giornata dell’unità nazionale e delle forze armate numero novantanove

Perché sarebbero cent’anni dalla “vittoria italiana nella prima guerra mondiale“. Mah.

Italia: 700.000 morti, 1 milione di feriti, di cui circa la metà invalidi permanenti, 40 miliardi di lire di allora spesi per il conflitto, ovvero oltre il 70% della spesa pubblica. In un esercito composto per la metà da contadini (2,5 milioni di uomini delle campagne a cui vanno aggiunti operai, piccoli artigiani e minatori, studenti…) ci furono 400.000 soldati processati per insubordinazione e autolesionismo, 100.000 invece i processi per renitenza alla leva (senza contare le decine e decine di migliaia a carico degli emigrati). Ancora di più furono le denunce degli ufficiali verso i sottoposti, quasi 900.000. Tra i processati circa 170.000 vennero condannati, 16.000 all’ergastolo, e 750 almeno alla fucilazione (difficile stabilire quanti soldati vennero fucilati sul posto durante i combattimenti o le fughe). Seicentomila soldati italiani vennero fatti prigionieri e, anche grazie al comportamento del governo italiano che li trattò da codardi e impedì sostanzialmente l’invio di pacchi viveri tramite la Croce Rossa, 100.000 morirono durante la prigionia. Durante il periodo di comando del gen. Cadorna morivano circa 11.000 persone al giorno.

Dicevamo: Vittoria?

me pensavo mejo

Secondo Google Art Selfie, ovvero fatti-una-foto-e-io-ti-dico-a-che-quadro-assomigli, io ho queste facce qua:

Oddio, sono le due che più si avvicinano secondo l’algoritmo di analisi e ricerca e una delle due non ha sbagliato di molto, l’altra un po’ di più, secondo me. Ma, insomma, non un granché, se devo dirla tutta. Il gioco è però divertente e i risultati, se non altro, non sono certo scontati o prevedibili, vedi Mazalić o Tooker (chi sono costoro?).

multilingual metal: sociocultural, linguistic and literary perspectives on heavy metal lyrics

Finalmente è arrivata l’occasione per una due-giorni di intenso studio, partecipando a questo convegno a Londra, settimana scorsa.

Oh, UCL, mica bazzeccole. Molto interessante l’excursus di investigazione sulle relazioni tra “black and death metal, religion, nationalism and Viking imagery” e gli aspetti controversi che riguardano razzismo e sessismo nel metal. E che dire della disamina approfondita di alcuni tra gli studi recenti più significativi (Weinstein 1991, Clendinning & McAuley 2009, Spracklen 2015, Sellheim 2016)? Molto interessante. Notevoli anche i relatori, molto preparati e di grande personalità: Imke von Helden (University of Koblenz-Landau), Titus Hjelm (UCL) e Karl Spracklen (Leeds Beckett University), senza naturalmente dimenticare il professor Karl Farrugia.

Oh, pensavo di vedervi lì.

i butei

Dopo aver letto Questa pazza fede. L’Italia raccontata attraverso il calcio di Tim Parks, raccontone in cui – capitolo per capitolo – lo scrittore inglese narra il campionato del Verona in serie A 2000-2001, i butei dell’Hellas Verona mi son simpatici.

Sarà la vicinanza, sarà una certa comunanza culturale, sebbene ovviamente loro rigurgitino atteggiamenti fascisti e razzisti qua e là, sento una certa comunione. Un po’ come accade con certi parenti, che sono tuoi anche se non li apprezzi troppo e, in qualche maniera, gli vuoi bene.
Ma quando accade che esprimano il loro genio, allora son contento di non esser troppo lontano. Per esempio, quando in curva esposero questo supremo, sommo, altissimo striscione:

Perché proprio quell’anno il Verona (scusate: l’Hellas Verona, non sbagliare) disputò lo spareggio per la salvezza contro la Reggina. E Dio non la salvò ma, guarda te, salvò l’Hellas. Gloriaddei.
E come non intenerirsi quando Gloria, dei butei del gruppo 1 luglio 2004, va a vedere la Gioconda e decide di farsi una bella foto da mandare ai ragazzi (con didascalia: “Sullo sfondo (naturalmente in secondo piano) la Gioconda di Leonardo da Vinci“)?

Per il libro di Parks, molto divertente a tratti, valga come recensione la lettera di una signora di mezza età di Birmingham, riportata nell’introduzione:

“Se avessi capito anche solo per un momento che il libro parlava di calcio”, scrisse, “non l’avrei mai comprato, non mi sarei mai sognata di comprarlo. Odio il calcio. Pensavo che fosse uno dei suoi bei libri sull’Italia. Ma dopo poche pagine mi è piaciuto. Mi piacciono tantissimo le persone di cui parla. E alla fine ero davvero in pena per la possibile retrocessione. Da non credere!”.

“Vogliamo Laursen Re”.

promemoria: comprare le uova

Mapporc… Basta, non crederò mai più a nulla.

Lo so che sono un ignorante, infatti l’ho scoperto solo ora. Oggi.
Niente sarà più lo stesso.
Come cosa? Beh, che le uova in natura sono solo bianche. Bianche! E che il bel color marroncino-uovo è frutto di una scelta precisa e di vitamine nei mangimi: richiama la natura e i paesaggi di campagna, e fa vendere più uova. E la scelta è culturale: noi italiani preferiamo il guscio d’uovo colorato, negli Stati Uniti, per dire, prediligono il bianco. E io a pensare che fosse questione di galline…
Come si chiama, ’sta cosa? Neuromarketing. E io sono appena sceso dalla montagna del sapone, eccome.

[Ah, e non si pensi che la colorazione interna sia naturale… Eh no, la preferenza del consumatore comanda anche dentro].

dopo il Limbo stavvi re Minosse, giudice dei dannati

La vicenda del visitatore che al museo casca dentro un’opera d’arte contemporanea continua a farmi ridere parecchio. Non so cosa avrei dato per esserci, per assistere davvero alla fruizione dell’arte da parte del pubblico.
Dettagli, non secondari: il museo è il museo Serralves di Porto, l’opera d’arte è “Discesa al Limbo” di Anish Kapoor, la data è ieri o l’altro ieri.

E un dettaglio piuttosto importante: il turista è italiano. Perché all’estero nessuno come noi, ihih.

Qui sopra, Kapoor con il suo Limbo. L’esposizione è questa, per coloro che volessero caderci dentro. Il turista è stato riportato al mondo terreno, scampando a una sorte mica tanto bella.