minidiario scritto un po’ così delle cose recidive, ovvero perseverare nella pandemia: novembre, persone non indispensabili, scampoli di socialità

«Avremmo dovuto chiudere prima, certo», dice la signora. Lo sguardo di tutti resta perplesso, lei fa una pausa e poi scopre le carte: «Ma le persone devono prima vedere i letti degli ospedali pieni» e patapum, l’ha detto. Che, tradotto da noi, significa non poter dire che si passa al lockdown così, di botto, ma bisogna fare una serie di piccoli passi ravvicinati, chiusura alle 23, chiusura alle 18, chiusi cinema e teatri, centri commerciali la fine settimana, poi le scuole superiori, si entra tutti nell’ordine di idee e poi si arriva al punto di arrivo iniziale: bisogna chiudere. Aspettiamo per domani il terzo DPCM, se non sbaglio i conti, e si vocifera che saranno limitati gli spostamenti tra regioni, forse tra province, pare che il governo voglia delle chiusure locali mentre i presidenti di regione si oppongano e vogliano iniziative su tutto il territorio. Qualcuno vaneggia di chiudere in casa gli ultrasettantenni – Toti, presidente della Liguria di Forza Italia, giova ricordarlo, li definisce «persone per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese che vanno però tutelate» – e benedire così tutta la questione. Naturalmente non funziona così: a problemi complessi corrispondono soluzioni complesse, non è assumendo lattoferrina e rinchiudendo in casa coloro che hanno il cognome che inizia per vocale che risolveremo le cose. Farsene una ragione.

È stata una fine settimana di vero ottobre, sole abbastanza caldo, aria dolcemente autunnale. Le piazze, le colline, i caffè, i parchi si sono riempiti di gente, spesso al limite dell’assembramento. Ciò detto, non mi sento di farne una colpa, almeno non del tutto, a chi si è reso responsabile di tale misfatto (anch’io ero tra loro). Era una questione di sole e di piacevolezza, non c’è dubbio, ma il sentimento prevalente era secondo me un altro: usare ogni occasione possibile prima della chiusura. Non un bel sentimento, poca o nessuna carica positiva, un po’ di rassegnazione e frustrazione, un tentativo di metter via briciole e scampoli per l’inverno. Tutte cicale? Non saprei, però molte sì. Cicale forzate, sicuro. E son bricioline, un caffè all’aperto con gli amici, una passeggiata in centro, due negozi, mica la crociera alle Antille di due settimane con cena al tavolo del capitano e scambio di spiedini di frutta.

Ah, la signora delle prime tre righe è Angela Merkel, per chi non lo sapesse. E se si deve chiudere, e se ne siamo sicuri perché lo dice la scienza per quel che ne capisce, si chiuda, senza tentennamenti. La pillola amara fatta inghiottire a piccolissimi pezzi è cosa per infanti, gli adulti la pigliano e la buttan giù, senza dover essere convinti a passettini e senza che gliela venga contata su di volta in volta. Altrimenti perdiamo solo tempo e occasioni utili.


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26 ottobre | 27 ottobre | 29 ottobre | 1 novembre |

minidiario scritto un po’ così delle cose recidive, ovvero perseverare nella pandemia: ottobre, fuga all’aperto, Nizza e poi bla

E poi va a finire che ho talmente paura del lockdown che ogni occasione è buona per andare in giro. «Guardi, avremmo bisogno di vedere insieme a lei le cose ma, forse, vista la situazione, preferisce non venire…». «Dove siete?». «Modena». «Vengosubito». Questo ieri. Oggi, sempre per paura della reclusione, fuga in montagna a zampettare qua e là, oh: nessun rischio, nessun’anima viva, come è ovvio. Mi rendo conto, lavoro da casa, non mi assembro, non invito persone, non esco a cena, non vado a casa altrui, almeno l’aria aperta me la godo, per il momento, finché siamo ai consigli e non ai divieti tassativi.

Che io dico: abbiamo già ꞌsta menata mondiale della pestilenza, e di tutto il connesso e l’annesso, potremmo gentilmente, cortesemente, pietosamente, miserevolmente, caritatevolmente, evitare le stronzate del monoterrorismo – e del terrorismo tutto – come oggi a Nizza? È possibile? Dovremmo evitarle comunque, lo so e l’ho detto, ma ancor più ora: pietà, siamo già prostrati. Pausa, arimus, time out, rialzo, stop. Perché il passaggio successivo è che l’attentatore è passato da Lampedusa, quindi l’immigrazione, quindi bla e allora bla. E poi ancora bla. E oltre ai poveracci che oggi ci hanno lasciato le penne a Nizza c’è l’affronto di tutto il resto, degli schifosi che rimestano indifferenti e incuranti. Io non sono disponibile ad ascoltare chiunque abbia un tiramento. Anzi. Non sono disponibile proprio ad ascoltare, in generale, se non le cinquanta menti sublimi al mondo che dicono cose utili al progresso collettivo e individuale. Cento, dai. E una abita vicino a me.
Di sicuro non sono disponibile ad ascoltare la famiglia Ferragni («In questo momento mi sento di sensibilizzare verso l’uso della mascherina»), tantomeno Ibrahimovic («Io ho vinto, tu non sei Zlatan. Usa la mascherina», ma va’, scemo) o la ricercatrice – e ordinaria di dermatologia (!) – che lancia la lattoferrina contro il covid e, indovina?, in farmacia va a ruba. Nemmeno, e la finisco qui, la platea del Maurizio Costanzo Show (sono trasalito: ancora?) che ieri sera riempiva un teatro in tutti i posti disponibili, altro che venti per cento o niente come è ora, bellamente in diretta, o quasi, tv. E Celestini, niente. Fuori da un bar di paese, oggi, un folto gruppo di anziani con mascherine messe a metà e il bianchino a portata discuteva con animo se fosse meglio la Boschi o l’Azzolina. Fisicamente. Una parte di paese la sta prendendo bene.
Ecco, però li ho ascoltati lo stesso. E io oggi sono stato perlopiù per monti, a guardare il cielo, del tutto sconnesso con telefono e ammennicoli vari. Quindi non è possibile, l’unica cosa possibile è cercare di dosare. Perché io vorrei anche essere al corrente delle notizie sensate e utili ma per farlo devo stare in apnea mentre scorrono tutte le altre, schivando le più unte. Sarà uno slalom continuo, d’ora in poi, tra false illusioni, sciocchezze, banalità, furbate e pensieri appropriati, tutto un mescolotto.
D’accordo, comincio col mollare Repubblica online. E uno.


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minidiario scritto un po’ così delle cose recidive, ovvero perseverare nella pandemia: ottobre, Mameli, la cultura

Riassumo con l’accetta: il DPCM di domenica chiude d’imperio molte attività riferibili all’ambito culturale, cinema teatri concerti etc. – tutte a minimo rischio di contagio, aggiungo io – e pare tutelarne altre con più attenzione, dalla ristorazione in giù. L’impressione prevalente, dunque, è che venga sanzionato il tempo libero, chiamiamolo così, a favore delle uniche due attività essenziali: il consumo e il lavoro. Il mondo della cultura prova ad alzare la voce (e, bisogna dirlo, non scende in piazza con i bastoni come fanno altri furbastri) e protesta con idee, controproposte e ragionamenti. A simbolo di questo la lettera, l’appello, di Muti a Conte: «Chiudere le sale da concerto e i teatri è decisione grave. (…) Definire, come ho ascoltato da alcuni rappresentanti del governo, come ‘superflua’ l’attività teatrale e musicale è espressione di ignoranza, incultura e mancanza di sensibilità». Conte risponde a stretto giro di posta, tra cui: «la cultura contribuisce a rafforzare l’identità di un intero popolo, agisce come volano per la coesione sociale, creando le basi – al contempo – per un dialogo che attraversa regioni e confini nazionali», occhio a come prosegue!, «aiutando a cogliere, nella propria e nell’altrui leggenda, il comune destino di finitudine dell’essere umano». Pariniano, direi, addirittura Mameliano nei toni, l’altrui leggenda, il comune destino, la finitudine, a Lodi contro il Barbarossa, chiamate Lovaro, presto! Ma la sintesi complessiva, malvagia, che posso fare è: cazzivostri, è così. Non una buona risposta, nei modi e nei contenuti.

Ieri quattromila contagiati in meno, dicono i soliti numeri della sera, e qualcuno, leggero, festeggia perché i provvedimenti del governo già funzionano dopo un solo giorno. Ma è questione di tamponi fatti, ovvio. Nel frattempo, apprendo che la Regione Lombardia manda in provincia di Napoli ventimila tamponi al giorno delle zone di Varese e Como per l’analisi, con un contratto in proroga fatto, anche questo, in modo sfrontato. Già la pandemia sarebbe pesante di suo, potessimo almeno evitarci i furbetti del quartierino sarebbe molto apprezzato. Noi l’ufficio l’abbiamo semichiuso da un po’, smart work per chi può e noi in sostanza possiamo, fuori gli esterni e teniamo qualche sporadico giorno qua e là tra noi per mantenere un contatto, buono per la salute umorale. Spero duri. Complessivamente, al momento, ci si sente al ribasso, resta in bocca il sapore di una mesta tristezza diffusa e parecchia stanchezza.
E rabbia, un po’, la avverto attorno, rabbia per frustrazione, per il non fatto, per la ripetuta situazione difficile. Parecchi, per età o sensibilità, sono già in un formale autolockdown, al massimo un’uscita per le spese e nient’altro.

Il timore del lockdown comincia a insinuarsi dentro di me, non temo la chiusura dei centri commerciali, non potrebbe importarmi di meno, temo la limitazione negli spostamenti. Di conseguenza, l’unica è approfittarne finché posso, che siano camminate in collina o gite della domenica. Ecco, domenica ho deciso di mettere da parte un po’ di bellezza per i tempi futuri e, interrogatomi, mi sono detto che la cosa giusta da fare sarebbe stata fare un’indigestione di armonia, proporzione, eleganza, pulizia e simmetria. E Palladio sia, quindi Vicenza.

Fatto, tutto molto bene. Non fosse che me ne è venuta ancor più voglia, sarei anche a posto per un po’.


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26 ottobre | 27 ottobre |

minidiario scritto un po’ così delle cose recidive, ovvero perseverare nella pandemia: ottobre, la politica dei piccoli passi, le nubi fosche

Ci risiamo. Era impossibile prevederlo, nessuno avrebbe potuto dirlo ed è, inaspettatamente, capitato: ci risiamo. Siamo passati in pochi giorni da mille a ventimila contagi al giorno ed è strano, perché fino a tre settimane fa tutta Europa viaggiava su cifre spaventevoli di crescita e noi fermi a mille, «perché noi abbiamo un sistema migliore». Come è potuto accadere? Impossibile prevederlo.
Ed eccoci di nuovo: i virologi, i complottisti, i negazionisti, i presidenti di regione, i tuttologi, e come non farsi mancare i DPCM e le autocertificazioni? Infatti, ecco pure quelle. Seconda stretta in pochi giorni, giovedì scorso i ristoranti dovevano chiudere alle 23, da oggi alle 18, tra qualche giorno sarà difficile aprire ma nessuno stupore: è la politica dei piccoli passi che conosciamo già, nessuna sorpresa stavolta. O sì? Perché molti sostengono che stavolta sia diversa, «stavolta niente lockdown perché non ce lo possiamo permettere», giusto, esattamente come a febbraio dicevamo che «ma non si può mica chiudere un paese». Infatti.

Sono già stanco. Non tanto del lockdown in sé, quanto del contorno: questa poco meravigliosa abitudine italica di non occuparsi delle cose in anticipo e quando non c’è più tempo farlo in modo drammatico. Sia collettivamente che individualmente. E blaterare, blaterare, blaterare. La Spagna, saldamente in testa per contagi e ammalati, chiede lo stato di emergenza fino al nove maggio, in deroga alla costituzione. Giusto per dare una misura. Perché a marzo c’era la possibilità di sperare nel fattore meteorologico in qualche mese e le giornate, comunque, si allungavano; qui, invece, si va tutto in salita, complice pure l’ora solare di un giorno fa. Si addensano nubi fosche all’orizzonte.
Però questo è e questo sarà, tanto vale raccontarlo. Anche se mi va già di traverso il grido disperato di «salviamo il natale». Magari non proprio tutti i giorni ma quasi, magari occupandosi anche di questioni laterali, per respirare ogni tanto. Magari alcuni giorni davvero in breve, altri meno, la prenderò più distesa perché qui si fa lunga e barbosa, temo. Sarà perché odio le ripetizioni.
E come l’altra volta, sarà il benvenuto chi vorrà condividere, pubblicherò chiunque abbia voglia di mandarmi il proprio minidiario, occasionalmente e non. Anche uno di un giorno solo (posta@trivigante.it). Vedremo.

Bene, se si deve fare, facciamolo. Con un chiarimento, in partenza: l’andazzo di questi giorni è dirci tutti responsabili e colpevoli per non aver fatto nulla negli scorsi mesi per prevenire questa situazione (esempio). Eh no, belli miei, non è così. Molti, moltissimi hanno rinunciato, sono stati attenti, hanno agito, erano perfettamente consapevoli del tempo che sfuggiva di mano mentre altrui si ammassavano al Billionaire a stronzeggiare o a Roma a negare in piazza o, semplicemente, a sbattersene in allegria. Quindi no, non ci provate, non siamo e non siamo stati, anche stavolta, tutti uguali.
Uff, cominciamo ma già lo so: sarà dura.


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26 ottobre |