laccanzone del giorno: Counting Crows, ‘Omaha’

I Counting Crows sono una band californiana che per tre anni, tra il 1993 e il 1996, ovvero tra il primo e il secondo disco, non sbagliò un colpo. Il cantante e autore principale, Adam Duritz, sebbene fosse piuttosto impegnato ad accompagnarsi alle donne del cast di Friends e ad apparire in qualche puntata, ebbe il suo picco creativo. Ne ho detto qualcosa brevemente qui, in occasione di un’uscita importante.
Comunque, il primo disco fu fenomenale, August and Everything After, e il secondo pure, Recovering the Satellites, sebbene abbia incontrato meno il favore del pubblico e della critica (ma non il mio), perché un pochino più intimo ed emotivo. Dopo il 1996, per quanto ne so io, non hanno più azzeccato un colpo: prima tutto, dopo niente. Succede.

Ma in quegli anni le vette furono molte, per dire: Mr. Jones, Perfect Blue Buildings, Raining in Baltimore, Goodnight Elisabeth, A Long December e altre, tra le quali laccanzone di oggi è Omaha. E Omaha, in Nebraska, somewhere in Middle America, era una metafora e una chiave di lettura dell’America di quegli anni, dritti to the heart of matters. I testi dei Counting Crows son tutt’altro che banali, sono significativi esercizi di scrittura di buon valore.
Omaha forse non è il pezzo più esplosivo o memorabile dei Counting Crows ma è un gran bel pezzo, la fisarmonica accompagna una ballatona che da quasi trent’anni mi fa sempre piacere sentire. Li ascolto con affetto perché io c’ero e li ricordo passo-passo, il primo, poi il secondo disco, poi gli altri, e ricordo che saltai un loro concerto a Milano perché il giorno dopo mi sarei laureato. Ma son cose che si capiscono dopo, avrei fatto bene ad andare.

Trostfar, gentilmente, raccoglie tutte leccanzoni in una pleilista comoda comoda su spozzifai, per chi desidera. Grazie.

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