minidiario scritto un po’ così di navigazione di un grande fiume: cinque, chiarimenti sui titoli, cosa c’è ora e cosa ci sarà dopo, come conviene stare al mondo

Di fronte a Luxor, oltre il fiume, si vede una bella montagnotta di roccia color ocra, sta lì bella visibile e si allarga formando varie valli. Ed è lì che i sovrani d’Egitto, consorti, funzionari, notabili, artisti si fecero seppellire, ciascuno nella propria valle di competenza: dei Re, delle Regine, degli Artigiani. Intendiamoci su un paio di cose che ho appena appreso ma che trasmetto come le sapessi da sempre: faraone non è una carica appropriata per la maggior parte della storia egiziana e non è nemmeno espressiva del ruolo, è corretto parlare di sovrani, termine più esteso. Alessandro Magno, per fare un esempio noto, fu sovrano, mica faraone, che è una roba da Elizabeth Taylor e Hollywood. Nella valle dei Re, che anche in questo caso è un nome dato dagli occidentali scriteriati, in realtà si chiama ‘il luogo della verità’ con molto più significato, qui dicevo furono sepolti i sovrani d’Egitto del periodo tebano, che è pure un nome greco piazzato lì. Sovrani, dunque, il che significa uomini e donne che sia. Filippo di Edimburgo, anche qui per capirci, sarebbe finito nella valle delle Regine, cosiddetta anch’essa. E allora affondo: le piramidi, immaginario occidentale per eccellenza sull’Egitto, e parliamo di duemilacinquecento anni prima di cristo, sono una fase relativamente breve in tema di sepolture e governo, sicuramente dispendiosa e senza dubbio piuttosto primitiva. Non appena l’arte del governo evolvette, la pittura, la letteratura, il pensiero si fecero più complessi nell’Egitto antico si preferirono sepolture scavate nelle colline, che già erano piramidi di per sé, privilegiando il racconto, la sontuosità, la manifattura, la capacità tecnica. Le piramidi di Giza dentro hanno ben poco da vedere, quasi nulla sulle pareti, ambienti ridottissimi. La sofisticazione e poesia raggiunte invece nella valle dei Re non ha paragoni.

Egittocose a piene mani, oggi. La sepoltura, per il sovrano come per chiunque altro – è solo una distinzione di qualità – ha la funzione di accompagnare il defunto lungo la fase notturna del giorno, le dodici ore in cui il sole, ingoiato da Nut, divinità della notte, compie il suo viaggio verso la rinascita al mattino dopo. Non è un viaggio facile, il defunto come il sole dovrà attraversare dodici porte difese da sputaveleno e ogni tipo di pericolo, dovrà essere capace di farsele aprire, dovrà meritarlo. Perché, ed ecco uno dei tratti più interessanti di tutta la faccenda, alla morte la dea della giustizia peserà il cuore ovvero l’anima del defunto ed essa dovrà essere più leggera di una piuma, rappresentazione della nobiltà. Attenzione: la misura sarà la giustizia, non la bontà, la carità, la ricchezza o la benevolenza di un dio qualsiasi: la giustizia. Due passaggi incredibili, ancora. In caso positivo, l’anima – posso dirlo, è anch’essa concetto d’invenzione egizia – tornerà in vita e lo farà in un luogo meraviglioso, si vede rappresentato nelle tombe più belle, che non sarà pieno di vergini, di beatitudini eterne o remunerazioni idiote, bensì sarà un luogo come quello vissuto durante la vita: il Nilo, il sole, le palme, i datteri, le barche, la compagnia. Detto niente? Perdio, il paradiso è qui e ora, è questa vita qua, va preservato e rispettato come tale, è la massima aspirazione. Secondo, se l’anima peserà più della piuma, ocio, bon: si sparisce. Via, puf, nulla, adios, la cosa più paurosa. Non hai vissuto secondo giustizia? Fuori dalle balle. Sottoscrivo, ho alcuni nomi che vorrei suggerire. Io invece in paradiso ci andrò con questa moto:

Le divinità rappresentate nella sepoltura non solo hanno il compito di accompagnare il defunto durante il periglioso viaggio notturno ma, ed è qui che è commovente, di confortarlo e rassicurarlo, avvolgendolo con le ali e con protezione materna. Anche se sei sovrano dell’universo puoi avere paura. È una teologia piena di umanità e compassionevole. Non c’è gente torturata o piagata o dolente o crocifissa, butto lì.

Il luogo della verità è una valle dominata da una montagna piramidale bella giallona all’apparenza come tante altre. Ora noi sappiamo che qua e là secondo disposizioni e criteri del tutto variabili sono sepolti sessantatre sovrani d’Egitto, per quanto ne sappiamo finora. Le tombe venivano scavate, arredate e corredate, dipinte, scolpite, poi occupate dal committente, sigillate, richiuse e ricoperte e, infine, depredate dagli stessi operai che vi avevano lavorato che ne conoscevano l’ubicazione. E molto molto dopo visitate da milioni di turisti sudati. Sic transit. La più gettonata di tutte è quella di Tutankhamon che come sovrano valse poco, nove anni da ragazzino, e come tomba pure. Potere del marketing, maledizione compresa. Io parteggio per il compagno Akhenaton che fece guerra al potere della classe dei sacerdoti, purtroppo precipitando il paese nel caos, devo dire però che le tombe dei Ramsete, secondo, quarto, quinto, forse sesto, faccio confusione, sono largamente le migliori. Tra le regine, le cui tombe sono certamente meno sontuose e articolate, sicuramente la migliore per qualità e soggetti delle rappresentazioni è quella di Nefertari. Personaggio tra l’altro talmente rilevante, moglie di Ramses II, da meritare templi e rappresentazioni in vita ma non al punto da sfuggire alla dura legge delle sepolture in queste valli: dentro con le regine trascurabili e di poco conto. Passavano anni e secoli tra le sepolture reali e non era raro che scavando una nuova tomba si incappasse in un’altra, dimenticata. Nel caso visibile, si fece un angolo retto, un altro e si proseguì col progetto. Tra l’altro, sulla nuova parete in più extra-progetto è possibile oggi vedere una delle più belle pitture di tutta la valle. Vedi il caso?

Bene, credo di aver detto molte cose, alcune probabilmente a vanvera. Basta così. Ora vado in un posto fichissimo ad appesantirmi un pochetto l’anima. C’è stato anche, tra i tanti, Al Gore, scritto così: Al-Gore, all’araba, che ridere. Ma carico poco, resto comunque sotto la piuma.


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4 commenti su “minidiario scritto un po’ così di navigazione di un grande fiume: cinque, chiarimenti sui titoli, cosa c’è ora e cosa ci sarà dopo, come conviene stare al mondo

  1. Domandina del piffero (che metafore
    da AI Open):
    ma la “notte” si chiama così dalla dea Nut, che si rimpinza per 12 ore di sole?
    Quante informazioni mi dà questo viaggio, senza togliermi le pantofole dai piedi!
    E che fotografie, belle e bizzarre.
    Ecchecccolori del cielo…

    Grazie, spirito generoso.

    • Pare proprio di no, pare derivi da una comune radice indoeuropea. Azzarderei piuttosto sia la dea a chiamarsi così dalla notte. È una delle dee più belle e ha delle rappresentazioni davvero fantasiose. Un giorno ne metto qui alcune.

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