo non dico intravedere, ma di essere autorizzati a immaginarlo da quando sono entrate in vigore le limitazioni a livello prima lombardo, poi nazionale, due settimane fa. Sembrano mesi, da tanto è cambiato; ma sembra anche ieri, per altro verso. Se tutto si confermerà – ragionevolmente non prima della fine di questa settimana – sarà certo una buona notizia.
    Anche solo col dischiudersi di tale prospettiva, ecco che si sta già aprendo un’altra fase. Dopo il botto che ci ha fatto quasi svenire, lasciandoci per lo più instupiditi, ecco che lentamente ci apprestiamo a riprendere i sensi. Le giornate in cui l’adrenalina pompava instancabile nelle vene, prospettandoci scenari lunari e fantasmagorici, virano verso un periodo di transizione dai connotati incerti, dove non è escluso che il nostro atteggiamento rispetto alla situazione cambi in modo significativo.
    Finora, di fronte alla possibile catastrofe e con dati sempre più (esponenzialmente) preoccupanti, la maggior parte di noi è stata tutto sommato – e credo sia stato un bene, e che sia bene anche sottolinearlo – quieta, accondiscendente e collaborativa. Ma cosa accadrà nel momento in cui l’emergenza diverrà routine? Allorché toccherà magari di evitare il ravvivarsi del contagio laddove i numeri dei malati stiano calando, e non crescendo? Quando si porrà con maggiore chiarezza il dilemma tra vita, salute, libertà e povertà (nostra e altrui)?
    Converrà giocare di anticipo e iniziare ad allenarsi fin d’ora rispetto ai pensieri che quasi inevitabilmente inizieranno a sfilare nel nostro quotidiano. Le scelte calate dall’alto, in particolare quelle limitative della nostra libertà, ci potranno d’un tratto apparire meno necessarie (ma faremo bene a ricordare sempre che quel che vediamo oggi è il frutto di comportamenti retrodatati fino a 14 giorni), meno giustificate da una autentica necessità, più discutibili nei loro dettagli. Saremo mediamente più stanchi, più stufi, e avremo bisogno di un orizzonte per lo meno di medio periodo. Inizieremo a fare dei confronti coi Paesi vicini e con le regioni vicine, domandandoci eventualmente del perché di certe differenze. Cercheremo, non senza ragione, responsabilità politiche e c’è da scommettere che saremo pure sommersi da parecchia spazzatura che, già ora, chi non è al governo sta accumulando contro di esso.
    Mi ripeto che dovremo essere pazienti e responsabili nel giudizio e nell’azione. Ancor più nella cura dei nostri pensieri, nel rapporto con le cose di tutti i giorni, che magari cambieranno per l’ennesima volta dimensione, importanza, e ruolo: il divano, l’uscita per prendere il pane, le letture, la pulizia della casa, il bicchiere di vino, le serie TV.
    Riprendere i sensi dopo questa pausa non sarà, ovviamente, uguale per tutti. C’è chi si è ammalato e lo è ancora; chi ha i propri cari in ospedale e chi al camposanto; chi ha un lavoro e un reddito sicuro anche in questo frangente e chi no. Anche le preoccupazioni, esaurito questo primo momento dell’emergenza, saranno assai diverse. Saranno diverse, tuttavia, non soltanto tra le differenti tipologie di soggetti, ma pure diacronicamente per il singolo soggetto.
    Speriamo che anche la politica se ne renda conto, elaborando per tempo risposte altrettanto differenziate. Certo oggi non invidio Conte per i mesi che lo attendono.

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