almanacco dei sette giorni, per figliuoleggiare (21.14)

☀ Cominciamo con il fatto storico: in Italia è stata abolita la censura, almeno quella cinematografica. Mica poco. Ora i film non potranno essere tagliati o esclusi dalla proiezione. Se qualcuno fa spallucce, significa che sa proprio pochino. Basti dire, qui, che Bertolucci per ‘Ultimo tango a Parigi’ non solo fu censurato ma perse anche i diritti civili – votare, per capirci – per anni. Per me e per molti, è una cosa epocale, il principio che una ristretta commissione di bigotti rinciuliti non possa più metter becco nelle opere cinematografiche a me dà grande sollievo. Qui qualche contenuto al riguardo. Certo, potrebbe obiettare qualcuno, se poi non esistono più i cinema… eeeeh, già, altro problema serio.

✘ L’11 aprile, a Mezz’ora in più su Rai 3, Nicola Zingaretti – ex segretario del PD – ha detto che la cosiddetta “variante inglese” è «40 volte più contagiosa» di quelle già in circolazione. È vero che la variante inglese (Voc-202012/01 o B.1.1.7) è più contagiosa e lo è, però, tra il 30 e il 75 per cento, a seconda dei metodi di calcolo utilizzati. Secondo quanto detto da Zingaretti lo sarebbe del 3.900 per cento ed è evidente la sciocchezza detta. Vorrebbe dire, in estrema sintesi e senza gallerate, che una persona in media contagerebbe altre quaranta persone. E se così fosse, noi saremmo belli che fottuti, per dirla tenue. Però, perdio, se almeno i sinceri democratici stessero un po’ più attenti a quel che dicono in tema di pandemia, non si andrebbe ad aggiungere patema agli allarmismi e alle notizie false sparsi a piene mani dal centrodestra. È chiedere troppo? Secondo me la precisione e la correttezza nell’informazione dovrebbero far parte del bagaglio di ogni persona retta, ancor più se di sinistra. Ecco, l’ho detto.

☀ Ancora sulla pandemia: Tre lezioni positive della pandemia, un bell’articolo di Zeynep Tufekci, pubblicato sul The Atlantic, rivista americana. Nessun ottimismo inutile, merita segnalazione. E lettura, se possibile.

✘ In Brasile, a Encantado, nel sud del paese, qualche matto patocco sta facendo costruire una statua del redentore ancor più grande di quella di Rio, cinque metri di altezza in più. Vabbè, la cosa però interessante non è tanto che sia finanziata con donazioni di privati e aziende, e già uno si chiede, quanto più il costo previsto: 350 mila dollari. Mica tanto per una sboldronata così, mica tanto. Cioè: sarebbe troppo poco, costasse di più a certa gente non verrebbero queste idee malsane. Ma, visto il costo, sto accarezzando l’idea di finanziarne una qui, ma non di Gesù. Adesso ci penso seriamente, se di Andrea Pazienza o Libero Grassi o di una megabanana o del primo sciatore marocchino alle olimpiadi, si accettano idee brillanti.

☀ Gli Who ripubblicano ‘Sell out’, il loro disco del 1967 concepito come una trasmissione radiofonica, con tanto di spot intramezzati alle canzoni, uno dei quali era “Heinz Baked Beans”, un altro lo strepitoso “Odorono”. Le prime 1.967 copie del disco, in versione deluxe, saranno corredate da una lattina vera e propria di fagioli, prodotta appositamente. Le lattine saranno autografate dagli Who viventi e il tutto sarà devoluto in beneficienza. Ben fatto. I fagioli Heinz si trovano, invece, regolarmente al supermercato, autografati al massimo dal commesso.

☀ Per qualche giorno sul sito di Gallimard (il più importante editore francese, per chi non avesse mai masticato Queneau) è apparsa la scritta: «Date le circostanze eccezionali vi preghiamo di rimandare gli invii. Prendetevi cura di voi e godetevi la vostra lettura». Significa: abbiamo capito che siete chiusi in casa e avete colto l’occasione per scrivere il romanzo del secolo ma noi siamo sommersi e, mediamente, ciò che ci inviate fa schifo al cavolo. Perché, invece di scrivere, non leggete un po’ di buona letteratura? Magari Gallimard?

◼ È scomparso Gianluigi Colalucci, restauratore e accademico italiano che dal 1980 al 1995 diresse i lavori di restauro della cappella Sistina. Le polemiche furono forti, perché fu molto forte il contrasto tra la cappella com’era, coperta di fuliggine e nero di secoli di conclavi, torce e visitatori, e come apparve subito dopo il restauro, splendente di colori, per i critici, troppo vivi. Colaucci, che doveva essere uno con le spalle larghe e che non la mandava certo a dire, rispose: «La Sistina è così. Non perché è pulita troppo forte, ma perché è pulita fino al punto da recuperare la pittura di Michelangelo. Punto e basta. Se poi il salto tra com’era ridotta a com’erano i colori di Michelangelo è forte, non è un problema mio». Punto. E. Basta.

☀ Il prossimo street artist da conoscere, magari? Adrian Wilson. Non è nuovo, è solo poco noto da noi, ha lavorato nel campo della fotografia, della pittura, il suo motto è: «le idee non sono niente al di fuori della realtà» e con questo sostiene l’importanza dell’arte di strada, effimera nella propria breve durata. Ha fatto molte cose, in metropolitana piuttosto che fuori, è piuttosto noto per i vestiti fatti di mascherine chirurgiche cucite insieme. Qui sotto un’opera in metropolitana e non si riferisce a Pilippo di Inghilterra, d’attualità, ma a Prince il cantante, ed è una serie.

✘ Il Comune di Roma, ormai prossimo alle elezioni, è allo sbando anche nelle piccole cose. In un video promozionale per la Ryder Cup 2023, un’importante gara di golf che si terrà a Roma, appaiono immagini dell’arena di Nîmes in luogo di quelle del colosseo. Il tutto pubblicato dalla Raggi, non so se la voce metallica che si sente sia la sua. Amen. Inoltre, i bunker dei Savoia e di Mussolini, rispettivamente a villa Ada e a villa Torlonia, chiudono e resteranno senza manutenzione perché il Comune non ha indetto un nuovo bando per decretare chi in futuro dovrà prendersene cura. Per chi non mastica, sono luoghi molto frequentati dai turisti e producono entrate. Amen due. Ormai c’è solo da sperare in un cambio di amministrazione.

◼ Lens Store, che vende lenti a contatto online, ha messo sul proprio sito immagini di sette città cui è possibile applicare dei filtri che corrispondono a difetti visivi, come cataratta, glaucoma, daltonismo e così via, per rendersi conto di come veda una persona affetta da uno di quei disturbi. Secondo me il daltonismo è molto attenuato, chissà. Lo scopo promozionale è chiaro ma potrebbe anche servire a rendere più consapevole qualcuno delle patologie oculari.

Patapum: nuovo sito per il Louvre e tutta la collezione di opere, o quasi, disponibile online. Mezzo milione, cinquecentomila opere. Non bastasse, hanno aggiunto anche le sculture dei giardini delle Tuileries e del Carrousel. Esagerati.

Settimana più dedicata a cose altre, come si vede, sarà che seguo meno le vicende politiche e pandemiche per ragioni di stomaco e di nervi.


L’indice degli altri almanacchi.

oggi qui si festeggiano i cosmonauti

Oh, cosmonauti, cioè quelli che sono stati nello spazio, non come quelle sciacquette degli astronauti che bastava essere candidati. Oggi è il 12, il giorno del cosmonauta, il giorno della festa. Perché il 12 aprile di un sacco di aprili fa Jurij Gagarin, primo essere umano, vide la terra dallo spazio.

Viva l’esplorazione spaziale, viva il progresso umano, viva l’URSS, viva l’umanità, viva la terra, viva A. e L. che hanno deciso di avere oggi il loro anniversario, viva chiunque creda nella libertà. E abbasso l’Avvenire che sostiene in questi giorni delle bestialità sul primo cosmonauta. Si brindi e si riguardino “Cosmonauta” di Susanna Nicchiarelli e “Good-bye Lenin” di Wolfgang Becker, con il commovente tassista-cosmonauta-presidente-Sigmund Jähn.

«Perché la brava gente si somiglia dappertutto»

Sono trentaquattro anni che è morto Primo Levi.

Alcuni interrogativi non sono risolti e non avranno mai risposta, come diceva lui nemmeno chi decide conosce le ragioni della propria, ultima, decisione. Ciò che importa, ora, è che manca, e l’unica cosa è ricordarlo e, soprattutto, leggerlo. Lo dico ancora una volta: fatevi un regalo, un regalo vero e grande, leggetelo. Non solo ‘Se questo è un uomo’, anche tutto il resto, cominciando magari da ‘La chiave a stella’ o dai racconti. Perché vi assicuro che non è quello che vi hanno imposto a scuola, è molto molto di più. Mi ripeto, ancora: una fortuna, averlo avuto.

minidiario scritto un po’ così delle cose recidive, ovvero perseverare nella pandemia: aprile, «alcune centinaia», un paese di settemila persone, questioni di coscienza?, la nostra ingratitudine

«Smettete di vaccinare i giovani». Questo è Draghi ieri. Perché da quando le vaccinazioni hanno cominciato a procedere a un ritmo decente – decente, oddio, ben al di sotto dei proclami tromboni degli ultimi mesi ma di sicuro anche delle attese un po’ più misurate – il gioco è stato quello della misurazione del peso specifico delle categorie professionali e degli ordini: le spinte lobbiste di avvocati, giornalisti, docenti universitari, dirigenti di aziende sanitarie e non, sacerdoti, commercialisti, hanno prevalso in larga misura sui principi sanitari, che avrebbero suggerito di vaccinare i soggetti più a rischio prima.
Ed è andata così che gli ottantenni sono rimasti indietro. Ma indietro per davvero: tre giorni fa l’immorale Bertolaso, in pubblica conferenza stampa, dava istruzioni suggerendo ai vecchietti rimasti fuori dall’abominevole sistema di prenotazione di Regione Lombardia di recarsi in un centro vaccinale qualsiasi senza appuntamento, assicurando tutela e vaccino. «Sono alcune centinaia», diceva l’improvvido, figurando facili disbrighi e carinerie sotto i tendoni. E infatti: gli ottantenni e ultra solo in Lombardia sono qualcuno in più, centottantaduemila. 182.000. C-e-nn-tott-a-nt-a-due-mmila. 606 volte «alcune centinaia», per dire. Il che significa, in fatti molto poveri, persone che accompagnano uno o più ottantenni in centri vaccinali a caso e che cercano di racimolare gli avanzi delle fiale del giorno. Con il rischio, ovvio, di non ricevere nulla, attendendo ore spesso all’aperto – e in questi giorni tira un vento gelido mica da poco – e senza alcuna certezza. Si fa così? No, non si fa così. Non è incompetenza, lo sarebbe se uno dicesse cinquecento per mille, ma dieci su diecimila è malafede, disinteresse, immoralità.
«È assurdo che si vaccini uno psicologo di 35 anni», diceva sempre Draghi ieri, dimenticando però che lo piscologo di 35 anni è per la legge un professionista sanitario e che in base al suo proprio decreto di Draghi non potrebbe lavorare se non vaccinato (Decreto Legge 1 aprile 2021, n. 44), ma non importa: è rilevante il principio che sta dietro alle parole, cioè procedere per indicazioni sanitarie e non per privilegi di categoria. La faccenda, tra le varie ragioni e oltre a un certo vizio nazionale radicato di saltare sempre la fila e di guadagnare i posti migliori a discapito degli altri, è cominciata anche a causa di AstraZeneca e del suo vaccino Vaxzevria. Poiché prima era sconsigliato agli anziani e l’Italia aveva puntato in modo massiccio su quello rispetto agli altri, avendone maggiormente a disposizione si è pensato di procedere con le persone più giovani. Sensato, se non fosse che non si è iniziato dai cosiddetti ‘soggetti fragili’, malati, operati, persone con patologie autoimmuni e così via, soggetti essenziali per lo svolgimento della vita comune, no, si è preferito andare per categorie, come detto. Poi AstraZeneca, continuerò a chiamarlo così, è stato sospeso, poi si è sospettato di alcune trombosi correlate, poi è stato sconsigliato per le persone con meno di sessant’anni (trenta in altre parti d’Europa, anche qui viva l’Europa unita). Allora capovolgiti mondo, i vaccini più disponibili sono per gli anziani e, quindi, partono in tromba le prenotazioni per le fasce 70-79, avanti. Ah già gli ottantenni, quelli niente, come ho detto prima, perché sono «alcune centinaia», si infratteranno negli interstizi. Ma le proporzioni non cambiano, almeno finora, le persone anziane in via di vaccino sono ampiamente meno della metà del totale, ancora. Il che ha un costo quantificabile, molto preciso, e non è un ritardo nella consegna di una pratica burocratica, che avrebbe poco effetto, qui il costo sono i morti. Oltre settemila, qualcuno ha calcolato (la Fondazione Gimbe), settemila persone che sarebbero ancora vive se si fosse proceduto per età nelle vaccinazioni. Chi ne risponde?

Il signore qui sopra, nell’immagine, paziente che si sottopone a una terapia discutibile per la cura delle emicranie a inizio Novecento, ben rappresenta come mi sento io in questo periodo. Il signore con il martello non è, però, la pandemia o il covid, che ne avrebbe ben ragione, ma l’amministrazione, il governo (con la minuscola, nel senso di chi è preposto a prendere decisioni e stabilire un criterio), la Regione (maiuscola, intendo la Lombardia), chi ha compiuto molte delle scelte deleterie dell’ultimo anno. L’incudine è la pandemia, le due signore che assistono partecipi ai lati, potrebbero essere la personificazione delle cose che mi aiutano a stare a galla, che so?, gli amici e qualche parente, il minidiario, i libri, la musica, il vino, l’aria aperta, camminare.
Draghi, sempre ieri, ha posto una questione che, a sua volta, mi ha posto di fronte a una domanda. Ha detto: «Con che coscienza un giovane si fa vaccinare sapendo che lascia esposta una persona che ha più di 65 anni o una persona fragile?». Il che, a discesa, presuppone che una persona giovane, chiamata al vaccino per appartenenza a qualche tipo di categoria ritenuta essenziale o prioritaria, se dotata della coscienza di cui parla Draghi, avrebbe dovuto non presentarsi all’appuntamento. Difficile. Io non so cos’avrei fatto, sono certo che avrei fatto molta fatica a rinunciare, soprattutto se attorniato da un mondo che si comporta in altra maniera e va in un’altra direzione. Ma non è una giustificazione, penso sia una questione mal posta, sinceramente. La somministrazione dei vaccini e il fronteggiare una pandemia, o un’emergenza in generale, non sono questioni da lasciare alla coscienza personale bensì a chiare e precise direttive comuni: o puoi o non puoi, con i condizionali del ‘potresti ma non dovresti’ non credo si vada molto lontano. O, meglio, le pulsioni alla propria protezione sopravanzerebbero in innumerevoli casi quelle rivolte al prossimo, non c’è dubbio. Forse si può approfondire.
Per chiudere, due cose. Prima, ho provato grande sollievo al buon esito di quattro prenotazioni per la vaccinazione di persone a me vicine, tutte oltre i settant’anni, vedremo poi come andrà all’atto pratico, e una certa qual soddisfazione nel constatare il buon funzionamento della piattaforma di registrazione fornita da Poste, in sostituzione di quella scellerata di Aria di Regione Lombardia. In barba alla nomea di Poste, il sistema informativo è degno di un paese civile e normale, cosa che in me causa ancora stupore. È giusto riconoscere anche i meriti, talvolta. La seconda è questa: un anno fa avevamo (avevo, anch’io) salutato con gioia e riconoscenza i cinquantatré operatori sanitari, medici e infermieri, cubani che erano venuti a titolo gratuito ad aiutarci nella fase critica della pandemia. Come gli albanesi e chiunque fosse poi venuto in nostro soccorso. Mentre i trenta medici albanesi, però, li avevamo mandati via, alla fine, con una bella denuncia per disturbo della quiete pubblica, perché avevano osato festeggiare la fine della loro missione, i cubani li abbiamo ringraziati così: l’Italia ha votato contro, nei giorni scorsi, una risoluzione presentata al Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu che chiedeva la fine dell’embargo nei confronti del paese caraibico, votando al fianco di Israele, Stati Uniti, Polonia e Gran Bretagna. Per carità, si tratta di due cose diverse, parliamo di ambiti differenti, non sono… Davvero? Perché la risoluzione affronta una questione significativa in questo senso, ovvero parla di «grave preoccupazione per l’impatto negativo delle misure coercitive unilaterali sui diritti umani mettendo – in sintesi – in relazione diretta le sanzioni economiche con la sopravvivenza e il benessere di milioni di esseri umani», e son ben sessantun anni di embargo in questa direzione. Sopravvivenza, come in caso di pandemia. Dopo averli chiamati hermanos de Cuba e celebrati, giustamente, avremmo forse potuto ricordarcene un anno dopo? Magari?


Le altre puntate del minidiario scritto un po’ così delle cose recidive:
26 ottobre | 27 ottobre | 29 ottobre | 1 novembre | 3 novembre | 4 novembre | 6 novembre | 8 novembre | 11 novembre | 14 novembre | 18 novembre | 21 novembre | 25 novembre | 30 novembre | 4 dicembre | 8 dicembre | 12 dicembre | 19 dicembre | 23 dicembre | 30 dicembre | 6 gennaio | 15 gennaio | 19 gennaio | 26 gennaio | 1 febbraio | 15 febbraio | 22 febbraio | 24 febbraio | 1 marzo | 25 marzo | 9 aprile |

vola al cinema

Nelle gelide profondità dell’Antartico un team di geologi scopre un vecchio laboratorio nazista ancora intatto in cui hanno avuto luogo oscuri esperimenti. Per conquistare il mondo, i nazisti hanno creato squali modificati capaci di volare guidati da superumani non morti. Per contrastarli viene rianimata una task force di soldati caduti in Vietnam nota come “Dead Flesh Four”.

È Sky Sharks, film dalla trama complessa e scelte registiche per veri cinefili.
Tra l’altro, non sono sicuro ma penso sia una storia vera.

un altro luminoso successo per il ministero dei Beni Culturali e del Turismo

L’anno scorso, in piena pandemia, quel trombone del ministro dei Beni Culturali e del Turismo Franceschini aveva annunciato un’ideona, ovvero di creare «una sorta di Netflix della cultura», intendendo una piattaforma digitale per «offrire a tutto il mondo la cultura italiana a pagamento». La piattaforma sarebbe stata utile «in fase di emergenza», cioè in lockdown con le persone rinchiuse in casa, ma anche dopo. Questo in primavera. Poi Franceschini s’è distratto e boh.
A gennaio, il 12, si è svegliato e ha annunciato il lancio della piattaforma. Lo sbocco naturale sarebbe stata la RAI, che con RAIPlay ha già un’infrastruttura di questo genere ma, ovviamente, il ministro ha detto che avrebbero lavorato con Cassa Depositi e Prestiti e Chili (di Parisi, ex centrodestra milanese). Vabbè, comunque la «Netflix della cultura» ha un nome: ITsART (da “Italy is Art”). Che, complimenti, fa veramente schifo, esattamente come il logo e come il piano tutto.

Il logo, se riesco a smettere di ridere, ha questa descrizione: «con una linea dinamica e moderna, evoca l’italianità con un richiamo al tricolore. Il punto davanti a IT, che ricorda l’estensione .it, indica la proiezione italiana sul web, sottolineando la visione digitale del progetto» e non c’è un concetto che non sia discutibile. Naturalmente non si sono premurati prima di verificare i dominii e il .com è occupato, di conseguenza hanno comprato il .tv. Ma non basta. Ecco cosa dovrebbe essere, secondo il lancio del ministro: «ITsART è il nuovo palcoscenico virtuale per teatro, musica, cinema, danza e ogni forma d’arte, live e on-demand, con contenuti disponibili in Italia e all’estero: una piattaforma che attraversa città d’arte e borghi, quinte e musei per celebrare e raccontare il patrimonio culturale italiano in tutte le sue forme e offrirlo al pubblico di tutto il mondo». Ma che bello (sarcasmo), e da quando? «Fine febbraio, inizio marzo». Infatti.

Quattro milioni stanziati dal ministero più i soldi del Fondo Unico per lo Spettacolo ma attenzione: non è previsto che ITsART produca contenuti originali, cosa che peraltro RAI fa, ma sarà semplicemente un «canale di distribuzione digitale». Che però al momento è nulla.

Ce ne sarebbe di che essere sconsolati ma fare esercizio di memoria potrebbe riservare ancora qualche soddisfazione: nel 2007 lo stesso ministero aveva lanciato con spreco colossale il sito italia.it e la presentazione di Rutelli in un inglese inesistente fa ancora accapponare la pelle e oggi il sito si presenta così:

Morto. Ma non basta, nel 2015, sempre Franceschini, presentò quella schifezza leggendaria, a partire dal nome, di verybello.it, qualcuno ricorda? Era un portalone per promuovere nel mondo e nei mercati specializzati nel turismo gli eventi culturali organizzati durante Expo, investimento sontuoso ed ecco il sito oggi:

In vendita. E ora la domanda: che fine farà ITsART, sempre ammesso che abbia anche un inizio? La risposta è facile, al netto del solito spreco del ministero della cultura e di Franceschini in particolare, visto che della piattaforma non convincono né l’idea, né il progetto (troppa sovrapposizione con la RAI e mancanza di un’idea originale) né il business plan, tant’è che pare che sia i partner tecnologici che quelli di contenuti che gli investitori si siano tirati indietro o non abbiano manifestato interesse nell’iniziativa. Bene, sempre molto bene. Un altro fiore all’occhiello, mettiamo a memoria. E continuiamo a mettere al ministero dei beni culturali dei fanfaroni, ignoranti, scalzacani e spreconi.