è appeso lì, a quella forca… (Elie Wiesel)

Oggi è morto Elie Wiesel.

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Deportato prima ad Auschwitz e poi a Buchenwald, non saprei come definirlo se non come «testimone». Sopravvissuto, certo, ma fu principalmente, con Levi e tanti altri per nostra fortuna, il testimone dell’Olocausto. Subì anche tutte le sindromi del sopravvissuto, la vergogna, il timore di non essere creduto, il rifiuto di scrivere, tutto quanto. Poi si decise, scrisse La Notte, «Un di velt hot geshvign» («E il Mondo rimane in silenzio»), un editore coraggioso lo pubblicò e nessuno lo volle né lo lesse. Ci vollero alcuni anni perché diventasse uno dei testi di riferimento dell’abominio nazista, Orson Welles si fece avanti per acquisirne i diritti e Wiesel rifiutò.
Io non so se qualcuno raccoglierà la mia indicazione, ma come consigliavo con Auschwitz, ovvero di andarci per sé stessi, non per la memoria o per altro, anche qui io consiglio la lettura de La Notte: farlo per sé, per essere persone migliori e più consapevoli.

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